GIALLO, Iacopo del, detto Giallo miniatore
Scarse le notizie biografiche su questo miniatore, di origine fiorentina e di cultura tosco-romana, documentato in Veneto tra il quarto e il quinto decennio del Cinquecento. Tale penuria di informazioni ha dato luogo a un equivoco relativo alla sua figura che si è cominciato a sciogliere solo a partire dagli anni Settanta del XX secolo con gli studi di Lionello Puppi. Sulla base delle note apposte da Gaetano Milanesi alla "vita" vasariana di Raffaello da Montelupo, la storiografia aveva continuato a sovrapporre i dati documentari e le opere di due diversi artisti, denominati entrambi "Giallo" nelle fonti. Un tale fraintendimento aveva consegnato alla storia un personaggio versato nella pittura come nella miniatura, fiorentino di nascita ma attivo tra Roma e il Veneto, celebrato dai suoi contemporanei. Il malinteso è stato superato tenendo in debito conto alcune incongruenze che restituiscono le due figure del Giallo miniatore e del Giallo pittore. A cominciare da un fatto: mentre notizie relative all'attività del pittore si trovano ancora per tutti gli anni Cinquanta, il miniatore è sicuramente morto nel 1543, quando nel Dialogo nel quale si parla del giuoco con moralità piacevole di Pietro Aretino, pubblicato a Venezia nel 1543, le carte parlano del "gentil Jacopo del Giallo buona memoria" (Le carte parlanti, p. 373). Inoltre le fonti archivistiche e letterarie, accanto al nome, indicano sempre con estrema cura la professione, specificando di volta in volta i termini di miniatore o di pittore; infine, se il G. miniatore ha senza dubbio come primo nome Iacopo, per il pittore la questione è più controversa, anche se è possibile che si chiamasse allo stesso modo.
I documenti e le firme che il G. appose nelle sue miniature lo riconducono a Firenze per natali e formazione, anche se non si hanno dati più precisi in merito. È probabile che si sia formato e abbia condotto le prime esperienze nell'ambito delle più importanti botteghe fiorentine: l'ipotesi più plausibile converge verso l'atelier di Giovanni Boccardi, dal quale sembra aver desunto alcuni motivi paesaggistici ricorrenti nelle successive opere veneziane (Levi D'Ancona, J. del G.…, p. 4).
Le prime notizie riferite al G., risalenti al 1537, lo vedono comunque a Venezia, punto di confluenza proprio in questi anni di artisti e letterati provenienti dall'Italia centrale, da Firenze e da Roma. A questa data egli sembra aver raggiunto già una discreta fama se, come risulta da una lettera indirizzatagli da Pietro Aretino (Lettere…, p. 163), non solo era stato incaricato di illustrare per lui le Stanze in lode de la Sirena donate all'imperatrice, ma aveva già realizzato "l'officiuolo … per la gloriosa memoria d'Ipolito Cardinale de i Medici, donato da Papa Paolo con le coperte d'oro gioiellato a sua Maestà quando fu in Roma". Committenza importante, dunque, e antecedente al 1535, data di morte del cardinale, che pagò più di "dumila scudi" per il libretto, fatto eseguire, come scrive Benvenuto Cellini nel Trattato sull'oreficeria, per Giulia Gonzaga. Non è stato possibile identificare le due opere ricordate dall'Aretino con esemplari a tutt'oggi esistenti. Tuttavia il letterato dava alcune indicazioni importanti: il frontespizio delle Stanze era eseguito con grande accuratezza nel disegno e nel colore, raggiungendo effetti di sfumato simili alla pittura a olio, e presentava putti che, sostenuti da aquile, portavano "il breve" sul quale era scritto in lettere maiuscole il nome dell'imperatrice; le notizie relative all'uffiziolo conducono inevitabilmente a Roma e alla Curia pontificia, essendo Ippolito nipote di Clemente VII. Ciò permette forse di considerare un passaggio a Roma del G., collocabile prima della metà del quarto decennio, tra gli anni di formazione fiorentina e il definitivo trasferimento a Venezia, avvenuto almeno nel 1537. Questo soggiorno romano cadrebbe negli ultimi anni di pontificato di Clemente VII, durante i quali molti artisti provenienti dalla città natale del papa si trasferirono a Roma. Il G. dovette essere uno di questi, e di ciò, qualora ne venisse confermata l'attribuzione, darebbe prova, oltre all'uffiziolo sopracitato, un messale di collezione privata londinese con lo stemma e gli emblemi di Clemente VII nel frontespizio, dove, al centro, è illustrato un Giudizio finale entro un arco centinato, e, in quattro medaglioni agli angoli della pagina, altrettanti episodi del Genesi, dalla creazione dell'uomo alla cacciata (Levi D'Ancona, J. del G.…, pp. 7-13). Anche se il G. dimostra qui di essere aggiornato sulla contemporanea miniatura romana, la cultura denunciata da quest'opera è soprattutto fiorentina: il Giudizio ha chiare ascendenze da Fra Bartolomeo, e il modo di tracciare le fisionomie rimanda alla bottega di Giovanni Boccardi.
