TROTTI, Giacomo
– Nacque a Ferrara nella contrada di S. Giacomo nei primi mesi del 1423, primogenito dei sei figli maschi di Lodovico, funzionario al servizio di casa d’Este (fu camerlengo di San Felice e podestà di Codigoro), e di una sorella di Giovanni Costabili.
Per la Chronica parva di Riccobaldo, i Trotti sono tra le trentaquattro famiglie nobili che avevano contribuito alla fondazione di Ferrara (secondo una notizia solitamente accreditata, pur se contestata a inizi Novecento da Pasini Frassoni, 1914, p. 582). «Indeboliti ma non estinti» (sempre secondo l’interpretazione di Riccobaldo, Chronica parva..., a cura di G. Zanella, 1983, p. 144), al principio del XIV secolo, iniziarono la loro risalita sociale nel 1341, quando l’albero genealogico a partire da Vitaliano si divise in due rami poi proseguiti parallelamente: quello dei conti Trotti confluiti nel XIX secolo negli Avogli, del quale avrebbero fatto parte anche Giacomo e i suoi fratelli; quello dei marchesi Trotti detti Alemagna eredi Mosti. Alla nascita di Giacomo i Trotti rappresentavano un buon casato, ma non particolarmente agiato.
Orfano all’età di diciannove anni, Giacomo unitamente al fratello Paolo Antonio, di poco più giovane, seguì le orme paterne e intraprese studi notarili, grazie ai quali entrò a far parte del personale di Camera dell’amministrazione estense intorno alla metà degli anni Quaranta del Quattrocento, ottenendo successivi avanzamenti (notaio al banco dei soldati, 1455; esattore generale della Camera marchionale, 1458). Parallelamente acquisì una solida formazione letteraria: fu discepolo della celebre scuola di Guarino da Verona e venne accolto negli ambienti culturali ferraresi, amico di intellettuali del calibro di Pellegrino Prisciani e Battista Guarini.
Fu Borso d’Este a coglierne l’intelligenza e le qualità, e ad affidargli delicati incarichi diplomatici. Nel 1466 fu mandato al fianco di Ercole nell’impresa fiorentina a sostegno dei Pitti, mentre dal marzo del 1467 si stabilì a Roma, trasformando una missione nella prima legazione permanente di casa d’Este presso la S. Sede. Rimase come oratore residente alla corte di papa Paolo II fino all’agosto del 1470, perorando le due principali istanze estensi: l’accreditamento di Borso come arbitro super partes in un contesto di instabilità politica degli Stati italiani del Rinascimento; l’investitura ducale dello stesso Borso su Ferrara, per la quale Trotti svolse un ruolo cruciale.
Da Roma, relazionando quasi quotidianamente il suo signore, si fece apprezzare per la finezza nella lettura politica delle situazioni contingenti e per l’accuratezza immaginifica della sua scrittura; Borso amava leggere a corte i suoi lunghi dispacci, così chiari e ricchi di particolari. Entrò presto in confidenza con Paolo II, che gli propose di rimanere «ali servitii de la Santità de nostro Signore» (sono le parole di Trotti, Archivio di Stato di Modena, Carteggio ambasciatori, Roma, b. 1, 22 marzo 1470) prospettandogli una rapida carriera ecclesiastica. Giacomo comunicò tuttavia a Borso d’Este (cfr. la stessa missiva), a cui non sarebbe dispiaciuto avere un proprio uomo di fiducia nelle stanze segrete della S. Sede, la volontà di declinare l’offerta. Nell’occasione stilò un parziale bilancio della prima parte della sua vita, ricordando gli affanni dei primi anni; quanto all’offerta papale, giustificò il rifiuto – oltre che con l’aleatorietà delle promesse pontificie – con le difficoltà poste da una corte nella quale la concorrenza era agguerrita e la posizione di preminenza tutta da costruire, e con il desiderio di un avvicinamento alla madre e ai fratelli.
Borso d’Este accolse la sua supplica, e lo ricompensò con grande generosità. Giacomo fu richiamato a Ferrara, creato nobile della città di Modena insieme ai fratelli, investito di giurisdizioni su mulini, terreni e possessioni, ed esentato dai dazi sulle derrate. Tali privilegi aprirono la strada alla proficua attività commerciale della famiglia e ne favorirono la vertiginosa ascesa sociale. Ancora nel 1469 i Trotti erano una famiglia «appena conosciuta» e «poverissima», proprietaria di un’unica possessione a Saletta; nel giro di pochi anni le loro fortune cambiarono radicalmente, e Giacomo divenne «il mazore in dignitade et auctoritade» di tutto lo Stato (U. Caleffini, Croniche, 2006, p. 82).
