MELLERIO, Giacomo.
– Nacque a Domodossola il 9 genn. 1777 da Carlo Giuseppe, direttore del Registro reale dell’Ossola, e Rosa Sbaraglini.
La famiglia, la cui presenza in Val Vegezzo è attestata già prima del Mille, si era radicata a Malesco, nel Novarese, alla metà del XIV secolo.
Alla morte del padre il M. si trasferì a Milano presso il facoltoso zio Giovanni Battista, responsabile tra il 1750 e il 1770 della Ferma generale dello Stato di Milano e creato conte nel 1776. Inviato nel 1787 a studiare a Siena nel collegio Tolomei retto dai padri scolopi, completò la sua educazione tra 1795 e 1803 con un classico grand tour destinato, tra l’altro, al perfezionamento del francese e del tedesco, e le cui tappe sono ricostruibili grazie alle lettere conservate presso la Biblioteca A. Mai di Bergamo (E. Raduzzi, Aspetti della personalità di G. M. attraverso le lettere, in Il cattolicesimo lombardo…, pp. 175 s.). Dopo il matrimonio (1803) con Elisabetta di Castelbarco sperimentò i primi incarichi amministrativi nella Milano capitale del Regno d’Italia napoleonico – amministratore municipale nel 1806, membro del Consiglio dipartimentale dell’Olona e del Magistrato centrale di sanità nel 1807 – e fu colpito da numerosi lutti familiari, quali la perdita di tre dei quattro figli (l’unica sopravvissuta, l’adorata Giannina, sarebbe morta nel 1822 a diciassette anni), quella della giovane moglie nel 1808, nonché, l’anno seguente, quella dello zio che lo lasciò erede unico di un ingente patrimonio stimato intorno ai 12.000.000 di lire. Consigliere comunale tra 1813 e 1814, dal 1810 aveva iniziato a occuparsi di assistenza in qualità di membro del direttorio elemosiniero della Congregazione di carità competente per l’amministrazione degli enti assistenziali milanesi.
Alla caduta del Regno Italico il M. fu nominato, insieme con A. Castiglioni, tra i sette membri della reggenza di governo, l’organo interlocutore delle potenze vincitrici nella trattativa che avrebbe determinato le sorti politiche della Lombardia ma soprattutto – una volta definita l’incorporazione nei domini di casa d’Austria – il ruolo da attribuire al patriziato lombardo nei confronti di Vienna. Esponente del gruppo che sperava di ripristinare un rapporto privilegiato e di relativa autonomia, associandolo tuttavia a una ripristinata libertas Ecclesiae, il M. trascorse lunghi periodi nella capitale austriaca, soffrendo per la lontananza dalla sorella Maddalena e dall’unica figlia rimastagli, e tuttavia adempiendo con impegno al ruolo di deputato per la città di Milano presso la commissione centrale di organizzazione degli Affari italiani.
Come documentano carte recentemente ritrovate (A. Pizzocaro, Nuovi documenti sulla missione di G. M. a Vienna, in Il cattolicesimo lombardo…, pp. 192 ss.) la deputazione milanese risentì dell’esiguo margine d’azione e delle dilazioni che ne vanificarono l’operato, a dispetto dell’abilità con la quale il M. aveva cercato appoggio e ascolto direttamente presso l’imperatore Francesco I per far presenti i vantaggi di un ripristino delle istituzioni d’antico regime, tacendone tuttavia, con grande intuito politico, le conseguenze positive per l’aristocrazia lombarda che avrebbe in tal modo recuperato antiche prerogative di autogoverno cetuale.
L’esperienza viennese servì comunque a evidenziare le qualità di uomo di relazioni e di mediatore del M., che nel 1816 fu nominato vicepresidente dell’imperial regio governo a Milano, con a capo il conte F.J. Saurau, e consigliere intimo di Stato, e, nel 1817, anno in cui gli fu riconfermato il titolo comitale, cancelliere per il Regno Lombardo-Veneto presso la Cancelleria aulica riunita.
Ripresa così la strada per Vienna, il M. non riuscì tuttavia a riconoscersi nel nuovo ordine di cose, a testimonianza della difficile transizione della nobiltà lombarda dall’età napoleonica a un nuovo equilibrio in una compagine asburgica d’impianto più accentrato che nel passato: così, verso la fine del 1818 presentò richiesta di dimissioni all’imperatore, che gliele accordò il 5 febbr. 1819.
Mentre la storiografia risorgimentale ha a lungo visto nel M. solo un esponente del partito austriacante, studi recenti ne rivalutano, alla luce di fonti edite e inedite, personalità e opere inserendole in quel milieu cattolico ambrosiano di orientamento legittimista ma non per questo angustamente reazionario.
Abbandonata ogni carica pubblica, il M. si dedicò infatti interamente alle attività di benefattore, promotore e operatore di cultura grazie alle quali avrebbe lasciato un durevole segno nel tessuto sociale e artistico di Milano e della Lombardia. Il cospicuo patrimonio ricevuto in eredità e oculatamente mantenuto, abbinato alla rete di relazioni coltivate nell’ambito soprattutto delle Amicizie cristiane, ma anche delle società ricreative milanesi, gli consentì di distribuire con organicità ed efficacia i suoi interventi di assistenza e di carità, ormai obiettivo prioritario della sua esistenza: nominato nel frattempo presidente della Commissione centrale di beneficenza, dispose numerose donazioni in favore di ospedali e scuole per fanciulli e fanciulle poveri, soprattutto nella natia Domodossola.
