PERTICONE, Giacomo
PERTICONE, Giacomo. – Nacque a Catania il 2 gennaio 1892 da Pietro e da Maria Marino, in una famiglia che vantava ascendenze fondiarie, ma si era inserita nella borghesia professionale e impiegatizia.
La sua formazione culturale iniziò nel clima positivistico del capoluogo etneo in cui si riversava la diffusa aspirazione di rinnovamento sociale che avrebbe infiammato in quegli anni il movimento dei Fasci siciliani. In tale ambiente, Perticone maturò le simpatie socialistiche che avrebbero sempre caratterizzato, nelle pur alterne fasi della storia nazionale di cui fu partecipe e mai soltanto testimone, la sua impostazione politica.
Gli studi universitari lo condussero dapprima a Berlino e quindi a Vienna. Allievo di Georg Simmel, nella capitale tedesca fu coinvolto dal fervido dibattito ideologico in corso su marxismo e revisionismo, che approfondì successivamente sulle rive del Danubio alla scuola di Victor Adler, respirando l’aria feconda della Mitteleuropa.
Ciononostante, la sua bibliografia si apre con un tributo alla cultura letteraria nazionale consegnato a due profili, dedicati rispettivamente a Giosue Carducci e a Mario Rapisardi, editi nella città natale presso Giannotta.
Laureatosi in giurisprudenza e successivamente in filosofia, lo studio all’estero gli offrì l’opportunità di insegnare nei licei catanesi come supplente di lingua e letteratura tedesca.
Dallo scoppio della prima guerra mondiale combatté sul fronte dell’Isonzo come soldato semplice nel decimo reggimento di fanteria trattenendosi in zona di guerra dal luglio 1916 al dicembre 1917 e guadagnandosi una decorazione militare per una grave ferita ai polmoni che gli costò una lunga degenza a Napoli. Nel frattempo una breve licenza gli aveva permesso di sposarsi a Firenze con la lucerina Maria de Vincolis il 29 agosto 1917.
Nel dopoguerra, dopo aver ripreso l’insegnamento catanese, ottenne una supplenza di filosofia e storia nel liceo Alfieri di Torino, dove nacquero i figli Giacomo (1920) e Pierluigi (1922).
Vincitore del concorso a cattedra per le scuole superiori, passò al liceo D’Azeglio della stessa città, poi a Genova e quindi a Roma, dove fu trasferito a partire dall’anno scolastico 1924-25 per insegnare al liceo Mamiani e quindi al liceo Umberto. Da allora la capitale, dove nacquero gli altri suoi due figli, Ugo (1927) e Maria (1933), divenne la residenza stabile di tutta la sua vita, anche se la successiva carriera accademica sarebbe stata piuttosto girovaga, almeno nella sua prima parte.
Primo significativo riconoscimento nel mondo degli studi fu per Perticone il premio dell’Accademia di scienze morali e politiche di Napoli conferito alla sua opera La filosofia politica e giuridica, pubblicata a Roma presso Athenaeum (1923). Seguirono i due volumi I problemi della filosofia per la parte teorica (Roma 1926) e per la parte storica (Roma 1932), nonché i Lineamenti di filosofia del diritto (Roma 1931).
Quelli furono anche gli anni in cui Perticone sviluppò un’intensa collaborazione con due editori tra i più illuminati dell’epoca, come Carabba e Formiggini, grazie alla sua conoscenza del tedesco letterario e filosofico che gli valse la commissione di importanti traduzioni di Heine, Kant, Fichte, Humboldt e del suo stesso antico maestro Simmel, ma anche di Eucken, tradotto assieme alla moglie.
L’innata passione per la filosofia, perseguita da Perticone negli anni della sua formazione intellettuale nell’ottica di una profonda meditazione politica e sociale sulla condizione umana, lo aveva avvicinato alla storia, ma lo aveva tenuto lontano dalla trionfante corrente idealistica sia nella versione crociana, destinata a risolvere la filosofia nella storiografia riprendendo sostanzialmente il vichiano verum et ipsum factum convertuntur, sia nella versione gentiliana, destinata a risolversi nell’attualismo. In modo alquanto originale, Perticone aveva finito per individuare nella filosofia del diritto il terreno privilegiato su cui ricercare le basi politiche e sociali di una teoria della giustizia, osservando come lo svolgimento della personalità nella storia non sia estraneo al diritto e come la lotta per il diritto abbia per fine il bene comune. Ma anche nell’ambito della cultura giuridica si era sentito un isolato rispetto al dominio assoluto del formalismo della scuola orlandiana, restando profondamente ancorato alla dimensione diacronica nel suo rapportarsi al problema del potere, oltre che convinto della lezione appresa tra Berlino e Vienna secondo la quale il metodo realizza il sapere, ma non lo esaurisce. Seguace di una filosofia dell’azione, aveva del resto trovato nell’insegnamento di Simmel il migliore antidoto rispetto a un’applicazione della logica per se stessa che finisse con l’entrare in contraddizione con il mondo reale, attraverso il ricorso al principio della tipicità.
