STEFANESCHI, Giacomo (Iacopo)
– Nacque presumibilmente a Roma negli anni Cinquanta-Sessanta del XIII secolo, da Giovanni Arlotti, uno dei principali sostenitori romani di Corradino di Svevia.
Suoi fratelli furono Matteo e Pietro (anch’egli filosvevo: combatté a Tagliacozzo il 23 agosto 1268); è solo una supposizione che un altro fratello fosse Cinzio Arlotti, canonico della Chiesa di Tours e poi della basilica di S. Pietro in Vaticano.
È un dato accettato dalla storiografia che gli Arlotti costituissero un ramo collaterale della potente famiglia romana degli Stefaneschi, quello, appunto, degli Arlotti-Stefaneschi. Tra le poche testimonianze relative a Giacomo e ai suoi congiunti, solamente quella tramandata dall’Historia Augusta di Albertino Mussato mette in relazione Giacomo con gli Stefaneschi, ricordandolo come Iacobus Iohannis Arloti de Stephaniscis (Albertini Mussati Historia Augusta..., 1727, col. 507).
Grazie a un intervento di Bonifacio VIII (2 settembre 1295), si ha notizia della ribellione degli abitanti di Nocigliano (diocesi di Nepi) contro i loro legittimi signori: nell’occasione essi fecero atto di sottomissione ai conti Anguillara, ai quali la signoria spettò poi sino al 1445.
Stefaneschi ebbe esperienze politiche importanti. Nel secondo semestre del 1305 fu podestà di Todi e guidò le truppe tuderti contro Massa Martana, conquistata il 29 settembre; ma fu soprattutto a Roma nel 1312-13 che egli si mise in luce. In quell’anno, secondo una lettera del genovese Cristiano Spinola al re d’Aragona, il romanus populus in rivolta, dopo aver preso a sassate e cacciato i due senatori eletti per pacificare la situazione politica (Sciarra Colonna e Francesco Orsini), raggiunse il Campidoglio e nominò una giunta di 26 boni viri ad reformationem Urbis, che scelse come senator et capitaneus Urbis Giacomo di Giovanni Arlotti (A. Theiner, Codex diplomaticus..., 1861, p. 469; H. Finke, Acta Aragonensia..., 1908, pp. 325 s.). Da Avignone, Clemente V prese atto e il 10 febbraio 1313 confermò ufficialmente Giacomo nell’incarico per un anno, sollecitando al contempo le principali famiglie nobili romane a sottomettersi al nuovo senatore.
Mussato ha descritto quegli eventi con dovizia di particolari. Il popolo in rivolta aveva preso il controllo di importanti punti strategici della città, come Castel Sant’Angelo e la torre delle Milizie, poi aveva rimesso il potere municipale nella mani di Stefaneschi, che egli definisce «animo non mediocri, nec Romanae expers audaciae», arrivando a paragonarlo al senatore Brancaleone degli Andalò. Non casualmente il cronista padovano Mussato espone poi i provvedimenti antimagnatizi che Stefaneschi impose a Orsini e Colonna: risarcimento dei danni subiti dai cittadini per la distruzione di edifici, processi e bandi. Come aveva fatto Andalò sessant’anni prima, Stefaneschi fece distruggere alcune torri, tra le quali quella denominata del Monzone, situata presso il ponte S. Maria, che controllava il collegamento tra la città e il Trastevere (Albertini Mussati Historia Augusta..., 1727, coll. 507 s.).
Come avveniva ogni volta che a Roma si affermava un regime popolare, sotto la guida di Stefaneschi il Comune romano riprese una politica di espansione territoriale, andando incontro all’ostilità del papa, preoccupato per le sorti di città e castelli del patrimonio soggetti alla Chiesa romana. Pieno successo ebbe, invece, con l’assoggettamento di Velletri, che da tempo resisteva alla pressione del Comune maggiore. La trattativa fu condotta, apparentemente, alla pari: è possibile che la sottomissione a un Comune romano dallo stampo popolare e antimagnatizio fosse vista dal Comune di Velletri come il male minore, rispetto al pericolo costituito dall’aggressività dei baroni. Difatti il Comune capitolino chiedeva obbedienza, ma offriva piena protezione ai cittadini di Velletri.
Il testo del trattato indica anche com’era organizzato il governo cittadino sotto la guida di Stefaneschi, che era affiancato da un consiglio generale, dai consoli delle arti e da una giunta composta da centoquattro membri, otto per rione. Due settimane dopo la stipulazione del trattato con Velletri, anche Cori si sottomise in modo analogo al Comune romano.