A corredo degli incarichi di Giacomo, altri componenti della famiglia acquisirono importanti posizioni di potere negli stessi anni. Paolo Antonio (nato nel 1425 circa), dopo gli studi notarili e qualche ruolo marginale nell’amministrazione estense, nel 1469 venne nominato segretario ducale come successore di Ludovico Casella. Tale si consolidò nel tempo la sua intimità con il duca Ercole I, che venne addirittura alloggiato a corte insieme alla compagna Catellina, una popolana modenese. Nel 1478 partecipò alla campagna militare del duca di Ferrara in Toscana, in qualità di dispensatore delle paghe dei soldati e osservatore al seguito, alternando i compiti militari all’assistenza personale al proprio signore.
Brandelise (o Brandiligi, morto dopo il 1499, quando fece testamento), fu maestro di camera della duchessa Eleonora d’Aragona, avendo così la possibilità di amministrare i pagamenti degli officiali di corte.
Galeazzo Trotti (nato nel 1440 circa, ultimogenito di Lodovico) pur in assenza di incarichi istituzionali rappresentò per quasi un ventennio la vera mente speculativa della famiglia: affarista spericolato, veniva beffardamente definito dai ferraresi «re di denari» (ibid., p. 807). Amministrò con brillante spregiudicatezza il patrimonio di famiglia, tra ingenti investimenti nel mercato creditizio grazie alla copertura di prestatori ebrei, speculazioni sulla filiera annonaria e sull’affitto di letti, monopoli sui beni primari.
Altri due fratelli scelsero invece la carriera ecclesiastica, con appannaggi di prestigio e ben remunerati che però li portarono lontano da Ferrara.
Sotto il governo di Ercole I d’Este (duca dal 1471), Trotti e i fratelli ottennero gratificazioni, benefici e cariche pubbliche accumulate senza alcun rispetto per le tradizioni municipali. Nel gennaio 1472 Giacomo venne nominato contemporaneamente giudice dei Dodici savi, consigliere segreto del duca e riformatore dello Studio; ricevette inoltre diciassette possessioni tra Finale Emilia e San Felice, già confiscate ai Pio da Carpi, del valore di oltre 40.000 bolognini. Anno dopo anno, sfruttando la disponibilità di liquidi e la protezione dei signori, i Trotti costruirono un vero e proprio impero economico, ostentando provocatoriamente la loro ricchezza ed esercitando con arroganza un potere smisurato. Ma la loro torbida influenza presso i signori (avevano «afaturato» il duca, ibid., p. 382), suscitò invidie e maldicenze.
Sempre il cronista Ugo Caleffini, registratore della spenderia, fece un puntuale inventario dei beni e delle rendite dei Trotti. Alla morte di Galeazzo nel 1491, essi avevano accumulato oltre centoventi possessioni tra Modenese, Ferrarese e Polesine, con 12.000 ducati d’entrata annui ordinari, senza contare i profitti dell’usura. Vestivano con sfarzo superiore al duca, indossando collane d’oro massiccio da diverse centinaia di ducati. Quanto al patrimonio edilizio in città, lo splendido palazzo nella contrada di Borgonuovo, impreziosito da un maestoso portone in marmo, costò nel 1475 la ragguardevole somma di quasi 20.000 lire marchesane; ivi vivevano insieme Giacomo e i fratelli Brandelise e Galeazzo. Nello stesso anno Paolo Antonio acquistò per conto della famiglia anche una tenuta a Zenzalino, con il palazzo che era appartenuto ai Bentivoglio.
Sul versante politico Giacomo favorì la concentrazione nelle mani del principe del controllo delle antiche magistrature civiche, creando di fatto un vero dispotismo. Nel dicembre del 1472 trasferì la gestione del dazio sul pane dal Comune alla Camera ducale; nel 1474 inserì tra le voci di bilancio delle casse signorili i proventi delle condanne pecuniarie dei processi, e nel settembre dello stesso anno spostò l’ufficio dei Savi a Castelvecchio, avvicinandolo così anche fisicamente all’autorità ducale. Nel gennaio del 1475 infine ridefinì al rialzo le principali tasse dirette, la colta e l’estimo, dando vita al peggiore «robamento» nella storia di Ferrara (U. Caleffini, Croniche, cit., p. 99).
Sempre stretti e dichiaratamente confidenziali furono i suoi rapporti con Eleonora d’Aragona, una delle pochissime consorti rinascimentali con reali poteri di governo, dalla quale era tenuto in grande considerazione e che consigliava nell’amministrazione della giustizia e nei negozi politici. In accordo con lei, si occupò di dirimere i frequenti alterchi che sopravvenivano tra le fazioni dello Studio in perenne concorrenza per l’elezione annuale del rettore. Ne fu inoltre un fidato compagno sia nei viaggi di piacere, sia in quelli istituzionali. Nel giugno del 1480, ad esempio, fu al seguito della comitiva guidata dalla duchessa che accompagnò la figlia Isabella in visita di cortesia alla corte gonzaghesca, con la quale gli Este avevano sottoscritto un contratto matrimoniale al termine di una lunghissima trattativa.
