SARDINI, Giacomo
– Nacque da Giovan Battista Domenico di Jacopo e da Isabella Maria Caterina di Domenico Sardini, a Lucca il 6 maggio 1750 nella parrocchia di S. Agostino.
Assieme con la sorella Chiara, nata il 7 maggio 1749, fu lasciato in custodia allo zio Lodovico Sardini poiché il 9 marzo 1751 i genitori partirono per Vienna, dove la madre morì appena ventitreenne il 2 dicembre 1753 e il padre si trattenne come rappresentante diplomatico della Repubblica lucchese fino al febbraio del 1759. Gli incarichi di ambasciatore che Giovan Battista ricoprì anche dopo il rientro a Lucca dalla corte imperiale e la sua morte, il 3 novembre 1761, fecero sì che l’educazione di Sardini fosse interamente affidata allo zio Lodovico.
Erudito, letterato, bibliofilo e bibliografo, antiquario e studioso di storia, appassionato d’arte e d’architettura, Sardini è figura interessante anche sul piano politico, come campione di quel gruppo di aristocratici lucchesi che attraversarono il traumatico passaggio dalla repubblica aristocratica a quella ‘democratica’ e poi la convulsa fase dei governi provvisori, ora filofrancesi ora filoaustriaci, fino al Principato di Elisa e Felice Baciocchi. Vicissitudini che Sardini rispecchiò in due differenti modalità: in maniera diretta e tutta politica con la stampa anonima, a caldo, del pamphlet Dell’aristocrazia lucchese opuscoli III (Pisa, ma Lucca, 1797) e, più tardi, in forma filtrata attraverso le Memorie della famiglia Sardini, dedicate alla moglie morta nel 1807, ma ritmate sui cambiamenti istituzionali, perfettamente approntate per la stampa e tuttavia rimaste inedite.
Tratto distintivo della sua educazione fu una religiosità profondissima: la si coglie nel testamento dello zio Lodovico (1770), che raccomanda al nipote di proseguire in quell’amore di Dio che aveva caratterizzato il padre, del quale peraltro lo stesso Sardini rievoca – nelle Memorie del 1807 – un quasi miracolo compiuto nel corso della missione diplomatica a Torino. «Primaria cura di lui fu l’insinuare ne’ due nipoti le massime e i doveri di religione», scrisse, riferendosi allo zio Lodovico, Tommaso Trenta (1824, p. 9); e nella Storia letteraria di Cesare Lucchesini (1831) si legge che Sardini, anche nella sua attività politica, «non ebbe in tutta la sua vita altra guida che la religione, e perciò la giustizia e la verità» (p. 292).
Sardini ebbe come primo precettore il sacerdote Jacopo Menchini, autore di tre volumi di Conferenze teorico-pratiche di morale teologia (Lucca 1766), per poi proseguire la preparazione letteraria nelle scuole del seminario arcivescovile. A sedici anni espresse il desiderio di perfezionarsi nelle scienze e fu mandato al Collegio clementino dei padri somaschi. A Roma, ebbe modo di consolidare anche la passione per la pittura e l’architettura, ma la sua permanenza in collegio non si protrasse a lungo: nel giugno del 1769, «o fosse per una troppo continua applicazione allo studio, o per soverchia delicatezza di temperamento», afflitto da un continuo mal di testa, rientrò in patria. L’anno successivo compì – in forma ridotta – il viaggio che tradizionalmente concludeva la formazione dell’aristocratico lucchese settecentesco, limitandosi a visitare Milano, la Lombardia, le città della Repubblica di Venezia e Bologna. In questa occasione, incontrò il pittore Lorenzo Moni, che funse da intermediario per l’acquisto della vastissima collezione Pignoni di stampe, e conobbe anche Carlo Bianconi, segretario dell’Accademia di belle arti di Milano e in seguito compilatore della Nuova guida di Milano (Milano 1787), al quale affidò il disegno della villa in stile palladiano che intendeva costruire a Pieve Santo Stefano sulle colline lucchesi (Trenta, 1824, pp. 10-13).
