LEINÌ (Leynì), Giacomo Provana signore di
Nacque forse a Leinì, presso Torino, alla fine del XV secolo da Gioanello, signore di Leinì e Viù e da Antonietta San Martino d'Agliè.
Tra la fine del 1517 e l'inizio del 1518 il L. sposò la nobildonna savoiarda Filiberta de la Ravoire. Poiché i due erano cugini, fu necessaria una dispensa pontificia, rilasciata da papa Leone X il 20 ag. 1517. Morta Filiberta, Giacomo sposò Anna Grimaldi di Boglio, vedova di Carlo Provana di Leinì, ultimo di un ramo cadetto della sua famiglia, all'interno della quale il L. riuscì così a mantenere feudi che altrimenti sarebbero stati persi.
Il L. fu una delle figure principali della corte di Carlo II, duca di Savoia dal 1504 al 1553. Nel 1521 il duca sposò Beatrice di Portogallo e la dotò di una propria corte, tra i cui componenti chiamò anche il Leinì. Nel 1528 il L. ricopriva la carica di scudiere della duchessa, che nello stesso anno lo nominò castellano di Ciriè, incarico ricoperto in precedenza dal padre. Il L. fu anche tra i componenti del Consiglio della duchessa, presieduto dal conte di Piossasco. Nel 1535 l'erede al trono Emanuele Filiberto compì sette anni e il duca Carlo II gli costituì una corte, di cui furono chiamati a far parte il L., come maggiordomo, e il cugino Giovan Battista Provana di Leinì in qualità di precettore.
Anche dopo l'occupazione dello Stato da parte delle truppe di Francesco I, i Provana restarono fedeli al duca - che aveva trasferito la capitale a Vercelli, fra le poche città rimaste in suo possesso - e ne divennero uno dei principali sostegni. L'importanza dei Provana alla corte di Carlo II è provata anche dalla decisione presa dal duca nel 1540, quando, dovendo lasciare per qualche tempo il Piemonte, stabilì un Consiglio di reggenza a capo del quale pose Giovan Battista Provana di Leinì (che in quell'anno ottenne la nomina a vescovo di Acqui) e dispose che in caso di sua morte il figlio, sino alla maggiore età, avrebbe regnato con l'aiuto di tre consiglieri: Giovan Battista Provana di Leinì, Aimone di Lullin conte di Ginevra e il Leinì.
Nel 1543 le truppe francesi, aiutate dai corsari barbareschi, tentarono la conquista di Nizza. Per organizzare la difesa Carlo II si recò nella città restatagli fedele e incaricò il L. di una difficile missione diplomatica, prima a Genova e poi a Milano, da Alfonso d'Avalos marchese del Vasto, luogotenente di Carlo V in Italia. Il L. non riuscì a incontrare il marchese del Vasto perché questi aveva lasciato Milano prima del suo arrivo. Al duca non restò dunque che recarsi di persona a Milano, ma durante la sua assenza le truppe franco-turche assediarono Nizza e riuscirono a saccheggiarla; solo il castello resistette eroicamente. Solo a questo punto il marchese del Vasto decise di inviare le sue truppe in aiuto a quelle sabaude. I fanti si misero in marcia verso il Nizzardo divisi in tre colonne: una attraversò Fenestrelle comandata dal L., una seconda avanzò per il colle di Tenda comandata da Oddone Provana e una terza guidata dal duca stesso lungo la Riviera ligure. Le truppe cacciarono i Franco-Turchi da Nizza e, tornando in Lombardia, riconquistarono Mondovì. Il L., comunque, non restò molto a Nizza: all'inizio del 1544 il duca lo inviò a Biella, in qualità di governatore della città, e pochi mesi dopo lo nominò castellano di Lanzo, carica che avrebbe mantenuto sino alla morte.
Nel 1533 Carlo II aveva venduto il feudo di Lanzo a Giovan Giacomo Medici di Marignano, generale al servizio spagnolo (suo fratello Giovan Angelo sarebbe divenuto papa Pio IV nel 1559). Giovan Giacomo aveva fatto fortificare il castello e realizzare altre opere difensive, ma ciò non era stato sufficiente a impedire la conquista francese nel 1543.
La pace di Crépy (1544) riportò Lanzo sotto il controllo sabaudo. La Comunità, allora, pur di non tornare sotto il Medici, pagò un tributo che permise a Carlo II di riscattare il feudo. Il duca ne nominò castellano il L., venendo così incontro alla Comunità, in quanto i Provana erano tradizionalmente presenti come signori in diversi territori delle Valli di Lanzo, a partire da Viù, di cui era infeudato lo stesso Leinì. Sempre nel 1544 Carlo II ottenne che Giovan Battista Provana fosse trasferito alla diocesi di Nizza.
