MEDICI, Giacomo
– Nacque a Milano il 16 genn. 1817 da Giovanni Battista, originario di Felizzano (presso Alessandria), e da Maria Beretta di Desio.
Il padre esercitò a Milano l’attività commerciale fino al 1830, quando fu espulso dai domini austriaci perché sospettato di aver preso parte ad attività cospirative: rifugiatosi inizialmente in Portogallo, fu poi costretto a cercare fortuna in America Latina.
Affidato alle cure del cremonese G. Tibaldi, patriota ed esule politico, nel 1836 il M., insofferente del regime austriaco, si arruolò volontario nel reggimento dei Cacciatori d’Oporto in Spagna con il quale, al servizio di Maria Cristina di Borbone-Napoli, reggente per la figlia Isabella di Spagna, si distinse dal 1837 al 1840 nella guerra contro i carlisti. Con il grado di sergente nel 1838 combatté in Aragona, a Valencia, in Catalogna; fu decorato a Torreblanca con la Croce di Isabella II, partecipò alla presa di Cantavieja il 31 ott. 1836 e a quella di Chiva il 15 luglio 1837 ottenendo due medaglie al valore.
Nel 1840 il M. si trasferì in Inghilterra dove entrò in contatto con l’ambiente degli esuli democratici e, conosciuto G. Mazzini, abbracciò gli ideali repubblicani. Quando, nel dicembre 1845, decise di raggiungere il padre a Montevideo, fu appunto Mazzini a introdurlo negli ambienti democratici facenti capo a G. Garibaldi con una lettera che ne esaltava la dedizione alla causa nazionale; impiegato nella legione garibaldina, dimostrò il suo valore.
L’elezione di Pio IX e le riforme attuate da Carlo Alberto lo indussero nel febbraio 1848 a tornare in patria precedendo di qualche settimana Garibaldi. Alla vigilia dello scoppio della I guerra di indipendenza il M. incontrò Mazzini a Milano e con lui concertò la creazione di un corpo di volontari; altri febbrili contatti lo portarono a Genova, Lucca, Bologna e Livorno, e infine a Viareggio in attesa dell’arrivo di Garibaldi, che però intanto aveva deciso di sbarcare a Nizza. Ricongiuntosi a lui, il M. passò a Milano e fu nominato dal governo provvisorio capitano del corpo di volontari del battaglione Anzani; nel corso della campagna militare fornì altre prove di valore nelle battaglie di San Fermo e di Luino.
Il teatro in cui si trovò a operare con il corpo dei volontari garibaldini era lungo la linea tra Como e Sesto Calende, tra la sponda lombarda del lago Maggiore e il confine svizzero; e mentre Garibaldi da Varese ripiegava a nord verso Induno nel tentativo di occupare una posizione nelle vicinanze di Como, il M. ne difese la ritirata dall’assalto delle brigate del generale K. d’Aspre che cercavano di chiudergli il passaggio sia verso la Svizzera sia verso il Piemonte. Dopo aver difeso con soli 110 uomini una linea estesa più di un chilometro, la sera del 22 ag. 1848 occupò Ligurno e Rodero; oppose quindi l’ultima resistenza a Monte San Maffeo, Luino e Morazzone prima di ripiegare a Lugano in attesa del momento propizio per tentare una nuova sortita in territorio italiano.
Qui lo raggiunse l’ordine del Consiglio di Stato svizzero di ritirarsi a Bellinzona per evitare rappresaglie da parte degli Austriaci; riattraversato il confine, si portò allora in Valtellina, dove Mazzini aveva rilanciato la guerra partigiana scegliendo come epicentro la Val d’Intelvi. Partito da Bellinzona la sera del 29 ottobre con circa 300 volontari, il M. ebbe i suoi uomini decimati da una tormenta di neve; giunto quindi a Menaggio, fu costretto dall’assenza di rinforzi a ripiegare di nuovo in Svizzera, ma, essendone stato subito espulso, riparò in Piemonte. A dicembre era in Toscana: qui, in poco meno di due mesi, riuscì a organizzare una legione che mise al servizio del governo Guerrazzi nei pochi giorni che precedettero la restaurazione del granduca. Decise quindi di accorrere a Roma dove il 9 febbr. 1849 era stata proclamata la Repubblica: il M. vi entrò il 16 maggio avendo al suo seguito una legione che, organizzata in quattro compagnie, assunse il nome di battaglione Volteggiatori lombardi, poi trasformato in battaglione Volteggiatori italiani. Il 26 maggio ne prese il comando con il grado di maggiore e con l’incarico di difendere dall’attacco delle truppe francesi la posizione di porta S. Pancrazio.
