GIACOMO (Iacobus)
Il futuro arcivescovo di Capua nacque con ogni probabilità a Capua intorno agli anni Ottanta del XII secolo. Secondo uno strumento notarile del 1241, oggi perduto ma citato da Monaco, suo padre si chiamava Daniel Amalphitanus e un suo fratello Iohannes.
Il cognome di tipo toponomastico Amalphitanus dovette però essere mutato già dai più stretti parenti di G. nel patronimico de Archiepiscopo, evidentemente considerato più adeguato a denotare il rango sociale della famiglia. Dal momento che questo cognomen viene attestato solo a partire dal 1244 e che con esso viene identificata anche una persona che porta il nome Iohannes, lo stesso del fratello di G., si può concludere che quasi certamente l'Archiepiscopus in questione sia proprio Giacomo. Su tale base Jannelli (1879) ha potuto indicare in Miloctus (attestato nel 1205), Bartholomeus e Criscius, quest'ultimo gran camerario degli Abruzzi, gli altri fratelli di G., i cui discendenti ascesero poi alle più alte cariche amministrative della città di Capua.
Nulla di certo sappiamo sui primi anni di vita e sulla formazione di Giacomo. Poiché Gregorio IX lo accusò di aver collaborato alla stesura delle costituzioni melfitane, emanate da Federico II nel 1231, possiamo concludere che disponesse di una specifica preparazione giuridica: non è possibile, tuttavia, determinare se l'avesse conseguita nello Studio di Bologna, il più illustre dell'epoca per quanto riguardava l'istruzione in quella materia, o in una delle varie scuole locali dislocate sul territorio del Regno. In ogni caso, già tale accusa attesta lo stretto legame di G. con la Cancelleria sveva, dove egli dovette essere impiegato sin dagli inizi della sua carriera. Del resto Federico II dimostrò a più riprese la sua benevolenza nei confronti di G., sin da quando, nel 1221, lo definì "nutritus et fidelis noster" (Acta Imperii, n. 213).
G. venne elevato alla dignità di vescovo di Patti non prima della fine del 1219, dal momento che nel settembre di tale anno quella sede episcopale risulta ancora vacante (Regesta Honorii papae III, n. 2199). A dire il vero la sua prima menzione come titolare di quel seggio si ha solo il 25 ott. 1221, quando egli venne inviato da Federico II presso la Curia papale per conoscere le deliberazioni di Onorio III in merito all'eventuale prosecuzione della crociata dopo la disfatta subita a Damietta dall'esercito cristiano. L'attività di G. al servizio dell'imperatore viene attestata anche nel 1222, quando - nell'ambito di una missione diplomatica svolta presso la Curia romana insieme con il maestro dell'Ordine teutonico Hermann von Salza - egli viene, per la prima volta, definito familiaris di Federico II. Questo titolo, di cui G., a partire dal marzo 1224, si fregiò con regolarità, testimonia, ancora una volta, lo stretto vincolo che lo univa all'imperatore. Da tale rapporto scaturì il suo impiego, sempre in qualità di vescovo di Patti, per le missioni legatizie già menzionate e, nel giugno 1223, per la risoluzione (insieme con Rainaldo duca di Spoleto, Simone di Tocco, Pietro e Goffredo di San Germano, giudici della Curia imperiale) di una lite giudiziaria che vide contrapposti la Chiesa, i monasteri e i milites di Sorrento da una parte, e i villani della stessa città dall'altra. Inoltre, a Catania, nel febbraio 1224, G. fu più volte testimone dell'imperatore per privilegi rilasciati in favore dell'Ordine teutonico e del loro maestro. L'anno dopo l'imperatore ricorse a G. addirittura come suo procuratore nel matrimonio che gli avrebbe portato in dote la corona di Gerusalemme. Nell'agosto 1225, infatti, con una flotta di 14 galee comandata dall'ammiraglio Enrico di Malta, G. si recò a San Giovanni d'Acri, dove, nella chiesa di S. Croce, a nome dell'imperatore, pose l'anello nuziale al dito di Isabella, figlia di Giovanni di Brienne ed erede del Regno di Gerusalemme. L'insolito matrimonio fra due persone lontane tra loro non mancò - come raccontano le cronache del tempo - di generare grande stupore tra la popolazione d'Oltremare, ma la cerimonia venne poi più solennemente celebrata, alla presenza di entrambi gli sposi, a Brindisi il 9 novembre di quello stesso anno.
