TRITTO, Giacomo
TRITTO, Giacomo. – Nacque il 2 aprile 1733 ad Altamura, da Domenico di Tritto, commerciante, e da Maria Tirelli.
Undicenne si trasferì a Napoli, dove fu ammesso al Conservatorio della Pietà dei Turchini. Studiò violoncello (probabilmente con Orazio Gravina, insegnante dal 1744 al 1759), poi contrappunto e composizione, con Pasquale Cafaro e Nicola Sala, allora ‘maestrini’, assumendo egli stesso questa funzione nel 1759. Terminati gli studi, continuò a insegnare in conservatorio; nel 1785 risulta ‘secondo maestro straordinario’, o ‘terzo maestro di cappella’, con uno stipendio mensile di tre ducati; nel 1793, morto il predecessore, Nicola Sala, divenne ‘secondo maestro’, con uno stipendio di 5 ducati; nel 1799 fu nominato ‘primo maestro’, senza aumento di stipendio. Con decreto del 21 novembre 1806 l’amministrazione francese del Regno di Napoli diede inizio alla riforma delle istituzioni musicali: Fedele Fenaroli, Giovanni Paisiello e Tritto furono nominati direttori del nuovo conservatorio, e i conservatori preesistenti furono unificati (dal 1808) nell’ex convento di S. Sebastiano. Nel 1813 Nicolò Zingarelli divenne direttore generale e amministratore del collegio; Tritto mantenne la carica di primo maestro di contrappunto e di composizione, ottenendo nel 1813 anche quella di direttore delle scuole musicali esterne. A inizio Ottocento due fazioni si contendevano il primato dell’insegnamento musicale professionale in Napoli, ispirate l’una a Leonardo Leo, votata a uno stile che privilegiasse le «combinazioni armoniche», gli «intrecci delle parti», le «contronote», l’altra a Francesco Durante, fautrice della «chiara disposizione delle voci», delle «facili modulazioni», dell’«eleganza delle armonie» e dell’«effetto», considerati «i mezzi più adatti a comporre musica che dilettasse più che sorprendesse» (Florimo, 1882, p. 81); Tritto appartenne alla prima. Ebbe per allievi Ercole Paganini, Giuseppe Farinelli, Ferdinando Orlandi, Gaspare Spontini e Pietro Raimondi; altri, come Nicola Manfroce, Saverio Mercadante, Carlo Conti e Vincenzo Bellini, dopo aver intrapreso gli studi con Tritto, li proseguirono con Zingarelli, della fazione durantista.
Testimonianza del magistero di Tritto sono due testi teorici pubblicati a Milano da Ferdinando Artaria intorno al 1820, Partimenti e regole generali per conoscere qual numerica dar si deve ai vari movimenti del basso e Scuola di contrappunto, ossia Teorica musicale; entrambi i trattati furono dedicati al re Ferdinando, che benignamente coprì le spese di stampa.
I Partimenti e regole generali, 24 lezioni e 12 fughe, mostrano un gusto al contempo conservatore e moderno: Tritto predilesse il contrappunto denso e intricato, ma fu probabilmente anche l’unico maestro della scuola di Napoli che scrisse partimenti – ossia abbozzi su pentagramma singolo che avviano all’apprendimento delle tecniche per improvvisare alla tastiera una composizione a più voci – non solo nelle forme correnti della musica da chiesa bensì anche in quelle della musica da camera (Sanguinetti, 2012, p. 83). La Scuola di contrappunto presenta lezioni e fughe accompagnate da spiegazioni in forma di dialogo tra maestro e discepolo; nella prefazione l’autore si professa allievo di Cafaro e lamenta il declino della disciplina contrappuntistica. Rimasero inedite le Regole di bellamente cantare in canto fermo (Napoli, Biblioteca del Conservatorio, Rari 2.5.25/4), stilate nel 1759, quando era ancora allievo di conservatorio.