Il battaglione entrò in azione il pomeriggio del 3 giugno trincerandosi nel fabbricato di villa Giraud, detta, per la forma simile alla prua di una nave, «del Vascello». L’eroica difesa e il coraggio dimostrato gli valsero il grado di luogotenente colonnello e la medaglia d’oro al valore da parte del Triumvirato romano. Artefice di una strenua quanto sanguinosa resistenza, il M. desistette solo il 30 giugno alla notizia della resa della città.
Sciolta la legione, il M. si imbarcò a Civitavecchia per Malta dove raggiunse N. Fabrizi; espulso, si trasferì a Marsiglia, quindi a Ginevra e nel novembre a Londra, restandovi fino all’ottobre 1850 quando fece rientro a Genova per dedicarsi, grazie all’aiuto economico dell’industriale inglese E. Ashurst, al commercio del carbone come socio della ditta Caprile & Franzini. Sempre attivo nella cospirazione, entrò a far parte del comitato mazziniano di Genova che si raccoglieva intorno ai membri del comitato di guerra formato da C. Pisacane, E. Cosenz, A. Bertani, A. Mario, N. Bixio, G. Sirtori e B. Cairoli.
Fondato qualche tempo prima con il consenso di Mazzini, il comitato si era trasformato in un organismo autonomo che aveva assunto una posizione velatamente critica rispetto al comitato di Londra e ai metodi della direzione mazziniana, giudicata troppo esclusiva e tale da penalizzare un’effettiva convergenza di tutte le forze sul progetto unitario; soprattutto aveva maturato un certo scetticismo nei confronti della riuscita di un’azione popolare priva dell’appoggio di una forza militare organizzata.
A partire dal 1851 il M. iniziò a staccarsi da Mazzini, ma la rottura definitiva giunse solo dopo il fallimento del moto milanese del 6 febbr. 1853 cui il M. negò il suo apporto non reputando maturi i tempi per un esito positivo.
Seguirono recriminazioni tra i due: Mazzini coinvolse infatti anche il M. nell’analisi che imputò il fallimento del moto all’opposizione del gruppo genovese, colpevole, a suo dire, di aver fiaccato lo slancio insurrezionale del popolo milanese e di averlo lasciato senza guida il giorno dell’azione (Ed. nazionale…Giuseppe Mazzini, Epistolario, XVII, p. 266); il M., a sua volta, puntò l’indice contro l’inefficienza militare dell’organizzazione.
Da allora lavorò a realizzare un nuovo centro direttivo delle forze rivoluzionarie e ne tracciò le regole per l’azione in un documento programmatico, emanato il 15 giugno 1853, che prevedeva la creazione di un partito rivoluzionario aperto a tutti i democratici, federalisti, radicali e socialisti; la realizzazione di moti popolari preparati da un comitato interno e supportati da una vasta organizzazione militare; l’eliminazione di un centro direttivo estero da sostituire con un comitato interno capace di collegare le varie rivoluzioni della penisola e creare un nuovo centro direttivo della democrazia italiana.
Ciò comportò una inevitabile separazione da Mazzini che inutilmente tentò nel 1854 di coinvolgerlo nella sollevazione della Lunigiana, consapevole che l’apporto del comitato militare di Genova era indispensabile per attuare l’azione rivoluzionaria; sempre più convinto che nulla potessero le cospirazioni e i tentativi di insurrezione isolati contro gli eserciti regolari, il M. rifiutò. Tuttavia nel 1856 tornò alla cospirazione: d’intesa con A. Bertani ebbe infatti contatti con A. Panizzi a Londra per l’acquisto di una nave con la quale liberare trenta reclusi politici nell’isola di Santo Stefano: la nave sarebbe dovuta giungere a Genova dove Garibaldi ne avrebbe preso il comando, ma nell’ottobre 1856 l’imbarcazione, salpata dal porto di Hull, naufragò sulle coste inglesi e la spedizione fallì.