G. si trovava ancora in Terrasanta quando, il 25 sett. 1225, fu nominato arcivescovo di Capua da Onorio III. Il papa, eleggendo un fidelis dell'imperatore all'importante dignità di metropolita della Terra di Lavoro, voleva evidentemente giungere a una soluzione delle controversie che l'avevano contrapposto all'imperatore riguardo alla gestione delle cariche ecclesiastiche nel Regno. Federico II, tuttavia, offeso per i veti precedentemente opposti dal pontefice contro i suoi candidati e risentito per la sua mancata consultazione riguardo alla nuova nomina, rifiutò, in un primo momento, di ratificare la traslazione di G. da Patti a Capua, proseguendo così la politica ostruzionistica che l'aveva portato a respingere tutti i nuovi insediamenti di prelati. Così, dopo il suo rientro da Acri, G. tornò a reggere la sede vescovile siciliana, dalla quale mancava dal settembre 1223. Nel marzo 1226, infatti, si definisce ancora vescovo di Patti e - il che dimostra la sua persistente e incrollabile lealtà verso il sovrano svevo - "domini imperatoris familiaris". La precaria situazione poté trovare una soluzione solo quando Federico II, nell'ottobre 1226, rinunciò a opporre resistenza contro le nuove nomine ecclesiastiche. Infatti, il 30 marzo 1227 papa Gregorio IX, appena eletto, portò a piena esecuzione la nomina fatta dal suo predecessore annunciando al clero e alla cittadinanza di Capua di aver concesso il pallio al nuovo arcivescovo, finalmente sciolto dalle incombenze che lo legavano alla sua vecchia diocesi.
Anche in qualità di arcivescovo di Capua G. proseguì la sua attività di collaborazione con il sovrano, nonostante che su quest'ultimo, a partire dal settembre 1227, gravasse il peso della scomunica per i ritardi - giudicati pretestuosi da parte papale - nell'adempimento delle promesse di soccorso alla Terrasanta. In questa situazione di inconciliabile scontro tra le due più alte istituzioni dell'ecumene cristiano, G. scelse di rimanere fedele al suo signore temporale e prese parte alla crociata intrapresa nel giugno 1228, quella che avrebbe portato alla conquista incruenta del Santo Sepolcro: impresa che - come dichiarò lo stesso Federico nel suo manifesto di Gerusalemme - non era riuscita in precedenza neppure alle più grandi armate e ai più illustri condottieri. È difficile, però, dire se G. accompagnò Federico II fin dall'inizio della spedizione: infatti, da una notizia riportata dal più tardo cronista Bartolomeo da Neocastro, ma che potrebbe essere del tutto priva di fondamento, parrebbe che, durante la permanenza di Federico II in Terrasanta, G., insieme con l'arcivescovo di Palermo, Berardo, abbia tenuto il baliatum del neonato Corrado, figlio dell'imperatore. In ogni caso, il 18 marzo 1229, G. assistette, insieme con l'arcivescovo Berardo, con il gran maestro dell'Ordine teutonico Hermann von Salza e con altri nobili, alla cerimonia che vide Federico II fare il suo trionfale ingresso nel tempio del Santo Sepolcro acclamato quale miracoloso strumento della provvidenza divina. Anche se non dovette culminare - come generalmente viene affermato - nell'autoincoronazione, quella cerimonia, con cui l'imperatore rivendicava la propria discendenza dal biblico re David, fu, da parte dei sostenitori del pontefice interpretata senz'altro come un ulteriore atto di inaudita ed eretica hybris. Non sappiamo tuttavia se, in quell'occasione, G. abbia avuto anche un ruolo più impegnativo rispetto a quello di semplice spettatore e testimone.