Nel novembre del 1770 morì lo zio Lodovico, che gli aveva fatto da padre, e Sardini rimase solo perché la sorella era stata avviata alla monacazione nel convento di S. Giustina, del quale poi diventò badessa. Tra le pareti del palazzo avito (d’angolo tra le attuali vie S. Giorgio e Cesare Battisti) o, più avanti negli anni, nella nuova villa sulla collina, lo studio occupava pressoché interamente le giornate del giovane.
Nel 1784 si sposò con la zia Maria Teresa di Bartolomeo Talenti e Maria Caterina Sardini, sorella minore della madre Isabella. Ne nacquero: Giovanni Battista Domenico, in ricordo del padre (1789-1794); Bartolomeo (che portava anche il nome Scipione, in memoria del personaggio che aveva fatto un’enorme fortuna nella Parigi delle guerre di religione), morto poco dopo la nascita; due figlie e infine Giovan Battista (1795-1865), destinato a proseguire la famiglia. La morte dei due figli prostrò i coniugi Sardini e aggravò, in particolare, la salute già malferma di Giacomo. Presto ai lutti familiari si aggiunse quello della fine della Repubblica.
Da tempo per Sardini erano iniziati gli impegni politici; prima membro del Consiglio generale e poi degli anziani nel 1775, carica di vertice che ricoprì più volte fino al 1798; nel 1794 fece parte della deputazione segreta per trattare con l’imperatore Francesco II i sussidi richiesti a Lucca per la lotta contro la Francia (Corsi, 1961, p. 510). La caduta della secolare Repubblica per l’arrivo delle truppe francesi e i primi mesi di sconvolgimenti lo videro tra gli oppositori più fermi anche se in posizione solitaria (come segnala la vignetta del frontespizio della prima edizione): preparò e dette alle stampe, anonimamente, appena si riaffacciarono gli austriaci, la raccolta intitolata Dell’aristocrazia lucchese: si tratta di tre opuscoli rispettivamente intitolati Colpo d’occhio sul governo lucchese di sei mesi nell’anno 1799; Del governo aristocratico di Lucca. Orazione scritta per una società di democratici nell’occasione di celebrarsi la solenne festa patriottica del 17 febbraio 1799; Narrazioni istoriche le quali possono servire di schiarimento e di note alla precedente orazione. L’architettura del pamphlet è semplice: far vedere lo stato di confusione e di oppressione (non solo rispetto ai nobili, ma a tutti i «buoni cittadini») dei mesi della Repubblica ‘democratica’ (Sardini contesta lo stesso utilizzo di questo termine); rivendicare i successi dei secoli di governo dell’antica Repubblica e rievocare (citando anche il ruolo del padre Giovan Battista) alcuni momenti storici per dare dimostrazione documentale di quei successi, fondati sulla prudenza e sulla saggezza. Il libretto – stampato a Lucca con la falsa data di Pisa – riscosse un certo successo, se molto rapidamente ne fu fatta una seconda edizione.
Sardini fece parte dei due brevi governi provvisori filoaustriaci dell’agosto 1799 e del giugno-luglio 1800, ma ebbe un posto di senatore, per decreto di Napoleone del 27 giugno 1805, anche sotto il principato di Felice Baciocchi (Bollettino officiale delle leggi e decreti del Principato lucchese, 1807, pp. 46-48). Tra l’ottobre del 1806 e l’aprile del 1807 fu anche maire della municipalità di Lucca e dal 1807 al 1810 presidente della commissione sopra le carceri.