Tritto ricoprì altre cariche di responsabilità. Nel 1787 fu direttore del teatro di San Carlo, sostituendo il defunto Cafaro, che aveva coadiuvato negli ultimi anni di vita come maestro della Real Casa (Real Cappella e Real Camera Palatina; doveva dirigere i concerti di corte, comporre, dare lezioni di musica e di canto ai componenti della famiglia reale). Nello stesso anno, lasciò l’incarico di direttore a Paisiello, di ritorno dalla Russia, per poi assumerlo nuovamente nel 1816 alla morte del collega. Il 20 febbraio 1804 Paisiello, pur trovandosi a Parigi, era stato nominato maestro di cappella del municipio di Napoli, al posto del defunto Gaetano Manna; in sua assenza e fino al ritorno (agosto 1804) l’incarico era stato conferito a Tritto.
L’attività teatrale di Tritto iniziò nel 1754 con l’opera buffa Le nozze contrastate (Napoli, teatro dei Fiorentini); tornò alle scene nel 1764 con la commedia per musica La fedeltà in amore (Napoli, teatro Nuovo; libretto di Francesco Cerlone). Nel Carnevale del 1765 l’intermezzo Li furbi fu recitato nel convento di S. Chiara; in quegli anni il monastero si valeva per le funzioni liturgiche di noti musicisti, tra cui i due Manna (Gennaro e Gaetano), Giacomo Insanguine e appunto Tritto. Dopo una lunga pausa di quindici anni, durante la quale si votò in esclusiva all’insegnamento, ritornò alle scene, dedicandosi al genere buffo e incontrando il favore del pubblico. Dal 1780 al 1782 fu impegnato al teatro Nuovo: nel 1780 diede la commedia Il principe riconosciuto e la farsetta La Marinella (libretti di Cerlone); nel Carnevale del 1781, le commedie La Bellinda (Cerlone) e La francese di spirito (Giuseppe Mililotti); nel Carnevale del 1782, Don Procopio in corte del Preteianni (ignoto il librettista) e Don Papirio (Giuseppe Palomba). Per il teatro dei Fiorentini, che lo aveva scritturato per il Carnevale del 1783, compose due commedie in un atto, su libretto di Giovanni Battista Lorenzi, Il convitato di pietra e I due gemelli.
Nel Convitato, pur nell’ambientazione sivigliana della comedia di Tirso de Molina, l’interesse, più che dalla figura di Don Giovanni, promana soprattutto dai personaggi di bassa estrazione, in particolare da Pulcinella, un Leporello napoletano che canta in dialetto un’aria, un duetto e un terzetto. Le capacità istrioniche dei buffi sono esaltate dalle situazioni divertenti tipiche della ‘commedeja pe mmuseca’ napoletana cui i due autori fanno ricorso, come nella scena del combattimento tra Don Giovanni e Pulcinella, che al buio non si riconoscono, e nella festa nuziale di Pulcinella e Lesbina, allietata da una tarantella cui concorrono anche il colascione e il tamburo (ed. del testo in C.C. Russell, The Don Juan legend before Mozart, Ann Arbor, Mich., 1993, pp. 289-326).
Nel 1783 andarono in scena La scuola degli amanti (teatro Nuovo; Palomba), commedia più volte replicata, anche a distanza di tempo (Napoli e Palermo, 1784; Napoli, 1794; Chieti e Napoli, 1795; Teramo, 1796), e La sposa stramba (Fondo); nel 1784, il dramma giocoso La scuffiara (Fiorentini; Lorenzi). L’ottimo esito ottenuto dalle sue opere aprì quell’anno a Tritto le porte di altri palcoscenici della penisola (l’intermezzo Il matrimonio negli Elisi, o sia La sposa bizzarra fu dato a Roma, teatro della Pallacorda di Firenze) e a Napoli quello del San Carlo, per il quale compose il primo dramma per musica di soggetto serio, L’Artenice, dato il 13 agosto per il genetliaco della regina Maria Carolina. Per il teatro Valle di Roma, Carnevale del 1786, compose le farsette Li raggiri scoperti (Tritto fu ricondotto a casa in trionfo; de La Fage, 1841, p. 335) e Le gelosie, ovvero I due fratelli burlati. Nella stessa stagione, il 10 gennaio, al teatro Argentina, venne ben accolta l’opera seria L’Arminio (Ferdinando Moretti). Nel 1786 andarono in scena a Napoli due drammi, Armida e La vergine