SIMONETTA, Giacomo
– Nacque intorno al 1475, verosimilmente a Milano, dall’unione in seconde nozze di Giovanni, già segretario del duca Francesco Sforza accanto al fratello Cicco (si vedano le voci dedicate a Cicco e a Giovanni Simonetta in questo Dizionario), con Caterina Barbavara, figlia del segretario visconteo Marcolino, poi eletto conte di Gravellona per intercessione del genero nel 1467.
Il matrimonio aveva rappresentato un tassello importante all’interno del sistema di alleanze sapientemente intessuto nella seconda metà del Quattrocento dai Simonetta, di origini calabresi, per legarsi stabilmente al patriziato milanese. Oltre a Giacomo, la coppia generò sette figli maschi (Francesco, Alessandro, Girolamo, Filippo, Paolo, Pietro Battista e Bartolomeo) e due femmine (Margherita e Battista).
Non si hanno notizie dell’educazione di Giacomo, ma, alla luce delle propensioni letterarie e storiografiche di Giovanni, autore dei Rerum gestarum Francisci Sfortiae, è plausibile che essa si svolse secondo i canoni umanistici, con una marcata impronta classicistica. Intorno ai cinque anni, seguì probabilmente il padre, spogliato di titoli e rendite ed esiliato a Vercelli dopo la presa di potere di Ludovico il Moro e la condanna a morte per decapitazione inflitta a Cicco nell’ottobre del 1480. Il repentino capovolgimento di fortuna impose una riorganizzazione della politica familiare intorno alla progenie di Giovanni, scomparso dopo il 1490 ancora non del tutto riabilitato. Con l’avvento dei monarchi francesi, e sotto il dominio di Luigi XII in particolare, Alessandro e Francesco, fratelli di Giacomo, riuscirono a rientrare nell’amministrazione milanese e ad avvicinarsi in seguito a Carlo V (il primo fu collettore generale e conte palatino, il secondo segretario ducale), mentre Giacomo veniva indirizzato agli studi giuridici come primo passo verso la carriera ecclesiastica.
Studiò legge sotto la guida di Alessandro Tartagni, Bartolomeo Socino e Giason del Maino a Padova e Pavia e, pur non essendosi ritrovato il diploma di laurea, è presso l’ateneo ticinese che si addottorò in utroque iure prima del 1498, anno in cui figura tra i nobili giureconsulti milanesi.
Si spostò a Roma sul principio del nuovo secolo, tralasciando da qui in avanti gli affari di famiglia, se si eccettuano alcune vertenze riguardanti commende e benefici, liti, convenzioni e compravendite condotte tra 1507 e 1529 insieme con i fratelli e rintracciabili nell’Archivio di Stato di Milano tra gli atti del notaio Francesco Barzi. Nell’Urbe si distinse subito come promettente canonista con la stesura del trattato De reservationibus beneficiorum (copie presso la Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 8146 e l’Archivio segreto, Misc., Arm. XII, vol. 179), edito postumo nel 1583 a Colonia per le cure del protonotario apostolico Paolo Granucci e ripubblicato, con la corretta identificazione di Simonetta come cardinale, a Roma nel 1588 e nel 1589. Nel 1505, Giulio II, sorpreso dalle doti del giovane, lo nominò avvocato concistoriale e successivamente referendario delle due Segnature.
L’assunzione di questi uffici conforta l’ipotesi della paternità di un altro trattato su questi due istituti (Notabilia Signaturarum Justitiae et Gratiae), redatto in quegli anni e trasmessoci insieme con il De reservationibus beneficiorum dal codice dell’Archivio segreto Vaticano.
I Della Rovere già avevano soccorso i Simonetta nel momento di maggiore difficoltà, quando, nel 1481, Sisto IV aveva eletto suo scudiero Antonio, esule figlio di Cicco. Dopo appena sei anni di servizio, il 18 febbraio 1511, fu il secondo papa della Rovere a promuovere Giacomo tra gli uditori della Sacra Rota, rendendolo uno dei primi della nutrita schiera di giureconsulti collegiati milanesi chiamati in Curia per le loro competenze legali e poi ascesi ai vertici della gerarchia ecclesiastica. Gli venne in seguito affidata la delicata missione diplomatica del passaggio di Montepulciano dai possedimenti senesi a quelli della Repubblica fiorentina, portata a termine in autunno con piena soddisfazione delle parti e senza il temuto coinvolgimento della Francia. Forte del nuovo incarico curiale, poté inoltre prendere parte al Concilio Lateranense V, inaugurato nel maggio del 1512. Buoni furono i rapporti con Leone X, per cui si occupò principalmente di cause di canonizzazione, come provano due importanti relazioni a favore di Francesco di Paola e Antonino Pierozzi.