È probabile che alla morte di Clemente VII il G. lasciasse Roma alla volta di Venezia, dove, come "Del Zallo Giacomo miniator", risulta iscritto alla fraglia dei pittori (Pignatti). Accanto alle Stanze dell'Aretino, la prima opera eseguita nella città lagunare, documentata da un pagamento di 8 ducati, saldati più tardi nel 1539 (Levi D'Ancona, J. del G.…, p. 2), fu la Commissione di Giovanni Da Lezze (Venezia, Museo Correr), dove il G. si cimentò nell'illustrazione di questo particolare oggetto - la "commissione", appunto - di norma realizzato a spese del neoeletto a cariche di una certa importanza nell'organigramma della Serenissima. Il 1° luglio del 1537, data di elezione di Giovanni da Lezze a procuratore di S. Marco de supra, l'opera doveva già essere completata. Nel frontespizio, l'unica parte miniata, si mescolano elementi tipologici di diversa provenienza: se infatti l'inquadratura del foglio a racemi con putti è di derivazione fiorentina, le ghirlande di frutta denunciano una conoscenza della miniatura padovana che si rivela ugualmente nel modo di trattare la parte centrale della pagina come una pergamena lacerata e accartocciata ai bordi, motivo ampiamente utilizzato anche in area ferrarese.
Un simile intreccio di culture denota il Salterio per il monastero veneziano di S. Giorgio Maggiore del 1538, sul frontespizio del quale il G. si firmò, dichiarandosi fiorentino (Cicogna trascriveva erroneamente il nome dell'artista quale "Jaco. Grillo"). Ritornano i racemi con grappoli appuntiti, il motivo della pergamena lacerata, ovvero quegli elementi che rimarranno costanti nella sua produzione. Per il Salterio di S. Giorgio Maggiore il G. realizzò anche miniature più piccole, dove mostra più che altrove il debito nei confronti della formazione fiorentina, specialmente negli sfondi luminosi delle scene, connotati spesso da orizzonti sui quali si stagliano cespugli tondeggianti e alberelli allungati, caratteristici della produzione del Boccardi. Non è escluso che il G. avesse lavorato ancora in questi stessi anni per i monaci di S. Giorgio Maggiore. Il Colnaghi gli attribuì il Corale D, conservato presso il monastero: un'ipotesi che non ha però trovato ulteriori conferme né in sede documentaria né presso la critica.
Nel 1538, anno nel quale, il 16 giugno, "Jacopo del giallo furentino miniator" compariva quale testimone per un atto notarile (Hadeln, p. 167), realizzò un'altra opera a seguito di una prestigiosa committenza, quella dei procuratori di S. Marco: nei registri della Procuratia de supra alla data del 24 dicembre veniva annotato a suo favore un pagamento di 5 ducati relativo a un libro di canto per la basilica di S. Marco, oggi perduto (Levi D'Ancona, J. del G.…, p. 5). Nello stesso 1538 poneva mano a un altro importante lavoro, il Messale commissionatogli dal cardinale Francesco Corner (Roma, Biblioteca Casanatense), per concluderlo, come risulta dalle date interne al testo, l'anno successivo. Il Messale è ancora, specialmente nella Crocifissione della c. 82v, espressione della composita cultura del G., tra ascendenze fiorentine, ferraresi e padovane, e presenta, ormai riconoscibili quale sigla personale, i grappoli d'uva appuntiti e i caratteristici paesaggi in lontananza. Sulla base di tale coerenza stilistica e tipologica delle prime opere note del G. si sono accostate a questa fase della sua produzione due Commissioni legate al dogato di Pietro Lando, collocabili tra il 1539 e il 1540, e conservate entrambe al Museo Correr di Venezia: a Battista Gradenigo, eletto podestà di Antibari il 24 febbr. 1539; a Giovanni Cappello, capitano di Brescia nel 1540 (Levi D'Ancona, J. del G.…, pp. 15 s.).