Nel 1807, Sardini aveva perso l’amatissima consorte Maria Teresa. La stesura delle Memorie della famiglia, alla quale si dedicò assiduamente nei mesi successivi, gli dette modo di elaborare il lutto privato e di ripercorrere il lutto pubblico sulla base di una concezione della storia che vede legati «molti privati e pubblici avvenimenti che succederonsi nel viver nostro, li quali servono a formare per le loro correlazioni il carattere politico di questi diversi tempi» (Archivio di Stato di Lucca, Archivio Sardini, 140, p. 48). E infatti le Memorie sono suddivise in due parti: «avvenimenti sotto il governo aristocratico» e poi sotto i nuovi regimi. Il volume, pronto per la stampa, è rimasto inedito (forse per la morte dell’autore) e – probabilmente per gli appesantimenti minuziosamente eruditi ai quali Sardini non rinuncia – non ha trovato negli studi recenti l’attenzione che merita, non fosse altro che per la centralità assegnata alla figura di Maria Teresa, per la sensibilità che esprime nei confronti dei figli e per una storia di famiglia differente da quelle di antico regime.
Vasta è stata la produzione letteraria di Sardini, come testimoniano, oltre i volumi a stampa, almeno una decina di saggi pressoché pronti per i torchi e rimasti nell’archivio familiare, tra i quali si possono ricordare: Dizionario delle virtù de’ sedicenti filosofi, a imitazione del Dizionario ricciano di Francesco Eugenio Guasco (Lucchesini, 1831, p. 292, annotò: «Lo mandò a Venezia perché fosse stampato, ma si smarrì tra via»); Quattro lezioni su lo stato presente dell’architettura («Vi parlava molto dell’architettura greca, della romana, e degli insegnamenti lasciatici da Vitruvio», ibid.); Saggio metafisico su le naturali leggi dell’architettura per servire all’esame critico della bellezza in quest’arte; Dissertazione intorno alla dolcezza della composizione degli alimenti («Inviata il 1793 all’Accademia dei Georgofili di Firenze», ibid.); Commentario sulla passata e presente situazione della repubblica lucchese; Dissertazione sul ballo. I saggi sull’architettura – valorizzati dal recente studio di Paolo Bertoncini Sabatini (2007) – erano nati come riferimento teorico al suo intervento personale nell’edificazione della villa di Pieve Santo Stefano (purtroppo non più esistente perché costruita sulla parte soggetta a frane della collina) e nella ristrutturazione del palazzo di famiglia in città, dove con sensibilità neogotica Sardini volle inserire evidenti elementi che richiamano le torri medievali.
Sull’opera Le tre età del mondo (Lucca 1797), pubblicata in occasione di nozze, sia Trenta (1824) sia Lucchesini (1831) condividono il giudizio che la poesia non sia la corda più risonante del poliedrico Sardini, che pure era stato accolto in Arcadia con il nome di Crisauro Cecropio. Rimane da dire del suo impegno di studioso del libro e della stampa, stimolato e sostenuto anche dall’esperienza di gestione della stamperia Bonsignori, di cui divenne socio nel 1777, e dalla visita all’officina tipografica bodoniana del 1794. Su suggerimento di Anton Maria Amoretti, che ne possedeva una copia, prese a esaminare un incunabolo rarissimo, un consulto di Giovanni Iacopo Cani stampato nel 1468 ma senza indicazione di luogo. Nella sua erudita trattazione, Congetture del marchese Giacomo Sardini senator lucchese sopra un’antica stampa trasmesse ultimamente dal medesimo in tre lettere al molto R. P. Antonmaria Amoretti C.R.D.M.D.D. dimorante in Roma ed ora pubblicate dal proposto Ferdinando Fossi bibliotecario della R. Libreria Magliabechiana di Firenze (Firenze, ma Lucca, Bonsignori, 1794), Sardini ritenne di aver dimostrato che l’in folio era stato impresso a Lucca da uno stampatore itinerante. Non fu di questo parere Lucchesini (1831, pp. 433-435), che pure ne apprezzò lo sforzo erudito di ricostruzione del contesto storico della lite giudiziaria che aveva originato il parere.