La cifra cui Perticone giunge è allora quella del ‘politico’ in cui tutti gli aspetti del pensiero umano sono implicati, in quanto ogni dottrina politica contiene una determinata visione della realtà umana.
Nel 1925 Perticone aveva comunque conseguito la libera docenza e iniziato a tenere le prime lezioni di filosofia del diritto e dottrina dello Stato all’Università La Sapienza di Roma sotto l’ala di Giorgio Del Vecchio. I veri e propri incarichi universitari, non solo per la filosofia del diritto, ma anche per le materie civilistiche, vennero però dall’Università di Ferrara nel 1927, uno dei centri in cui maggiormente si svolgeva, auspice Italo Balbo, la riflessione interna alla cultura fascista, a cui Perticone fu invitato a partecipare sulle pagine dei Nuovi problemi di politica, di storia ed economia.
Una simile palestra politico-culturale era infatti particolarmente congeniale a Perticone, la cui adesione al fascismo si collocò da subito sotto il segno della socialità, comportando in una certa misura una sofferta ricerca di continuità con le sue precedenti esperienze politiche, ma al tempo stesso conducendolo sempre a fare riferimento agli ambienti più aperti e innovativi del regime anche al prezzo di non poche incomprensioni.
La denuncia della mancata saldatura tra masse popolari e classi dirigenti lanciata dal principale sodale di Balbo, Nello Quilici, ispirò a Perticone lo studio della storia politico-parlamentare dell’Italia liberale, destinato a confluire nel volume Gruppi e partiti politici nella vita pubblica italiana (Modena 1938, ma riedito a Roma nel 1946) e resogli peraltro più agevole dalla vicinanza personale all’allora presidente della Camera fascista, Giovanni Giuriati, che lo chiamò a collaborare presso la Biblioteca di Montecitorio.
Ancora nei ruoli degli insegnanti liceali, ma allontanato da Roma e costretto ad accettare, nel 1930, una sede di provincia come Teramo anche a seguito di un procedimento disciplinare pur conclusosi favorevolmente, era stato infatti comandato presso la Camera dei deputati dal 1° novembre 1931, così da sfuggire a un ulteriore trasferimento a Isernia, per attendere a una bibliografia sulla prima guerra mondiale. Assunto da quell’amministrazione il 1° gennaio 1933 con la qualifica di vicebibliotecario, senza mai essere chiamato a occuparsi della gestione della Biblioteca parlamentare, ma sempre incaricato di portare avanti progetti speciali di natura bibliografica ovvero storiografica, Perticone riuscì a mantenere per tutta la vita – da ultimo soffermandosi sulla politica estera negli atti parlamentari – il rapporto allora instaurato con la Camera, nonostante che esso fosse stato necessariamente rescisso dal punto di vista formale dopo un solo biennio, a causa del suo passaggio nei ruoli dei professori universitari.
Ternato per la cattedra di filosofia del diritto in un concorso bandito nel 1932 dall’Università di Siena, Perticone divenne professore straordinario e quindi ordinario a Ferrara negli anni accademici 1934-35 e 1935-36 e fu poi trasferito all’Università di Perugia dal 29 ottobre 1936, dove fu brevemente preside della facoltà di giurisprudenza e avrebbe dovuto pronunciare una prolusione sul regime di massa, destinata a essere però soltanto oggetto di successiva pubblicazione (Il problema del nostro tempo: il regime di massa, in Annali della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Perugia, 1939).
Dopo aver fondato e diretto dal 1932 l’Archivio di storia della filosofia italiana (poi Archivio di storia della cultura italiana, 1939-43), diede prova della sua piena maturità accademica in opere come La libertà e la legge (Roma 1936); Linee di una teoria generale del diritto (Milano 1937); Elementi di una dottrina generale del diritto e dello Stato (Milano 1937). Ma il tema cruciale del regime di massa restò il suo principale interesse, come conferma non solo il volume di studi pubblicato nel 1942 nella Collezione di studi e ricerche per l’ordine nuovo, ma anche i lavori sulla storia del comunismo (1940) e del socialismo (1942), condotti allora in assoluta solitudine. Partecipe del dibattito europeo degli anni Trenta e Quaranta sui margini di tenuta della libertà a fronte dell’ineluttabile sviluppo della società di massa, Perticone si confrontava direttamente con il partito politico, ma lo metteva in relazione con lo Stato come garante della libertà dei singoli, giustificando in tale ottica anche il principio del partito unico.