Nel 1545 il duca decise di inviare il figlio Emanuele Filiberto in Germania perché entrasse nel seguito di Carlo V e perorasse la causa della liberazione del Ducato. Con lui furono inviati Giovan Battista Provana di Leinì e il L., che prima di partire, il 28 apr. 1545, fece testamento e nominò eredi i figli Andrea e Gaspare; nello stesso tempo il L. lasciò l'interim della castellania di Lanzo al fratello minore Carlo, abate della Novalesa. Un mese più tardi, il 27 maggio, Emanuele Filiberto e il suo seguito, fra cui il L. e suo figlio Andrea, lasciarono Vercelli e si misero in cammino per Worms, dove giunsero il 28 luglio. In qualità di maggiordomo del principe, al L. spettava, fra l'altro, di seguire la gestione finanziaria della corte (circa settanta persone; lo stipendio fissato per il vescovo Giovan Battista Provana era il più alto, 90 scudi al mese, mentre per il L. ne erano previsti solo 12). Per ben figurare alla sfarzosa corte imperiale il giovane principe doveva sostenere un tenore di vita decisamente superiore a quello consentito dalle esangui finanze sabaude. Al L. e al Consiglio di Emanuele Filiberto fu necessario, pertanto, ricorrere continuamente a prestiti e, dopo breve tempo, rimandare in Piemonte non pochi dei gentiluomini che avevano seguito il principe in Germania. Il L. restava, comunque, uno dei principali intermediari tra Carlo II ed Emanuele Filiberto, come mostrano, fra l'altro, le lettere inviate dalla Dieta di Ratisbona nel 1546, in cui il L. chiedeva urgentemente al duca soccorso di denari. Quell'anno Emanuele Filiberto era stato nominato generale della cavalleria fiamminga e borgognona: in agosto il principe sabaudo e il L. seguirono dunque l'imperatore nella campagna contro i protestanti e presero parte alla battaglia di Ingolstadt. Sin da luglio, invece, Giovan Battista Provana di Leinì aveva fatto ritorno in Piemonte. Da allora i rapporti fra il L. e Aimone di Lullin divennero tesi, segnati da frequenti scontri sulla gestione delle finanze del principe. Nell'ottobre del 1546 il L. tornò in Piemonte insieme con Charles Montbel conte di Frossasco (altro gentiluomo al seguito di Emanuele Filiberto) per presentare a Carlo II i conti della corte di Emanuele Filiberto. Di fronte alla disapprovazione del duca, che stentava a comprendere le necessità della corte imperiale, il L. presentò le sue dimissioni e fece ritorno a Lanzo.
In Piemonte il L. restò per circa due anni, dividendosi fra Lanzo, i propri feudi e la corte di Carlo II. Nonostante la decisione di abbandonare la Germania, infatti, il L. era rimasto in buoni rapporti con il duca. Quando, nel 1548, morì il vescovo Giovan Battista, il duca propose per la nomina l'abate Carlo Provana, fratello del Leinì. Il papa, tuttavia, decise per François Lambert, un nobile savoiardo; la decisione indispettì la corte imperiale, che riteneva Lambert filofrancese, ma né il duca né il L. poterono opporsi.
Nella primavera del 1549 il L. fece ritorno in Germania per riprendere il posto di mastro della corte di Emanuele Filiberto e portò a questi almeno parte del denaro di cui il giovane principe aveva drammaticamente bisogno. In Germania il L. si fermò per quasi due anni. Alla fine del 1550 si dimise definitivamente dalla carica di maggiordomo di Emanuele Filiberto e fece ritorno in Piemonte. Dal gennaio del 1551 fu, quindi, a Lanzo, intento alla sua carica di castellano e a cercare di porre ordine nel patrimonio familiare. Nel settembre del 1551 le truppe francesi, guidate dal luogotenente di Enrico II in Piemonte, Charles de Cossé signore di Brissac maresciallo di Francia, ruppero la tregua allora in atto e attaccarono senza preavviso alcune città piemontesi, fra cui Chieri. Di fronte alle forze francesi, decisamente preponderanti, dopo una difesa onorevole il L. cercò di rifugiarsi a Vercelli, ma fu catturato da Brissac.
Durante la prigionia il L., che contava sulla volontà di Carlo II di giungere a un accordo con il re di Francia, tentò di convincere Brissac a farsi mediatore con quest'ultimo. Brissac accolse la proposta del L. e, dopo aver avuto il permesso del sovrano, lo liberò e lo inviò da Carlo II perché lo informasse delle condizioni di Enrico II per un accordo. Le richieste francesi erano, tuttavia, troppo onerose perché Carlo II potesse accettarle: il duca avrebbe avuto la restituzione della Savoia e della Bresse, ma avrebbe dovuto rinunciare alle terre piemontesi allora in mano francese. Le trattative, pur continuando per qualche tempo, non condussero ad alcun esito apprezzabile. Nella prima metà del 1552 il L. e il fratello Carlo erano a Volpiano, dove cercavano di organizzare la difesa contro i Francesi.
Il L. morì poco dopo, non oltre l'inizio del 1554, anno in cui, in un documento del 30 gennaio, è dato per morto.
L'eredità del L. fu raccolta dal figlio Andrea, all'epoca al seguito di Emanuele Filiberto nelle Fiandre. Dal primo matrimonio il L. ebbe anche quattro figlie: Violante, che sposò Vespasiano Bobba, signore di Lù; Maria, che sposò Giorgio Valperga di Monteu (questi due matrimoni avvennero prima del 1545); Cassandra, che sposò Antonino Piossasco de' Rossi di None; Antonietta, rimasta nubile. Dal secondo matrimonio sembra esser nato il solo Gaspare.
Fonti e Bibl.: A. Segre, Un gentiluomo piemontese della prima metà del secolo XVI. G. P. di Leynì, in Giornale ligustico, XXII (1897), pp. 52-67, 81-115; Id., L'opera politico militare di Andrea Provana di Leynì nello Stato sabaudo dal 1553 al 1559, in Memorie della Reale Acc. dei Lincei, classe di scienze morali, storiche e filologiche, s. 5, VI (1898), pp. 5, 19 s., 59; Id., Un episodio della lotta tra Francia e Spagna a mezzo il Cinquecento. Carlo duca di Savoia e le sue discordie con Ferrante Gonzaga, in Arch. stor. lombardo, XXVII (1900), 1, pp. 12-16; P. Merlin, Emanuele Filiberto. Un principe tra il Piemonte e l'Europa, Torino 1995, pp. 27 s., 35.