La prima (copia cinquecentesca presso la Biblioteca Ambrosiana, I.258 inf., cc. 86r-95r) servì subito allo scopo e fu data alle stampe nel 1625 (Roma, Facciotti), mentre la seconda, che consta di una biografia di 6 fogli, dedicata a papa Medici, è passata finora inosservata; essa si conserva manoscritta presso la Biblioteca del capitolo della Cattedrale di Viterbo (Fondo Manoscritti, fald. 10, f. 13) e testimonia l’avvio del processo riguardante l’arcivescovo di Firenze, già definito beato nel testo e poi proclamato santo da Adriano VI nel 1523 con una bolla pubblicata pochi mesi dopo da Clemente VII. Parte delle sue decisioni rotali è raccolta nel summenzionato Vat. lat. 8146, mentre una supplica diretta ci è pervenuta attraverso una lettera dall’umanista editore Alessandro Minuziano nel febbraio del 1521 (Milano, Biblioteca nazionale, AD.XI.31, c. 163r).
Tra il 1523 e il 1528, ricoprì il ruolo di decano in quanto uditore più anziano e anche dopo la nomina a vescovo di Pesaro (17 luglio 1528) continuò a partecipare alle sedute del tribunale in qualità di locumtenens per altri sette anni, trovandosi ad agire in prima fila, secondo solo al nuovo decano, Paolo Capizucchi, durante tutte le fasi della causa di divorzio di Enrico VIII. Contrariamente a quanto affermato nelle precedenti biografie, si spese a lungo e senza prevenzioni per una soluzione equilibrata (cfr. Surtz, 1974), prima del mutare delle condizioni politiche che portarono alla sentenza emanata il 23 marzo 1534 , dove il giudizio negativo che egli aveva espresso in Concistoro in sostituzione di Capizucchi venne esplicitamente fatto proprio da Clemente VII (Archivio segreto Vaticano, Arch. Concist., Acta Consist., voll. 3037, c. 242r, e 3343, c. 240v). Ormai tra i più apprezzati giuristi in Curia, fu subito richiesto dal nuovo papa, Paolo III, per risolvere un’altra causa spinosa che vedeva opporsi i cardinali Benedetto Accolti e Ippolito de’ Medici per la legazione della Marca anconitana.
Ottenne finalmente la porpora con il titolo di S. Ciriaco alle Terme, poi cambiato con quello di S. Apollinare, nella seconda creazione del 21 maggio 1535, insieme con Gasparo Contarini e altri prelati che si erano distinti nella questione enriciana, come Nikolaus von Schönberg, Girolamo Ghinucci, Jean Du Bellay e John Fisher. Risale a quei giorni la lettera di felicitazioni di Prospero Santacroce, al tempo studente di legge a Padova, dove si ricorda l’amicizia tra il padre, Tarquinio, e Simonetta (Biblioteca apostolica Vaticana, Reg. lat. 487, cc. 38r-39r). Dopo la berretta rossa, sempre risiedendo a Roma, ottenne in breve tempo importanti benefici, tra cui i vescovadi di Perugia (20 dicembre 1535), Lodi (4 agosto 1536) e Sutri-Nepi (6 febbraio 1538, come amministratore apostolico), ma non (come sostenuto finanche da Eugène Sol, 1902, p. 21) quello di Conza, che fu assegnato invece a Nicola Caetani, il cardinal Sermoneta. Si dimostrò inoltre abilissimo nello sfruttare il meccanismo della resignatio in favorem a beneficio dei nipoti, anche in virtù della sua promozione a prefetto della Segnatura di grazia. Pesaro e Lodi vennero cedute ai figli di Alessandro, rispettivamente Ludovico, più tardi cardinale, e Giovanni, mentre Perugia passò a Francesco Bernardino, figlio di Filippo e committente della cappella Simonetta nel monastero Maggiore di Milano.