Nel 1857, pur accettando il programma della neonata Società nazionale, il M. non entrò a farne parte, a riprova che l’allontanamento da Mazzini non coincideva ancora con l’abbandono dell’ideale repubblicano. Nel giugno del 1857, dopo la sfortunata esperienza di Sapri e gli infelici tentativi di rivolta a Genova e a Milano, Mazzini tentò senza successo un riavvicinamento con il M. che, oltre ad aver confermato il pieno dissenso dalla sua direzione dell’iniziativa rivoluzionaria, in quegli anni aveva intensificato i contatti con C. Benso conte di Cavour, preludio alla scelta di una soluzione monarchica della causa italiana.
Nel dicembre del 1858 fu incaricato da Garibaldi di organizzare una compagnia di bersaglieri della guardia nazionale destinata a operare con l’esercito regio. Data mano alla costituzione di un corpo di volontari composto da tre reggimenti della brigata Cacciatori delle Alpi sotto il comando di Garibaldi, nel marzo del 1859 il M. assunse con il grado di tenente colonnello il comando del secondo reggimento con il quale partecipò alla campagna italiana contro l’Austria combattendo a Varese e a San Fermo; nel giugno passò con Garibaldi in Valtellina, resistette alla controffensiva austriaca e ai primi di luglio respinse gli Austriaci da Bormio, per poi puntare sullo Stelvio.
Risaltò allora la sua notevole attitudine alla guerra di montagna: l’8 luglio, mentre a Villafranca si concludeva l’armistizio, con 2000 uomini e 2 soli cannoni riuscì ad aver ragione di 8000 austriaci equipaggiati con 6 pezzi di artiglieria e a impadronirsi del passo dello Stelvio che garantiva gli alleati da ogni minaccia proveniente dalla Valtellina. Meritò così la croce di ufficiale dell’Ordine militare di Savoia e una medaglia d’argento al valore. Dopo l’armistizio tornò a Genova, e da Garibaldi, che era stato messo a capo delle truppe tosco-modenesi, ebbe il comando della II brigata di fanteria dell’11ª divisione toscana; successive divergenze con M. Fanti, generale dell’esercito sardo e capo della Lega militare dell’Italia centrale, costrinsero Garibaldi, e con lui il M., a lasciare l’incarico.
Nei primi mesi del 1860 (il 23 febbraio il M. era stato ammesso nell’esercito sardo come colonnello) i contatti con Cavour si intensificarono, accentuando la distanza dagli ambienti democratici che progettavano una spedizione nell’Italia centrale per liberare Roma. Da quel momento fino al raggiungimento dell’Unità il M., pur restando un seguace di Garibaldi, divenne il moderatore del partito rivoluzionario. Infatti il 17 maggio si dimise dall’esercito regolare per prendere parte all’impresa dei Mille organizzando una seconda spedizione di rinforzi in Sicilia; salpato da Cornigliano il 9 giugno con i piroscafi «Washington» e «Oregon», giunse a Castellammare del Golfo, a ovest di Palermo, il 18 giugno con 3000 volontari e, nominato colonnello della I brigata della 16ª divisione dell’esercito meridionale, entrò a Palermo il 20 giugno. Dopo aver combattuto a Milazzo ed essere entrato il 28 luglio a Messina, fu promosso maggior generale della 17ª divisione; raggiunta Napoli e ricongiuntosi con Garibaldi, fu con lui alla battaglia del Volturno che il 1° ottobre concluse vittoriosamente la campagna nell’Italia meridionale. Per tutto ciò fu insignito con la medaglia dell’Ordine militare di Savoia e promosso luogotenente generale dell’esercito meridionale, grado che mantenne anche dopo il 10 apr. 1862 quando fu incorporato nell’esercito regio regolare. A Napoli, durante la dittatura di Garibaldi, aveva sostenuto con convinzione la necessità dell’unità nazionale con i Savoia, e a Bertani, segretario della dittatura, aveva rimproverato che in attesa della consultazione plebiscitaria si tardasse a procedere all’annessione.