Con decreto ministeriale del 31 ottobre 1939 era stato trasferito sulla stessa cattedra dell’Università di Pisa, entrando definitivamente nell’orbita di Giuseppe Bottai che vi aveva annesso la Scuola superiore di scienze corporative e l’Archivio di studi corporativi, del quale Perticone divenne stretto collaboratore. Qui pronunciò la prolusione su Teoria e prassi del comunismo. Particolarmente qualificato fu il suo contributo ai convegni pisani del 1940 e del 1942 sui principi generali dell’ordinamento giuridico fascista e sullo studio dei problemi economici dell’ordine nuovo sotto l’egida di Carlo Alberto Biggini, nel quale si sarebbe voluto delineare il regime del futuro.
Alla caduta del fascismo (1943) restò a Roma, ricevendo il permesso di continuare le sue ricerche sulla politica estera italiana nelle discussioni parlamentari presso la Biblioteca della Camera, senza dover tornare alla sede di titolarità.
Negli anni successivi fu protagonista di una frenetica attività di promozione della cultura politica, con l’evidente intento di recuperare il tempo perduto.
In non nuova polemica con Benedetto Croce rivendicò la validità scientifica della storia contemporanea, nell’intento di farne il tessuto connettivo dell’azione politica. Il problema principale della sua ricerca storico-filosofica restava la garanzia dell’autonomia soggettiva e della libertà individuale nella società di massa, nell’auspicio che il posto dello Stato totalitario fosse preso dallo Stato sociale.
Tale intento traspare in vari scritti di quegli anni decisivi, dall’Esame della coscienza comune come coscienza filosofica (Milano 1943) a Due tempi. Note e ricordi di un contemporaneo, pubblicato da Einaudi nel 1944.
La conoscenza con Pietro Nenni gli diede modo di collaborare con il ministero per la Costituente, dirigendo la collana di testi e documenti costituzionali e redigendo in prima persona il volume conclusivo della collana di studi storici, diretta da Alberto Maria Ghisalberti, dedicato a Il problema della Costituente in Italia dopo la seconda guerra mondiale. La Costituzione, nella sua visione, avrebbe dovuto «portare il popolo italiano a un comune livello di maturità e di esperienza politica», nonché «disciplinare sul piano delle istituzioni e in forma giuridica il sistema dei rapporti fra lo Stato e l’individuo organizzato» (pp. 108 s.), secondo il principio dell’autonomia nella solidarietà.
Dopo una testimoniale candidatura politica in quota socialista nell’ambito del Fronte popolare alle elezioni del 1948, candidato nel collegio senatoriale di Acireale, Perticone si trasferì all’Università di Roma presso la facoltà di scienze politiche, dove concluse la sua carriera accademica, insegnando altresì storia dei partiti e dei movimenti politici (1956-62) e animando la rivista Storia e politica.
Nel secondo dopoguerra egli aveva creduto di contribuire alla rinascita democratica dell’Italia ricapitolandone la travagliata storia recente (La politica italiana nell’ultimo trentennio, I-IV, 1945-49) e rilanciandone la prospettiva costituzionale, ma subì presto la cocente delusione della degenerazione del sistema dei partiti, già da lui chiaramente espressa in una prolusione accademica del 1957 (Parlamento e partito nello Stato contemporaneo, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1957, pp. 313-355) e di lì a poco in un articolo ospitato da Il Mondo di Mario Pannunzio nell’ottobre 1958, a causa della loro mancata disciplina legislativa pur prevista dal dettato costituzionale. Non gli restò allora che concentrare il lascito della sua lunga e articolata vita di studioso sul piano filosofico ne La filosofia del diritto come filosofia della giustizia (Roma 1962), in cui riaffermava come il giusto sia il contenuto necessario dell’azione giuridica, e sul piano storico ne L’Italia contemporanea dal 1871 al 1948 (Milano 1962) – in cui denunciava come vera e propria ‘malattia costituzionale’ del Paese il paternalismo, l’opportunismo, la violenza retorica e la delinquenza politica –, consegnando in ogni caso ai postumi Scritti sul regime di massa (Milano 1983), curati dall’ultima fedele allieva, Maria Silvestri, il suo grido di dolore sull’incapacità tutta italiana di concepire il partito come forma di libertà dell’azione politica.
Perticone morì a Roma il 31 dicembre 1979.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico della Camera dei deputati, Fascicoli personali; numero speciale di Storia e politica, 1980, n. 2; G. P.: stato parlamentare e regime di massa nella cultura europea del Novecento. Atti del convegno... Roma-Cassino 1995, a cura di M. Silvestri, Cassino 1999 (alle pp. 471-486 la bibliografia di Perticone); C. Palumbo, Diritto, Stato e libertà nell’opera di G. P., introduzione a G. Perticone, Lezioni di filosofia del diritto, Torino 2012, pp. V-LXXXIII.