Fu chiamato da Paolo III a far parte delle commissioni per la riforma della Curia (1535-36), per la riforma della Dataria (aprile 1537), poi allargatasi nel 1539 ad altri dicasteri, e per la convocazione e gestione del Concilio ecumenico (marzo 1538). Simonetta, insieme ad altri cardinali canonisti come Girolamo Ghinucci, Cristoforo Jacobazzi, Paolo Emilio Cesi e Gian Domenico de Cupis si oppose autorevolmente alle iniziative del fronte riformatore guidato da Contarini, Reginald Pole e Gian Pietro Carafa e ancora in apparenza compatto. Fallita la convocazione dell’assemblea a Mantova, fu inviato a Vicenza come persona di assoluta fiducia e legato papale, istruito, insieme con i colleghi Girolamo Aleandro e Tommaso Campeggi, a evitare qualunque azione concreta.
Non si conoscono le sue posizioni rispetto alla Riforma, ma è significativo che ancora nel novembre del 1536 celebrasse Erasmo, «divinus vir» appena scomparso, in una lettera al controversista Friedrich Nausea, a cui chiese anche consigli in merito al Concilio e che aiutò a diventare coadiutore di Vienna, aprendogli le porte del vescovado. Fu anche molto stimato dai cardinali Iacopo Sadoleto e Pole quale retto giureconsulto e raffinato uomo di lettere e corrispose a lungo con il duca di Mantova, Federico II Gonzaga, sia per la legittimità dell’acquisizione del Monferrato sia per la richiesta di canonizzazione di due beate ravennati.
Morì il 2 novembre 1539 dopo giorni di agonia (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, Relazioni con Stati Italiani ed Esteri, vol. 3262, inserto 4, cc. 59r, 66r).
Fu sepolto a Trinità dei Monti, nella cappella (ora di S. Francesco di Paola) fatta costruire appositamente nel 1521, lasciando intendere una sua vicinanza alla Francia e all’Ordine dei minimi. Aveva inoltre predisposto in diversi momenti generose donazioni per le chiese milanesi di S. Giovanni alle Quattro Facce, contigua al palazzo di famiglia e demolita nel 1786, di S. Bartolomeo, abbattuta nel 1861, e di S. Maria del Carmine, luogo di sepoltura del prozio Angelo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Atti dei notati, Atti, bb. 3900-3901, 3904-3905, 3908, 3912-3917, docc. 4666, 4849, 5221, 5308, 5363, 5440, 5949, 5991, 6668, 6739, 6819, 6984, 7006, 7146, 7237, 7362, 7459, 7700; Consilia doctissima [...] super statu Montisferrati, Ferrariae, Rossi, 1536 (poi Mantuae 1602), passim; Epistolae miscellaneae ad Fridericum Nauseam, Basileae, Oporinus, 1550, pp. 167-168, 170 s., 191-193, 224 s.; I. Sadoleto, Epistolarum libri sexdecim, Coloniae, Horst, 1575, pp. 319 s., 592-597; W. Friendensburg, Beiträge zum Briefwechsel der Katholischen Gelehrten Deutschlands im Reformationszeitalter, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, XVIII (1898), pp. 106-131, 233-297, 420-463, 596-636 (alle pp. 428-430 lettera di risposta tardiva del controversista Johannes Cochlaeus con richiesta di sussidi, inviata nel marzo 1540, dopo la morte di Simonetta); P.O. Kristeller, Iter Italicum, V, London-Leiden 1990, p. 217a (versi celebratori) e 343a (scambi con Campeggi); G. Zarri, Madri e maestre: Margherita Molli e Gentile Giusti nel primo Cinquecento ravennate, in Storia di Russi. Dalla villa alla città, a cura di E. Baldini - D. Bolognesi, Ravenna 2014, p. 361-376 (lettere a Federico II); A. Ganda, L’umanesimo in tipografia. Alessandro Minuziano e il genero Leonardo Vegio editori e stampatori (Milano, 1485-1521), Roma 2017, pp. 58, 423 s. (supplica di Minuziano).
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