Il M. guardò con preoccupazione il passaggio di poteri da Garibaldi al re Vittorio Emanuele II e soffrì per il trattamento riservato all’esercito meridionale da parte della casta militare piemontese. Tuttavia, gli anni che lo videro impegnato nell’esercito regio furono anni di importanti incarichi e riconoscimenti: da giugno a ottobre 1862, durante la prefettura di G. Pallavicino, fu chiamato al comando della guardia nazionale di Palermo; tra il 1863 e il 1865 comandò la divisione militare di Messina con il grado di generale dell’esercito regolare; nell’aprile 1865 fu nominato luogotenente generale della divisione di Palermo, con estensione del comando alle truppe mobilitate per le operazioni di pubblica sicurezza nelle province di Trapani e Girgenti. Nel corso di quest’ultimo mandato applicò con severità le disposizioni di pubblica sicurezza previste dalla legge Pica che prevedevano l’arresto dei malviventi colpiti da mandato di cattura, dei renitenti e dei disertori.
Nella repressione, che durò dal 1° maggio al 15 ott. 1865, il M. impiegò 15.000 uomini, di cui 8000 nella sola provincia di Palermo, procedendo all’arresto di un gran numero di ricercati ma alimentando nuovo malcontento tra la popolazione, convinta che il governo sapesse adottare verso la Sicilia solo misure di polizia. A Palermo, di concerto con il prefetto F. Gualterio, il M. inferse nel maggio del 1865 un grave colpo alla cospirazione borbonico-clericale, senza però sradicare del tutto un’opposizione eterogenea che vedeva alleate la politica e la criminalità comune. Sicché da Parma, dove era stato chiamato a comandare la divisione militare, fece presto ritorno a Palermo partendone, però, alla vigilia della rivolta del settembre 1866, per assumere il comando della divisione di Pavia.
Nei mesi precedenti (luglio-agosto) era stato impegnato nella guerra per la liberazione del Veneto come comandante della 15ª divisione nel IV corpo d’armata affidato a E. Cialdini. Fu schierato in Valsugana e con le sue truppe arrivò fino alle porte di Trento, ma fu bloccato nella sua avanzata dall’armistizio di Cormons (12 agosto). Fu per questo decorato con la medaglia d’oro e con la croce di grande ufficiale dell’Ordine militare di Savoia.
Nel dicembre 1866 era di nuovo in Sicilia come comandante generale di tutte le truppe stanziate nell’isola e con l’impegnativo compito di ristabilire, dopo i luttuosi fatti del settembre palermitano, la fiducia popolare nell’autorità e nell’ordine pubblico. Il 25 giugno 1868 fu nominato prefetto di Palermo con estensione del mandato anche ai compiti attribuiti alla direzione generale dei lavori pubblici.
Sulla sua nomina da parte del governo influì la conoscenza della Sicilia maturata come uomo d’armi, mentre la possibilità di concentrare in una sola persona la carica di prefetto e quella di comandante delle truppe stanziate rispondeva alla necessità di avere una figura che, disponendo di ampi poteri, facesse della sicurezza uno dei fattori per la prosperità materiale e morale dell’isola.
Nel corso del suo mandato, in collaborazione con il questore G. Albanese, il M. concentrò l’azione intorno a tre punti principali: impulso alle opere pubbliche, soprattutto alla rete viaria e ferroviaria, istruzione e pubblica sicurezza. Esponente della mentalità borghese settentrionale, era convinto che il progresso economico e sociale dell’isola fosse legato allo sviluppo delle infrastrutture; decise dunque di dar voce alle richieste che riguardavano l’avanzamento delle strade, il miglioramento dei porti, lo sviluppo delle linee ferroviarie Palermo-Messina e Palermo-Trapani, minacciando più volte di dimettersi dalla carica di prefetto se non si fosse dato corso a questi interventi.