Tornato dalla Terrasanta - da dove lo stesso Federico era precipitosamente rientrato nel giugno 1229 alla notizia dell'invasione del Regno da parte delle truppe pontificie - G. dovette essere ancora una volta impiegato dall'imperatore come messo presso la Curia pontificia. Un'epistola inviata da Gregorio IX a Federico, infatti, ci fornisce la notizia che G., il 3 dic. 1230, si trovava in Laterano; lettere successive ci informano che egli aveva collaborato, fra l'altro, alla risoluzione della delicata questione relativa alla restituzione all'Ordine degli ospedalieri e a quello dei templari dei beni confiscati dall'imperatore nel corso della crociata, per punirli di non aver collaborato alla sua spedizione. Pur non partecipando direttamente alla stipula della pace di San Germano (estate 1230), che sancì la riconciliazione fra il pontefice e l'imperatore, G. dovette comunque svolgere in quel torno di tempo un importante compito di mediazione tra Gregorio IX e Federico II.
Tra il maggio e il luglio 1231 la presenza di G. è attestata a Melfi presso la corte di Federico, dove funse da testimone alla conferma imperiale della successione al trono di Boemia e alla concessione di un beneficio all'arcivescovo di Brema.
In quell'occasione egli dovette effettivamente prendere parte alla stesura delle Constitutiones Regni Siciliae più note con il titolo di Liber Augustalis, la raccolta di leggi che, poco dopo, venne emanata proprio a Melfi. Questa notizia può essere desunta da una lettera in cui Gregorio IX rimproverava G. quale diretto responsabile della compilazione di quelle "constitutiones destitutivas salutis et institutivas enormium scandalorum" (Les registres de Grégoire IX, n. 677). A placare le ire del pontefice non valsero scuse di sorta: G. argomentò che, lungi dall'essere "legum dictator", il suo ruolo era stato limitato a quello del "calamus scribentis", ma Gregorio ribatté giudicando la sua opera come l'empia ostentazione di scienza di chi non si cura di dispiacere a Dio, signore di tutte le scienze (Historia diplomatica, III, p. 290).
Su questa sola base è difficile stabilire in che misura G. abbia collaborato alla compilazione del Liber Augustalis: non sappiamo, cioè, se egli si sia limitato a impreziosirne il dettato con infioriture retoriche - come sembrerebbe risultare dalle sue giustificazioni riportate dal testo del rimprovero papale - o se abbia curato anche la parte normativa relativa alla Chiesa e al clero del Regno. Certo è che G. vantava una riconosciuta abilità letteraria: l'estrema ricercatezza del suo stile prosastico può essere desunta dal commercio epistolare, piuttosto fitto, che egli ebbe con il logoteta e protonotario imperiale Pietro Della Vigna, tramandato, in gran parte, nel III libro delle Epistolae di quest'ultimo.