Nessuna testimonianza torna a parlare di Stefaneschi, che, poco dopo aver ottenuto la conferma papale, fu deposto probabilmente a seguito di una reazione nobiliare. Ai primi di marzo del 1313, appaiono in effetti in carica come senatori proprio Francesco Orsini e Sciarra Colonna, deposti all’inizio della vicenda che per alcuni mesi aveva visto Stefaneschi come assoluto protagonista della scena politica romana.
Non si possono fare ipotesi sulla sua data di morte.
Fonti e Bibl.: Albertini Mussati Historia Augusta..., in RIS, X, Milano 1727, coll. 507 s.; A. Theiner, Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis..., I, Roma 1861, pp. 327, 468 s., nn. 496, 631, 632 e 633; Les registres de Boniface VIII (1294-1303), a cura di G. Digard, I, Paris 1884, col. 276, nn. 819-821; P. Egidi, Intorno all’esercito del Comune di Roma nella prima metà del secolo, Viterbo 1897, pp. 42-44; H. Finke, Acta Aragonensia. Quellen zur deutschen, italienischen, französischen, spanischen, zur Kirchen- und Kulturgeschichte aus der diplomatischen Korrespondenz Jaymes II. (1291-1327), I, Berlin-Leipzig 1908, pp. 325 s.; Die Chronik des Saba Malaspina, a cura di W. Koller - A. Nitschke, in MGH, Scriptores, XXXV, Hannover 1999, pp. 199, 201.
L. Cardinali, Dell’autonomia di Velletri nel sec. XIV, in Atti della Società letteraria volsca-veliterna, III (1839), pp. 243-250; F. Gori, La torre del Monzone presso il Ponte Rotto di Roma non fu mai casa del tribuno Cola di Rienzo, in Il Buonarroti, VI (1871), p. 253; A. de Boüard, Le régime politique et les institutions de Rome au Moyen-Âge. 1252-1347, Paris 1920, pp. 16, 60, 88, 102, 106 s., 124, 138, 142, 211, 255, 295 s.; A. Salimei, Senatori e statuti di Roma nel Medioevo, I, Roma 1935, p. 94; E. Duprè Theseider, Roma dal Comune di popolo alla signoria pontificia (1252-1377), Bologna 1952, pp. 168, 423-425; G. Marchetti Longhi, Gli Stefaneschi, Roma 1954, pp. 58-61; F. Mancini, La cronaca Todina di Ioan Fabrizio degli Atti, in Studi di filologia italiana, XIII (1955), p. 145; G. Falco, Studi sulla storia del Lazio nel Medioevo, I-II, Roma 1988, pp. 25-28, 35, 48, 581 s.; S. Carocci, Baroni di Roma. Dominazioni signorili e lignaggi aristocratici nel Duecento e primo Trecento, Roma 1993, pp. 39, 71, 117, 302, 423 s.; S. Menache, Clement V, Cambridge 1998, p. 138; A. Rehberg, Die Kanoniker von S. Giovanni in Laterano und S. Maria Maggiore im 14. Jahrhundert: eine Prosopographie, Tübingen 1999, pp. 196, 207, 251, 306; I. Lori Sanfilippo, La Roma dei romani. Arti mestieri e professioni nella Roma del Trecento, Roma 2001, p. 74; C. Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano giorno per giorno. L’Italia di Giotto e Dante, I, 1300-1325, Roma 2007, pp. 152, 402; M.T. Caciorgna, Il districtus Urbis: aspetti e problemi sulla formazione e sull’amministrazione, in Sulle orme di Jean Coste. Roma e il suo territorio nel tardo medioevo, a cura di P. Delogu - A. Esposito, Roma 2009, p. 100; J.-C. Maire Vigueur, L’altra Roma. Una storia dei romani all’epoca dei comuni (secoli XIII-XIV), Torino 2011, pp. 297 s.; F. Lazzari, Velletri nel Medioevo, Tivoli 2015, pp. 94-96; D. Internullo, Ai margini dei giganti. La vita intellettuale dei romani nel Trecento, Roma 2016, pp. 159-161; F. Lazzari, La lotta tra Roma e Velletri nella seconda metà del Trecento. Ceti dominanti e divisione del potere, in Giorgio Falco tra Roma e Torino, Atti del Convegno, Velletri... 2016, Tivoli 2017, pp. 107 s.