Nei suoi rapporti al ministero degli Interni non mancò di sottolineare la percezione diffusa della lontananza dello Stato centrale, le disastrose condizioni dei Comuni, la necessità di ulteriori contributi nella esecuzione dei lavori pubblici; evidenziò inoltre il rischio della spinta antiunitaria che accomunava sovversivi e legittimisti, guadagnando così consenso nell’ala moderata della democrazia siciliana; e non esitò a colpire i democratici, anche quelli che erano stati a lui più vicini: tra questi Mazzini che, sbarcato a Palermo il 13 ag. 1870 per preparare una sollevazione in Sicilia, fu subito arrestato per ordine del M. e trasferito al carcere militare di Gaeta. Un duro scontro con la magistratura e con D. Tajani, procuratore generale di Palermo, in merito all’assoluzione e alla scarcerazione degli imputati nei confronti dei quali non vi erano prove sufficienti, spinse il M., forte della legge speciale del 6 luglio 1871 che lo autorizzava all’uso di misure eccezionali in materia di ammonizione giudiziaria e di domicilio coatto, a imprimere un particolare rigore ai provvedimenti di polizia.
Il M. fu deputato per tre legislature: nella VII (dal 2 aprile al 17 dic. 1860) in rappresentanza del 4° collegio di Firenze, nell’VIII (dal 18 febbr. 1861 al settembre 1865) di Imola e nella X in sostituzione di G. Pepoli come deputato del 2° collegio di Bologna, incarico da cui si dimise l’8 apr. 1870 per essere nominato senatore il 2 giugno 1870. Uomo d’azione con una mentalità da militare, non si astenne però dalle discussioni parlamentari ottenendo la stima dei suoi colleghi anche come uomo politico. Il 13 ott. 1873 lasciò la carica di comandante generale e di prefetto di Palermo: tra gli onori tributatigli vi furono la promozione nel 1875 a primo aiutante di campo del re e il conferimento nel 1876, a opera di Vittorio Emanuele II, del titolo di marchese del Vascello, in ricordo del luogo che nel 1849 lo aveva visto strenuo difensore della Repubblica assediata dai Francesi.
Il M. morì a Roma il 9 marzo 1882. Il 1° giugno 1884 fu inaugurato a Milano un monumento alla memoria.
Fonti e Bibl.: G. Medici, Una pagina di storia del 1860. Con lettere di G. Garibaldi e G. La Farina, Palermo 1869; Relazione del generale Giacomo Medici comandante generale delle truppe in Sicilia incaricato della prefettura al Consiglio provinciale di Palermo, Palermo 1873; L’epistolario di Giuseppe La Farina: ire politiche d’oltre tomba, a cura di A. Bertani, Firenze 1869, pp. 48, 51 s., 56-64, 79; Epistolario di Giuseppe La Farina, a cura di A. Franchi, Milano 1869, II, pp. 101, 104 s., 108, 126; Lettere ad Antonio Panizzi di uomini illustri e di amici italiani (1823-1870), a cura di L. Fagan, Firenze 1880, pp. 403, 407, 419, 424, 451, 454; D.G. Villa, Rivelazioni per completare la vita del generale M., Milano 1884; V. Ottolini, Cronaca della compagnia Medici, riveduta ed approvata nel 1849 dal generale G. M., Milano 1884; A. Bertani, Scritti e discorsi, a cura di J. White Mario, Firenze 1890, pp. 110, 192 s.; Lettere di G. M., in Il Risorgimento italiano, VII (1914), pp. 423-432; C. Gorini, Vigilia di guerra nel 1859: lettere di Carlo Gorini, di Giuseppe Mazzini e di G. M. ad Enrico Guastalla, s.l. 1922; G. Garibaldi, Le memorie, Bologna 1932, ad ind.; Id., I Mille, Bologna 1933, pp. 102, 109 s., 113 s., 248, 250, 257, 331; G. Scichilone, Documenti sulle condizioni della Sicilia dal 1860 al 1870, Roma 1952, ad ind.; Epistolario di Gustavo Modena (1827-1861), a cura di T. Grandi, Roma, 1955, ad ind.; C. Cavour, Carteggi, a cura di C. Pischedda, Bologna 1961, pp. 119, 234, 272, 311; Ed. nazionale degli scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini, Indici, II/2, a cura di G. Macchia, Imola 1973, ad nomen; Ed. nazionale degli scritti di Giuseppe Garibaldi, Epistolario, I-XII, Roma 1973-2006, ad indices; C. Cavour, Epistolario, XVI-XVIII, Firenze 2000-08, ad indices; G. M., in L’Illustrazione italiana, 19 marzo 1882, p. 201; G. Pasini, Vita del generale G. M. dalle guerre di Spagna alla difesa del Vascello, Firenze 1882; A. Picozzi, Garibaldi e M.: episodio della guerra italo-austriaca nel 1848, Milano 1882; G. Pasini, La battaglia di Milazzo narrata dal generale G. M., Cremona 1883; J. White Mario, Della vita di Giuseppe Mazzini, Milano 1886, pp. 356, 459, 461; Id., Agostino Bertani e i suoi tempi, Firenze 1888, I, pp. 115-117, 120, 270, 276, 283, 299, 301 s., 325, 328, 330, 374, 380-382, 388, 392, 415; II, pp. 1 s., 33, 65 s., 74-81, 87, 90, 102, 107, 110, 138, 229 s., 241, 245, 250, 275 s., 281; P. Paladini, La difesa del Vascello, o villa Giraud, fuori porta San Pancrazio fatta dal suo comandante G. M. e la sua legione durante l’assedio di Roma intrapreso dai Francesi nel 1849, Roma 1897; G. Pasini, Vita del generale M. dalle guerre di Spagna alla difesa del Vascello, Roma 1897; G. Castellini, Pagine garibaldine (1848-1866)…, Torino 1909, ad ind.; G. Cadolini, Memorie del Risorgimento dal 1848 al 1862, Milano 1911, passim; G.E. Curatolo, Garibaldi, Vittorio Emanuele, Cavour nei fasti della patria, Bologna 1911, ad ind.; A. Binda, Memorie garibaldine, 1859-1860, a cura di G. Scotti, Milano 1930, pp. 11, 40, 51, 78, 111, 142; G. Del Bono, G. M. del Vascello, Milano 1936; P. Alatri, L’iniziativa repubblicana in Sicilia e un nuovo carteggio mazziniano, in Quaderni di cultura e storia sociale, I (1952), 10, pp. 347, 353-355; Id., Lotte politiche in Sicilia sotto il governo della Destra (1866-1874), Torino 1954, ad ind.; Storia della Sicilia post-unificazione, I, F. Brancato, La Sicilia nel primo ventennio del Regno d’Italia, Bologna 1956, ad ind.; A. De Donno, Un giudizio di G. M. sul trattamento fatto ai garibaldini nel 1860, in Rass. stor. del Risorgimento, XLIV (1957), pp. 103-105; F. Della Peruta, I democratici e la rivoluzione italiana, Milano 1958, ad ind.; F. Molfese, Lo scioglimento dell’esercito meridionale garibaldino (1860-1861), in Nuova Riv. storica, XLIV (1960), pp. 2, 18, 36; R. Giuffrida, Il problema ferroviario in Sicilia dal 1860 al 1895, in La Sicilia e l’Unità d’Italia. Atti del Congresso internazionale di studi storici sul Risorgimento italiano, Palermo…1961, Milano 1962, II, pp. 782, 784-788, 791; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni, Torino 1962, ad ind.; A. Galante Garrone, I radicali in Italia (1849-1925), Milano 1973, ad ind.; M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d’Italia, Roma 1973, pp. 422 s.; J. White Mario, Vita di Garibaldi, Pordenone 1986, pp. 54s., 109, 112, 132-137, 173 s., 176s., 183, 187, 190, 222, 247, 259, 262-265, 268, 288-293, 297, 300, 373; P. Bosi, Diz. storico-biografico-topografico-militare d’Italia, Supplemento, Torino 1875, pp. 71-73; L. Carpi, Il Risorgimento italiano. Biografie storico-politiche, Milano 1884, I, pp. 464-467; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v. (G.C. Ferrari); A. Ribera, Il Risorgimento italiano, V, I combattenti, Roma 1943, pp. 264 s.
G. Lupi