Il favore goduto dal G. sullo scorcio del quinto decennio trova un corrispettivo nelle parole che Nicolò Franco gli dedica nell'ottavo dei suoi Dialoghi piacevoli, pubblicati nel 1542 ma composti qualche anno prima (la dedica è datata 1539): nell'arte della miniatura la grandezza del G., "unico" e "singolare", è pari solo a quella di Serlio nell'architettura e di Tiziano nella pittura. Se queste affermazioni possono essere ricondotte a un certo credito conquistato dal G. lavorando per committenti di rango piuttosto elevato, sono anche probabilmente frutto di una condizione di familiarità che Franco alla data del 1539 aveva ancora con l'ambiente gravitante intorno alla figura di Pietro Aretino, nel quale si dovette trovare anche il miniatore. In più di un'occasione, nelle lettere Aretino dimostrò infatti l'amicizia nutrita nei suoi confronti, appellandolo "dolce fratello" nel 1537 (p. 163) e "compar caro" nel 1542, quando si complimentò con il G. per la nascita del figlio (p. 881). Non solo. Ma il letterato dovette in qualche modo intercedere per lui presso i propri protettori. Non sarà solo una coincidenza che il primo committente documentato del G., Giovanni Da Lezze, fosse molto legato all'Aretino, stringendo con lui un rapporto duraturo nel tempo (Cairns); e neanche può essere casuale che il G. lavorasse - come si desume ancora dalle lettere aretiniane, ma senza che di queste opere se ne abbia più traccia - per l'imperatore e i suoi funzionari italiani, con i quali l'Aretino era pure in contatto (p. 881). Inoltre, l'Aretino protesse e stimò l'allievo e "creatura" del G., Antonio Bernieri da Correggio, di cui fa cenno anche nel Dialogo del giuoco del 1543, dove lamentò la perdita dell'amico miniatore: al Bernieri ribadì il dolore provato in quell'occasione nel 1545 (Aretino, Lettere sull'arte, pp. 120 s.).
Fonti e Bibl.: P. Aretino, Lettere. Il primo e il secondo libro (1538-42), a cura di F. Flora, Milano 1960, pp. 163, 881; Id., Lettere sull'arte, a cura di F. Pertile - E. Camesasca, II, Milano 1957, pp. 120 s.; III, 2, ibid. 1960, pp. 336 s.; N. Franco, Dialoghi piacevoli, Venezia 1542, dialogo VIII, c. 108v; P. Aretino, Le carte parlanti (1543), a cura di G. Casalegno - G. Giaccone, Palermo 1992, p. 373; B. Cellini, Trattato sull'oreficeria (1568), in Opere, a cura di B. Maier, Milano 1968, p. 679; G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, IV, Firenze 1879, pp. 557 s., n. 4; A. Palladio, I quattro libri dell'architettura (1570), a cura di L. Magagnato - P. Marini, Milano 1980, p. 148; C. Ridolfi, Le meraviglie dell'arte (1648), a cura di D.F. von Hadeln, I, Berlin 1914, p. 241 n. 6; E.A. Cicogna, Delle iscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, p. 376; D.F. von Hadeln, Nachrichten über Miniaturmaler, in Archivalische Beiträge zur Geschichte der venezianischen Kunst, a cura di G. Ludwig, Berlin 1911, pp. 166 s.; L. Crosato, Gli affreschi nelle ville venete del Cinquecento, Treviso 1962, p. 51; M. Levi D'Ancona, J. del G. e alcune miniature del Correr, in Bollettino dei Musei civici veneziani, VII (1962), 2, pp. 1-23; Id., Miniatura e miniatori a Firenze dal XIV al XVI secolo. Documenti per la storia della miniatura, Firenze 1962, pp. 161 s.; T. Pignatti, La fraglia dei pittori di Venezia, in Bollettino dei Musei civici veneziani, X (1965), 3, p. 24; L. Puppi, Appunti su villa Badoer di Fratta Polesine, in Atti e memorie dell'Accademia patavina di scienze, lettere ed arti, LXXVIII (1965-66), 3, pp. 54-57; L. Puppi, La villa Badoer di Fratta Polesine, Vicenza 1972, ad indicem; G.B. Tiozzo, Il Palladio e le ville fluviali. Architettura e decorazione, Venezia 1981, p. 40; R. Fontana, Considerazioni intorno a villa Badoer di Fratta, con alcune notizie su Giallo Fiorentino suo decoratore, in Palladio e il palladianesimo in Polesine, a cura di L. Puppi, Rovigo 1984, p. 47; C. Cairns, P. Aretino and the Republic of Venice. Researches on Aretino and his circle in Venice 1527-1556, Firenze 1985, ad indicem; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 579; D.E. Colnaghi, A Dictionary of Florentine painters…, London 1928, p. 124.