Il dominio di fatto di Trotti e della sua famiglia sulla città di Ferrara si interruppe bruscamente nel 1482, complice la crisi istituzionale e sociale innescata dal conflitto del Polesine con Venezia (ufficialmente dichiarato dal Senato veneziano il 2 maggio) e l’aperta ostilità dei più importanti casati magnatizi ferraresi, infastiditi dal potere esorbitante di quella famiglia di borghesi parvenu, che si saldò all’insofferenza popolare (per lunghi anni covata sottotraccia). Con i nemici alle porte, il popolo rivolse la propria rabbia verso i Trotti, unanimemente riconosciuti colpevoli delle gravezze insopportabili e considerati responsabili di aver trascinato il dominio in guerra per convenienza personale.
Proprio a Giacomo era attribuito il casus belli: una questione di giurisdizione mercantile che nel 1481 produsse la scomunica da parte del vescovo di Ferrara del visdomino veneziano Vettore Contarini, e la successiva indignata reazione della Serenissima.
Su questo sostrato di inquietudine, nell’autunno del 1482 Costabili, Francesco Ariosti e Rinaldo Bevilacqua orchestrarono una manovra di palazzo – proprio mentre trattavano sottobanco la consegna dello Stato a Venezia – per estromettere i Trotti dalla vita politica ferrarese e sostituirli nelle principali funzioni di governo. Fu una sorta di ricatto vestito da mediazione con la duchessa Eleonora: si patteggiava il sostegno militare a Casa d’Este in cambio dell’esilio della famiglia.
Accusati di malgoverno e privati formalmente di ogni incarico, i Trotti furono costretti a una spettacolare uscita di scena: il 22 novembre 1482 furono tutti insieme cacciati dalla città (in testa Paolo Antonio e Galeazzo, che si diceva portasse con sé una borsa contenente 60.000 ducati), scortati da venti balestrieri sino al confine per evitare il linciaggio da parte della folla esultante (che nei giorni successivi tentò anche il saccheggio del palazzo di Borgonuovo). Paolo Antonio venne alloggiato temporaneamente alla cittadella di Reggio, Brandelise al castello di Modena, Galeazzo a Milano, dove già si era insediato Giacomo.
Il maggiore dei Trotti aveva infatti anticipato gli eventi: la notte dell’8 maggio 1482, a cavallo, senza alcuna pubblicità si diresse a Milano, allontanandosi «da guatto», avrebbe detto Caleffini, lui «ribaldo, traditore, inemico del sangue di poveri homeni, dubitando lo illustrissimo signore nostro messer lo duca, che non fusse taiato a pezi dal populo» (ibid., p. 377). La presenza di Giacomo in Ferrara era ormai inopportuna, anche se nella circostanza egli ebbe da Ercole I (con l’altro agente Cesare Valentini) l’incarico di cercare alleati, appoggi e aiuti in fanti e viveri presso la corte sforzesca. E in effetti Trotti fu spesso in udienza da Ludovico il Moro (già dal 17 maggio 1482), seguì l’esercito sforzesco nel Parmigiano (primavera 1483) e fu pur sempre plenipotenziario estense alle trattative di Bagnolo (28 luglio-18 agosto 1484). Di fatto non fu dunque esautorato, e anzi condusse strenuamente (non senza successo) le difficili attività negoziali per difendere l’integrità territoriale del ducato. Ciò preluse alla piena riabilitazione dei Trotti (ma Paolo Antonio non aveva cessato di fungere da consigliere segreto dei duchi anche dall’esilio), e a una rinnovata partecipazione dei fratelli di Giacomo alla vita economica, sociale e politica di Ferrara.
Il rientro avvenne il 4 ottobre 1484: i Trotti ripresero velocemente il filo dei traffici e delle relazioni, mettendosi a capo (con i Sacrati) di una fazione interna all’élite cittadina. Si riposizionarono anche a corte: dall’inizio del 1487 alla morte (8 luglio 1487: seguì un sontuoso funerale con la partecipazione di Ercole I) Paolo Antonio fu viceduca; nel 1489 Galeazzo ottenne la carica di giudice dei Dodici savi, e anche dopo la sua morte (11 luglio 1491) vennero organizzate esequie in gran pompa, a cui però seguirono pungenti voci di scherno, come attestano i salaci sonetti del poeta satirico Antonio Cammelli, detto il Pistoia, a lui dedicati.