Negli anni successivi, diede alle stampe, in tre volumi, il più impegnativo Esame sui principj della francese ed italiana tipografia ovvero Storia critica di Nicolao Jenson. Opera dedicata agli eruditi concittadini del medesimo insigne tipografo della Francia da Giacomo Sardini P. Lucchese A. Oscuro Soc. Cor. de’ Georgofili di Firenze (Lucca, Bonsignori, 1796-1798). In questo caso il plauso dei contemporanei fu unanime, come testimoniano le parole pronunciate nel discorso funebre da Lazzaro Papi (in Prose e versi alla memoria del senatore Giacomo Sardini..., 1812), da Trenta e dallo stesso Lucchesini, che così si esprimeva: «Descrive in essa la vita e le vicende di quel celebre stampatore e della sua officina, considera la carta e i caratteri, e di questi dà le diverse forme, di quella le diverse marche, gli usi va indagando delle stamperie del secolo decimoquinto, e come e quando furono introdotti, e molti altri esami fa sempre con buona critica e con diligenza infinita. In fine dà il catalogo di cento edizioni del secolo quindicesimo che ignote erano al Panzer e agli altri solenni maestri di bibliografia. La diligenza del Sardini usata in tutte le parti della sua opera non poteva esser maggiore, talché meritò l’approvazione degli uomini più eruditi in questo genere» (1831, p. 291). Una fortuna e un’approvazione che non trovano riscontro nei moderni studi bibliografici che si limitano a citarne il titolo in bibliografia (Veneziani, 2004), quando non ne contraddicono apertamente i risultati (Dane, 2011).
Negli ultimi anni della sua vita, Sardini stava lavorando al volume sulla storia dell’arte e del disegno previsto nella collana avviata nel 1809 Memorie e documenti per servire all’istoria del Principato lucchese. Ricordando la sua competenza in materia – testimoniata anche dalla conferenza che aveva tenuto all’Accademia Napoleone su Matteo Civitali – Lucchesini (1831, p. 291) si rammaricava che la morte gli avesse impedito di condurre a termine l’opera. Né rese giustizia alle sue ricerche l’operazione condotta da Trenta (1824), che utilizzò largamente i suoi appunti nel volume ottavo delle Memorie e documenti per servire all’istoria del ducato di Lucca (Dissertazioni sullo stato dell’architettura pittura ed arti figurative in rilievo in Lucca nei bassi tempi, Lucca 1822), che incontrò il giudizio negativo di Lucchesini (1831, p. 295).
Sardini morì a Lucca il 3 dicembre 1811.
Un volume di Prose e versi alla memoria del senatore Giacomo Sardini accademico Napoleone fu pubblicato a Lucca nel 1812.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Lucca, Archivio Sardini, 82 (fasc. III), 83 (n. 83), 100-144, 148, 203; Bollettino officiale delle leggi e decreti del Principato lucchese, I, Lucca 1807, pp. 46-48; T. Trenta, Memorie intorno alla vita e alle opere del senatore G. S. patrizio lucchese, Lucca 1824; C. Lucchesini, Della storia letteraria del ducato lucchese libri sette, in Memorie e documenti per servire all’istoria del ducato di Lucca, X, Lucca 1831; D. Corsi, Archivio Sardini [Introduzione], in Inventario Archivio di Stato in Lucca, VI, Archivi gentilizi, Lucca 1961, p. 510; G. Tori, Lucca giacobina. Primo governo democratico della repubblica lucchese (1799), Roma 2000, I, Saggio Introduttivo, pp. 70, 138, 141, II, Regesti degli Atti, pp. 106, 128, 166, 245, 281, 339, 398; A.V. Migliorini, L’atteggiamento dell’aristocrazia lucchese di fronte agli eventi del 1799, in Lucca 1799: due Repubbliche, I, La storia, Lucca 2002, pp. 121-143; P. Veneziani, Jenson, Nicolas, in Dizionario biografico degli Italiani, LXII, Roma 2004, pp. 205-208; P. Bertoncini Sabatini, Il palazzo lucchese di G. S. (1750-1811). Un ‘intendente’ di architettura tra Illuminismo e Romanticismo, in Le dimore di Lucca. L’arte di abitare i palazzi di una capitale dal Medioevo allo Stato Unitario, a cura di E. Daniele, Firenze 2007, pp. 57-70; J.A. Dane, Out of sorts. On typography and print culture, Philadelphia 2011, pp. 58-66.