del sole (26 dicembre, Fondo), quest’ultimo su libretto di Carlo Giuseppe Lanfranchi Rossi; in un’inserzione a pagamento della gazzetta Notizie dal mondo si legge che il poeta «ha introdotto in Napoli per il primo i Finali nell’opera seria, ed ha incontrato l’approvazione di tutti li veri conoscitori dello spettacolo» (9 gennaio 1787): il riferimento s’inserisce probabilmente nella disputa circa la primogenitura nell’introduzione dei finali concertati nell’opera seria, primato spesso attribuito al Pirro di Giovanni De Gamerra e Paisiello (Napoli, San Carlo, 12 gennaio 1787). Del 1787 sono il dramma Le vicende amorose (Roma, Valle; tra le numerose repliche, Parigi, 1789, per l’inaugurazione del Théâtre de Monsieur; Vienna, Burgtheater, 5 novembre 1792, con il titolo Gli amici rivali, e Lisbona, Saõ Carlos, stagione di Carnevale del 1797) e la commedia La molinarella spiritosa (Napoli, Fondo; Francesco Saverio Zini); del 1788, l’opera buffa Il giocatore fortunato (Napoli, Nuovo; Giuseppe Petrosellini), e le commedie Lo scaltro avventuriere e La scaltra avventuriera (entrambe a Napoli, Fiorentini; Palomba). Tritto fu impegnato nel genere buffo nei successivi sei anni: a Roma, al Valle, andarono in scena I servi padroni (27 dicembre 1789), La cantarina (Carnevale del 1790; adattamento di un libretto di Carlo Goldoni), e La creduta selvaggia (Carnevale del 1792); a Napoli, La prova reciproca (estate del 1789, Fiorentini; Palomba), Le astuzie in amore e Il cartesiano fantastico (entrambe nel 1790, Nuovo; Giuseppe Diodati), L’equivoco (1791, Fondo), Le trame spiritose (1792, Nuovo; Palomba), Le nozze in garbuglio (autunno 1793, Nuovo; Diodati), L’ordine dal disordine (autunno 1793, teatro di San Ferdinando; Cerlone), L’impostore smascherato e Gli amanti in puntiglio (entrambe nel 1794, Nuovo; Diodati); a Madrid, Le due gemelle, o sia L’inganno amoroso (30 dicembre 1790, Coliseo de los Caños del Peral); a Venezia, La fedeltà nelle selve (Carnevale del 1793, S. Moisè; Michelangelo Prunetti).
Il 26 dicembre 1795 la Scala di Milano aprì la stagione con Apelle e Campaspe (libretto di Antonio Sografi; tra gli interpreti Girolamo Crescentini e Giuseppina Grassini), replicato il 7 maggio 1796 al San Carlo di Napoli e il 10 maggio 1804 al Nazionale di Mantova con il titolo Alessandro in Efeso. Dopo aver composto le commedie Il barone in angustie (1° febbraio 1797, Napoli, Fondo; Palomba) e La donna sensibile, o sia Gli amanti riuniti (estate 1798, Fondo; testo di Domenico Piccinni, nipote del compositore Niccolò), nel 1799 tornò al dramma: il 12 gennaio, nei giorni della rivolta dei cosiddetti lazzari e alla vigilia della proclamazione della Repubblica napoletana (il 23 del mese), al San Carlo andò in scena Nicaboro in Jucatan (libretto di Piccinni), «festeggiandosi la nascita di Ferdinando IV». Il dramma fu replicato anche sotto la Repubblica, questa volta però – così la locandina – «per solennizzare la espulsione del Tiranno»; il pubblico non lo apprezzò, fischiandolo ripetutamente. Restaurato il potere borbonico, Tritto compose la cantata Il disinganno (testo di Diodati), data al San Carlo il 22 luglio 1799, «per l’ingresso vittorioso dell’armata del re e per l’abbattimento della repubblica»; secondo il Diario napoletano (1906), di Carlo De Nicola, «la serenata portata a S. M. riuscì vaghissima. La cantata figurava l’ingresso della R. Armata e l’arrivo di S. M., espressa in dialogo drammatico tra Partenope e Sebeto». Seguirono l’opera semiseria I matrimoni in contrasto (Carnevale del 1800, Roma, Valle), e nel teatro di corte a Napoli il componimento drammatico La gara campestre (1800; Giuseppe Pagliuca) e l’azione drammatica Il tempio della gloria (30 maggio 1801), l’uno «festeggiandosi il giorno natalizio della maestà di Carolina d’Austria regina delle Due Sicilie», l’altra «il glorioso nome di Ferdinando IV».