Il più celebre dictator capuano dovette essere sensibilmente più giovane di G., tanto da riceverne talvolta severi rimproveri per aver mancato di comunicargli sue notizie: inoltre in più di un'occasione G. si dice già vecchio rispetto al suo giovane interlocutore. È difficile, tuttavia, dire se l'origine della loro amicizia rimonti agli anni trascorsi insieme nella comune città natale (in una lettera dell'epistolario di Pietro Della Vigna si dice che essi "una provincia genuit et una terra lactavit", EpistolarumPetri de Vineis, III, 27), oppure se derivi dalla eventuale collaborazione di entrambi alla stesura delle Constitutiones del 1231. La maggior parte delle lettere scambiate tra i due sembra risalire, comunque, agli ultimi anni di vita di G., dato che, in esse, egli più volte pare lamentarsi della penosa malattia che lo avrebbe poi condotto a morte. Notevole, comunque, è la fattura di tali epistole, che presentano quelle caratteristiche stilistiche e ritmiche che sono state talvolta riconosciute come precipue della cosiddetta scuola retorica capuana fiorente tra la fine del XII e la prima metà del XIII secolo. È certo indubbio che dalla città di Capua proveniva un gran numero di illustri dictatores che furono poi impiegati presso la Cancelleria pontificia e presso quella imperiale, ma la cosa potrebbe anche essere semplicemente determinata dall'influenza in tali istituzioni di alcuni personaggi che poi provvidero a favorire i propri concittadini; tanto più che a Capua non viene mai segnalato un luogo istituzionalmente deputato all'insegnamento delle tecniche del dictamen prosastico e che lo stile contrassegnato come capuano è pressoché indistinguibile da quello della Curia romana e, soprattutto, imperiale. In ogni caso, a dimostrare l'interesse e il culto estetico di G. per uno stile retorico armonioso e fiorito basti ricordare quanto dice egli stesso a proposito dell'immenso piacere provato in seguito alla lettura di un'epistola inviatagli da Pietro Della Vigna, la cui bellezza si rivela inconfondibilmente e in cui "nisi defuerit colorum varietas, figurabat picturam; sed quam primum per clausulas diffunditur oculus, miratur legentis studium, si potuit in homine tale ingenium concipi, quod tantam verborum pareret maiestatem" (ibid., III, 40).
Nello stesso periodo in cui si andavano redigendo le costituzioni melfitane egli svolse un ruolo non secondario anche nella grande riforma finanziaria che proprio allora si andava preparando e che avrebbe costituito il fondamento economico del nuovo Stato. Sembra infatti certo che l'arcivescovo che nella promulgazione delle normative sull'incameramento nel Fiscus regio di tutte le tintorie del Regno viene indicato come colui che, insieme con il logoteta Andrea, deve consegnare lo "statutum de iusticiis curie" (Acta Imperii, p. 621 n. 796) sia G.: l'arcivescovo di Palermo Berardo, infatti, nel periodo in questione, ossia nell'ottobre-novembre 1231, non si trovava a corte. In quello stesso periodo, del resto, G. sembra aver rinunciato anche alle decime della sua Chiesa in cambio della corresponsione di una rendita annuale, come si deduce dai Registri della Cancelleria angioina (VII, Napoli 1970, p. 282 n. 56).
La presenza di G. presso l'itinerante corte dell'imperatore continua a essere attestata con una certa regolarità anche negli anni successivi: nel luglio, nel settembre e nel dicembre 1232, e nel maggio 1233 funse da testimone in diversi privilegi concessi da Federico II. A partire dal 1235 e fino a tutto il 1239, insieme con l'arcivescovo di Palermo e, poi, con il vescovo di Ravello, svolse le mansioni di reggente del Regno in assenza di Federico II, impegnato prima Oltralpe e poi in Italia settentrionale. In questo periodo, quindi, lo ritroviamo a gestire, dietro mandato imperiale, tutti gli affari dello Stato, e, a partire dal 1237, soprattutto a riscuotere crediti per finanziare la campagna militare dell'imperatore contro i Comuni lombardi. A lui, e probabilmente anche agli altri reggenti, Federico II delegò anche il suo diritto di elezione dei titolari delle sedi ecclesiastiche vacanti.