Risale al 1826 l’incontro con A. Rosmini Serbati, futuro punto di riferimento nella vita e nell’azione caritativa del Mellerio. Questi dal 1827 intrattenne una fitta corrispondenza con colui che avrebbe definito «l’amico del cuore», consigliandolo, sostenendone tra l’altro il progetto per la fondazione in Domodossola di un istituto della Carità e affidando ai padri rosminiani la gestione del collegio d’istruzione.
Nominato nel 1831 direttore dei Luoghi pii ed elemosinieri, affiancò all’impegno assistenziale un’intensa attività di mecenatismo e promozione culturale all’interno del cattolicesimo ambrosiano, concepita anche come concorrenziale rispetto a quella condotta dalla borghesia laica liberale: dall’amicizia con A. Manzoni – di cui il M. avrebbe letto in bozze i Promessi sposi – a quella con A. Mai, prefetto dell’Ambrosiana, di cui sostenne anche finanziariamente le pubblicazioni, il M. fu in prima linea nella militanza culturale cattolica, testimoniata anche dal suo ricchissimo patrimonio librario di oltre 10.000 volumi.
Il M. morì a Milano il 10 dic. 1847 lasciando erede il nipote Giacomo Cavazzi della Somaglia, figlio della sorella Francesca Maddalena e di Gian Luca Cavazzi della Somaglia.
Il testamento (13 ott. 1847), che disponeva lasciti e legati per oltre 2 milioni di lire, documenta una volontà benefica ripartita tra la patria natia e quella milanese d’adozione (ospedale Maggiore, Fabbrica del duomo, Luoghi pii ed elemosinieri), con ricadute anche in altri ambiti, grazie per esempio al sostegno all’attività missionaria, ai certosini di Pavia, ai fratelli veneziani Antonio Angelo e Marcantonio Cavanis fondatori delle scuole di Carità e alle canossiane di Brescia e Venezia, segni di un fattivo impegno a favore di istituzioni consolidate, ma anche di nuove reti di assistenza e di educazione.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Famiglie, Cavazzi della Somaglia-Mellerio (35 cartt., secc. XV-XIX in materia di eredità, patrimonio attivo, fondi e stabili); Milano, Arch. storico del Comune, Fondo famiglie, cart. 980, Mellerio; Ibid., Arch. dell’Amministrazione delle Ipab ex Eca, Testatori, 522-532; Ibid., Arch. privato della famiglia Ghio (circa 800 carte in 7 cartt. relative agli anni 1814-19); Bergamo, Biblioteca Angelo Mai, Archivio Mellerio (circa 3160 lettere di o al M.); Stresa, Arch. stor. dell’Istituto di Carità, Carteggio Rosmini-Mellerio (circa 450 lettere, 1827-47); Disposizioni di ultima volontà di sua ecc. il conte G.M.…, Milano s.d.; A. Rosmini Serbati, Epistolario, II-X, Casale Monferrato 1887-94, ad indices; Carteggio Alessandro Manzoni - Antonio Rosmini, a cura di P. De Lucia, Milano 2003, ad ind.; [G. Baraldi], Cenni biografici di G. M., in Memorie di religione, di morale e di letteratura, s. 3, VII (1848), 19-20, pp. 166-169; A. Aspesi, Un altro novarese poco conosciuto: il conte G. M., gran cancelliere del Regno Lombardo-Veneto (1777-1847), in Boll. storico per la provincia di Novara, LIX (1968), pp. 3-21; A. Preioni, Alessandro Manzoni e G. M., in Oscellana, I (1974), 4, pp. 99-104; M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino 1980, pp. 91, 316, 326; A. Preioni, Manzoni, M. e altri personaggi nella Milano ottocentesca, in Oscellana, XII (1985), 4, pp. 192-201; G. Radice, M. G., in Diz. della Chiesa ambrosiana, IV, Milano 1990, pp. 2157-2160; D. Rota, Cultura, politica, diplomazia nella Restaurazione. Angelo Mai, G. M., Alfonso Castiglioni, Firenze 1991, ad ind.; F. Ruggeri, Aristocrazia e carità. La figura di G. M., in Cultura, religione e trasformazione sociale: Milano e la Lombardia dalle riforme all’Unità. Atti del Convegno, … 1997, a cura di M. Bona Castellotti et al., Milano 2001, pp. 401-408; M. Orecchia, Un inedito di Giacomo Casati in difesa di G. M., in Rass. gallaratese di storia dell’arte, LIV (2004), pp. 205-213; A. Preioni, A G. M. da Ludovico di Breme: lettere inedite dal 1807 al 1810, in Oscellana, XXX (2004), pp. 222-237; S. Levati, Origini, fortune e patrimonio di una famiglia vigezzina: i Mellerio tra Sette e Ottocento, Milano 2005; C. Verlato, Un recente ritrovamento di carte di G. M., tesi di laurea, Università degli studi di Milano, a.a. 2004-05; Il cattolicesimo lombardo tra Rivoluzione francese, Impero e Unità. Atti del Convegno, Milano… 2003, a cura di R. Ghiringhelli - O. Sanguinetti, Pescara 2006; M. Ballerini, G. M. e l’Ambrosiana, in Tra i fondi dell’Ambrosiana: manoscritti italiani antichi e moderni. Atti del Convegno di studi, Milano… 2007 (in corso di stampa).
A. Arisi Rota