Nell’ultimo decennio di attività Tritto si dedicò in esclusiva a comporre opere serie e cantate: per il San Carlo scrisse Ginevra e Ariodante (13 agosto 1801; Piccinni), Gli americani (4 novembre 1802; Giovanni Schmidt; poi anche al Saõ Carlos di Lisbona il 4 novembre 1803, e ancora al San Carlo il 15 agosto 1805, in un nuovo allestimento con il titolo Gonzalvo, o sia Gli americani), e la cantata La reggia del destino (21 novembre 1802); per il Nuovo, L’omaggio pastorale (1802; Gianluca Pagliuca); per Roma, Cesare in Egitto (8 gennaio 1805, teatro delle Dame; Schmidt), Elpinice e Vologeso (Carnevale del 1806, delle Dame; Schmidt) e Andromaca e Pirro (Carnevale del 1807, Argentina). Si congedò dalle scene il 15 agosto 1810, al San Carlo, con l’opera seria Marco Albino in Siria, accolta con poco entusiasmo («monotona senza alcuna melodia e priva di colori e di effetto», si legge sul supplemento al n. 40 del Monitore napoletano).
La Biblioteca del Conservatorio di Napoli conserva numerose composizioni ecclesiastiche di Tritto, tra cui tredici mottetti, otto messe, sette Dixit Dominus, sei Salve Regina, due Te Deum e un requiem; queste, insieme a una cospicua quantità di partiture teatrali, furono donate all’istituzione musicale dalla famiglia Tritto nel 1839.
Morì a Napoli il 16 settembre 1824 e fu sepolto nella chiesa dell’Ecce Homo ai Banchi Nuovi.
Secondo l’atto di decesso, dalla prima moglie, Mariantonia Mileto, aveva avuto due figli, tra cui Domenico, anch’egli compositore, e cinque dalla seconda, Mariangela Centolini. Una delle figlie, Rosa, sposò il musicista Pasquale Costa; dal matrimonio nacque Michele, illustre compositore e didatta, che fece poi fortuna a Londra.
Compositore prolifico e di successo, Tritto si mostrò particolarmente versato nelle opere comiche, in cui la qualità dell’invenzione, primariamente ritmica, è funzionale alla definizione dei personaggi caricati e all’ambientazione di scene caratterizzate da balli e canzoni della tradizione napoletana popolaresca. E tuttavia il colorito locale e forse anche l’espressività melodica poco spiccata relegarono perlopiù le commedie di Tritto ai palcoscenici napoletani. Si dedicò all’opera seria segnatamente durante il primo decennio dell’Ottocento, essendo deceduti o anziani i maggiori compositori di scuola napoletana (nel 1808, con I pittagorici, Paisiello si era congedato dalle scene cittadine, da cui peraltro mancava da anni, e Domenico Cimarosa era morto nel 1801). Degno di nota è però lo sforzo di acclimatare definitivamente nel genere serio quei finali concertati che da lungo tempo si erano affermati nel comico come punti di forza.
Domenico nacque a Napoli l’11 giugno 1766. Nel 1792 fu ammesso al Conservatorio della Pietà dei Turchini, dove studiò con il padre; dal 1798 svolse l’attività di ‘mastricello’ (vice), poi di maestro. Fu maestro di cappella a Napoli in S. Giuseppe dei Nudi e in S. Chiara; dal novembre del 1806 al febbraio del 1807 svolse la funzione di clavicembalista nel San Carlo. Fu autore di musiche da chiesa e sinfonie; per il teatro compose la burletta Lo specchio dei golosi (2 febbraio 1805, Roma, Valle; libretto di Lorenzi) e i drammi Zelinda e Rodrigo, La parola di onore (entrambi a Napoli, Fondo, 1815) e Traiano (30 maggio 1818, San Carlo; Schmidt). Conobbe il francese Adrien de La Fage, al quale fornì ragguagli aneddotici sul genitore.
Morì nel dicembre del 1851 a Napoli.
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