Non tutta la sua attività, tuttavia, si svolse esclusivamente in funzione dell'imperatore: i suoi servigi per la risoluzione di questioni puramente ecclesiastiche dovettero essere considerati preziosi anche dal Papato. Onorio III sfruttò le sue competenze e la sua autorità chiamandolo, nel 1222, a fare parte della commissione che doveva valutare i diritti imperiali di nomina dei vescovi siciliani, e affidandogli, nello stesso anno, la risoluzione di una delicata contesa insorta tra l'arcivescovo di Messina e l'archimandrita di S. Salvatore di Lingua. Anche Gregorio IX, che lo dovette considerare un prezioso mediatore nelle controversie che lo opposero all'imperatore - grazie soprattutto alla sua influenza su Federico II - cercò di mantenere con lui buoni rapporti. Nel 1235, infatti, quando fu chiamato a decidere riguardo all'antica questione della sottomissione dell'abbazia di S. Maria di Capua alla sede arcivescovile di cui G. era titolare, il pontefice si pose dalla parte dell'arcivescovo, come fece anche nel 1237, quando prese in esame l'esenzione della sede vescovile di Aquino da quella arcivescovile di Capua. In ogni caso, per G. non dovette essere sempre semplice trovare il modo di conciliare la sua lealtà verso l'imperatore di cui era familiaris con l'obbedienza verso il papa. Soprattutto nel momento in cui gravava sulla persona di Federico II la scomunica, la sua decisione di seguire, nonostante il divieto, l'imperatore in Terrasanta non potette non essere drammaticamente lacerante. Come, infatti, scrisse intorno al 1235, in occasione della richiesta papale di procedere contro un notaio imperiale, il suo desiderio era senz'altro quello di adempiere a tutti gli incarichi che gli affidava la Chiesa romana, ma soprattutto a quelli "in quibus et ex quibus favor imperialis non leditur et honori suo contrarium non ocurrit" (Hampe, p. 76)
A partire dal dicembre 1239, alcuni mesi prima, quindi, che Federico tornasse in Italia meridionale, dove avrebbe ripreso direttamente nelle sue mani la guida del Regno, il ruolo di G. nell'amministrazione dello Stato si fece meno impegnativo a causa di una grave malattia che lo avrebbe portato alla quasi totale infermità e, infine, alla morte. Da allora la sua attività si svolse prevalentemente presso la sede arcivescovile di cui era titolare: improvvisamente si infittiscono, infatti, i documenti che ne attestano lì la presenza. Mantenne, tuttavia, la delega per le nomine ecclesiastiche e i suoi stretti rapporti con l'imperatore: nel maggio del 1240, a Capua, fece ancora da testimone a un suo privilegio e, poco prima di morire, lasciò a lui molti dei suoi beni, così come si apprende da due brevi biglietti del suo amico Pietro Della Vigna e dello stesso Federico. Dell'ottobre e del novembre 1242 sono gli ultimi documenti, emanati a Capua, dai quali risulta ancora in vita: in essi l'arcivescovo concede ad alcuni cittadini capuani l'usufrutto di beni pertinenti alla sede arcivescovile.
