MATTEOTTI, Giacomo
Uomo politico, nato a Fratta Polesine il 22 maggio 1885. Laureatosi in giurisprudenza, militò fino dalla gioventù nel Partito socialista italiano, nelle file del quale salì ben presto a posti di alta responsabilità per le doti intellettuali e per l'integerrimo carattere. Deputato di Ferrara e di Padova per le Legislature XXV, XXVI e XXVII, al seguito di F. Turati, si dedicò, nell'attività parlamentare, prevalentemente a problemi economici e finanziarî.
Con l'avvento del fascismo al potere egli, prima e dopo la sua assunzione a segretario generale del Partito socialista, avvenuta nel 1924, rappresentò la più dura ed inesorabile opposizione al fascismo, del quale smascherò gli intenti autoritarî. Alla Camera dei deputati, nella seduta del 30 maggio 1924, M. denunciò implacabilmente il regime di violenza instaurato dal nuovo governo; si apprestava, nella seduta successiva, a portare altri elemeuti di accusa, quando, il 10 giugno, a Roma, sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, fu aggredito da tali Amerigo Dumini, Albino Volpi, Augusto Malacria, Amleto Poveromo e Giuseppe Viola che, dopo averlo percosso, lo trascinarono nell'interno di una automobile di proprietà di F. Filippelli (direttore del giornale fascista Il Corriere italiano), dove lo pugnalarono; la sua salma fu quindi sepolta nella macchia della Quartarella, nel comune di Riano Flaminio, dove fu rintracciata solo il 15 agosto seguente. Apparve subito evidente come il grave delitto dovesse attribuirsi alla torbida temperie di violenza caratteristica del nuovo regime; mandanti furono ritenuti Benito Mussolini, Emilio De Bono e Giovanni Marinelli. La rivolta morale della nazione costrinse il governo ad arrestare varî esecutori materiali del delitto e ad inscenare il processo di Chieti, che si concluse lasciando impuniti i maggiori responsabili.
Dopo la fine della seconda Guerra mondiale, nel gennaio 1947, si iniziò la revisione del processo, ove non poterono essere giudicati quelli che erano stati ritenuti i mandanti e alcuni degli esecutori del delitto, essendo nel frattempo deceduti anche il Volpi e il Malacria. La sentenza si ebbe il 4 aprile: Amerigo Dumini, Amleto Poveromo e Giuseppe Viola, quest'ultimo latitante, furono condannati all'ergastolo, pena tramutata in 30 anni di reclusione per un sopraggiunto condono.