L’unico a considerare conclusa la propria parabola ferrarese dopo la guerra del Polesine fu Giacomo, che rimase a Milano in qualità di ambasciatore residente estense. Entrò precocemente nelle grazie di Ludovico il Moro e riuscì a sviluppare reti di relazioni più ampie rispetto al circoscritto scenario ferrarese.
Tornò nella città natale in un’unica occasione, nel corso del 1486, quasi di passaggio (pochi giorni in ottobre, secondo il cronista Girolamo Ferrarini, Memoriale estense, a cura di P. Grignolo, 2006, pp. 245 s.; in novembre, per due settimane, secondo U. Caleffini, Croniche, cit., p. 679). Ma in ogni caso si trattò di un soggiorno molto breve, e mai più ripetuto. Non presenziò ai funerali dei fratelli, con i quali rimase peraltro in relazione, e l’acquisto di un palazzo nell’Addizione erculea (tra il Borgo del Leone e la via degli Angeli, identificabile nell’attuale palazzo Turchi-Trotti di Bagno) lo effettuò per procura.
Da consumato professionista della diplomazia, gestì con Eleonora d’Este le trattative che portarono a siglare il contratto matrimoniale fra Ludovico il Moro e Beatrice d’Este. Quindi raggiunse la comitiva ferrarese a Pavia (gennaio 1491) e la scortò fino a Milano, ragguagliò il duca sulla fastosità delle cerimonie, e nei mesi successivi svolse un ruolo delicatissimo di ‘sentinella’ e di intermediario fra i due coniugi, viste le lamentele di Ludovico il Moro per le inadempienze coniugali di Beatrice, e la necessità di informare con prontezza il duca su questi aspetti confidenziali, nonché di suggerire a Beatrice di «mettere da canto tanta vergogna» e fare «feste e careze a suo marito» per il bene della dinastia (Archivio di Stato di Modena, Carteggio ambasciatori, Milano, b. 6, 22 febbraio 1491).
Tra le notizie che i dispacci dell’attento Trotti diedero in anteprima a Ercole I, vi fu la cacciata degli ebrei dalla Spagna (1492), in previsione della possibile accoglienza di famiglie di marrani in Ferrara, con positivi risvolti finanziari per la città, e i primi movimenti degli eserciti all’inizio delle guerre d’Italia.
Le lettere di Trotti a Ercole I si interruppero senza preavviso il 3 ottobre 1495, nel mezzo dell’organizzazione di un viaggio istituzionale del duca in Lombardia.
Morì in un’osteria di Vigevano il 7 ottobre 1495.
Giacomo si presentava nel 1471, secondo l’istantanea che ne fece il cronista Hondedio di Vitale (Ferrara, Biblioteca Ariostea, coll. Antonelli, n. 257, c. 5r), «de statura comune, rubiconda la faza tonda, capilli curti, verille et de grande intelligentia, da molti odiato ma temuto». Un uomo brillante, scaltro, perspicace, capace di costruire una vera e propria società per affari giocando su un torbido connubio tra politica e finanza.
Non si sposò, o quantomeno non venne mai attestato un suo legame pubblico. Ebbe sicuramente una figlia illegittima, nata intorno al 1468 e legittimata nel 1479, che con accorta politica matrimoniale riuscì a congiungere a esponenti di schiatte cittadine di spicco come i Bonfranceschi e i Sacrati. Alcuni documenti familiari attestano anche la presenza di un figlio bastardo di nome Milanino, che però non venne mai inserito nella linea ereditaria ufficiale.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Modena, Carteggio ambasciatori, Roma, b. 1, f. 9, Milano, bb. 3-9a, 10a-10b; Ferrara, Archivio Storico Comunale, Fondo familiare antico, b. 24; Biblioteca Ariostea, coll. Antonelli, n. 257: Hondedio di Vitale, Cronaca di Ferrara dal 1471 al 1496, cc. 5r, 10v, 15rv, 23r; Archivio Pasi: famiglia Trotti, b. 22, ff. 1523-1525, 1530; Diario ferrarese dall’anno 1409 sino al 1502 di autori incerti, a cura di G. Pardi, in RIS, XXIV, 7, Bologna 1928-1933, p. 163; B. Zambotti, Diario ferrarese dall’anno 1476 sino al 1504, a cura di G. Pardi, ibid., XXIV, 7, Bologna 1934-1937, pp. 49, 78, 120, 160, 187 s.; Riccobaldo da Ferrara, Chronica parva ferrariensis, a cura di G. Zanella, Ferrara 1983, pp. 140-147; U. Caleffini, Croniche. 1471-1494, Ferrara 2006, pp. 22, 25, 82, 131, 203, 310, 377-382, 454-458, 703-704, 806-811; G. Ferrarini, Memoriale estense (1476-1489), a cura di P. Griguolo, Rovigo 2006, pp. 75, 114, 157-161, 210, 245 s., 271.
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