Da una comunicazione inviata da Federico II ai maestri razionali Tommaso di Brindisi e Procopio alla fine di marzo 1243 si apprende, invece, che, a quella data, G. era già morto.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Pergamene della Curia arcivescovile di Capua, nn. 23 (già 990), 54 (già 3391), 60 (già 4154); Patti, Arch. capitolare, Censi varii dentro la città di Patte e suo territorio, I, f. 1; Origine della terra della Gioiosa Guardia, f. 30; Bartholomaeus de Neocastro, Historia Sicula, a cura di G. Paladino, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XIII, 3, pp. 115 s.; Ryccardus de Sancto Germano, Chronica, a cura di C.A. Garufi, ibid., VII, 2, pp. 122, 127; Epistolae saeculi XIII e regestis pontificum Romanorum selectae, a cura di C. Rodenberg, in Mon. Germ. Hist., Epist. saec. XIII, Berolini 1883, pp. 136 s., 204 s., 341-348; Epistolarum Petri de Vineis… libri VI, a cura di S. Schardius (Schard), Basileae 1566, lib. III, nn. 37-42; M. Monaco, Sanctuarium Capuanum, Napoli 1630, p. 249; Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis, a cura di A. Theiner, I, Romae 1861, pp. 71-73; J.-L.-A. Huillard-Bréholles, Vie et correspondance de Pierre de la Vigne, Paris 1865, pp. 123-132, 304-306, 358-368; Historia diplomatica Friderici secundi…, a cura di J.-L.-A. Huillard-Bréholles, I-V, Paris 1852-59, ad indices; Acta Imperii inedita seculi XIII, a cura di E. Winkelmann, Innsbruck 1880, pp. 213, 239, 280, 295, 630, 637, 678 s.; Regesta Honorii papae III, a cura di P. Pressutti, I-II, Roma 1888-95, nn. 3930, 4108, 4532, 5191, 5515, 5655; Les registres de Grégoire IX, a cura di L. Auvray, I-IV, Paris 1890-1955, ad ind., s.v. Capuanus archiepiscopus, nn. 508, 548, 667, 2392 s., 2685, 3755 s., 3942 s., 4109; J.F. Böhmer, Regesta Imperii, V, 1-3, Die Regesten des Kaiserreichs unter Philipp, Otto IV., Friedrich II.…, a cura di J. Ficker - E. Winkelmann, Innsbruck 1881-1901, ad ind., s.v. Jacob Bischof von Patti; Le pergamene di Capua, a cura di J. Mazzoleni, I, Napoli 1957, pp. 117-122, 128-137, 145-150; G. Jannelli, Qual è la storia vera della nuova città di Marcianise? Ovvero Marcianise in rapporto alla Chiesa e città di Capua e i suoi feudatari, Caserta 1879, p. 204; E. Winkelmann, Zur Geschichte Kaiser Friedrichs II. in den Jahren 1239 bis 1241. Die Reorganisation des sicilischen Königreichs 1240, in Forschungen zur deutschen Geschichte, XII (1872), pp. 526 s.; G. Jannelli, Pietro della Vigna di Capua, Caserta 1886, pp. 131, 279; E. Winkelmann, Kaiser Friedrich II. (Jahrbücher der deutschen Geschichte), I, Leipzig 1889, p. 191; II, ibid. 1897, pp. 268 s.; A. Casertano, Sull'autore delle costituzioni melfiesi, in Arch. stor. campano, I (1890), pp. 161 s.; A. Finocchiaro-Sartorio, Le leggi di Corrado IV, in Studi storici e giuridici dedicati ed offerti a F. Ciccaglione, I, Catania 1909, pp. 238 s.; H. Niese, Zur Geschichte des geistigen Lebens am Hofe Friedrichs II., in Historische Zeitschrift, CVIII (1912), p. 535; K. Hampe, Zu dervon Friedrich II. eingesetzten sizilischen Regentschaft, in Historische Vierteljahrschrift, XXI (1922-23), pp. 76 s.; H.J. Pybus, The emperor Frederick II and the Sicilian Church, in The Cambridge Historical Journal, III (1929-31), pp. 145-148; H.M. Schaller, Die Kanzlei Kaiser Friedrichs II. Ihr Personal und ihr Sprachstil, in Archiv für Diplomatik, III (1957), p. 266; IV(1958), p. 301; E. Kantorowicz, Federico II imperatore, Milano 1976, pp. 154, 168, 240, 269, 348, 361; N. Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien, I-III, München 1973-82, pp. 121-128, 1083-1085 e ad ind.; R. Neumann, Parteibildungen im Königreich Sizilien während der Unmündigkeit Friedrichs II. (1198-1208), Frankfurt a.M.-Bern-New York 1986, pp. 81, 85-87, 181, 195, 239, 256; H.M. Schaller, Della Vigna, Pietro, in Diz. biogr. degli Italiani, XXXVII, Roma 1989, pp. 776-784; F. Delle Donne, Le consolationes del IV libro dell'Epistolario di Pier Della Vigna, in Vichiana, s. 3, IV (1993), pp. 287 s.