MALVANO, Giacomo (Giacobbe Isacco)
Nacque a Torino il 15 dic. 1841 da Moisè e da Eva Ovazza. Cresciuto in una numerosa e importante famiglia ebraica di Torino, il giovane M., insieme con G. Giolitti e il futuro senatore del Regno M. Bertetti, nell'agosto del 1861 si laureò in giurisprudenza. Era in anticipo rispetto alla durata del corso e un anno dopo, a soli ventuno anni, con un concorso interno fu ammesso come volontario nei ruoli del ministero degli Esteri.
La sua formazione avvenne in seno al gabinetto e alla divisione politica, dove fu a stretto contatto con E. Visconti Venosta, vero maestro del M., al cui modello di diplomazia rimase sempre fedele, e con I. Artom, al quale fu legato anche dalla comune fede religiosa e dal senso di appartenenza a quella componente ebraica che dette un apporto decisivo alla costruzione dello Stato unitario. Il M. fu il vero referente di Artom per gli affari del ministero negli anni di Firenze capitale (1865-70), sia riguardo ai movimenti del personale sia per le grandi questioni di politica internazionale, rispetto alle quali dimostrava una capacità di analisi sorprendente per un "novizio" della carriera. Della questione tunisina, per esempio, di cui si sarebbe occupato a più riprese durante tutto l'arco della carriera, egli cominciò a interessarsi nel 1868, contribuendo all'elaborazione del primo trattato tra il Regno d'Italia e il bey di Tunisi.
Negli anni che precedettero il conflitto franco-prussiano fu tra quanti percepirono la delicata posizione dell'Italia, combattuta tra l'esigenza di non pregiudicare i rapporti con la Francia per la questione romana e quella di mantenere buone relazioni con Berlino, necessarie per una politica di equilibrio tra Parigi e Vienna. Nel febbraio 1868, egli riteneva pertanto che la neutralità fosse per l'Italia una "stretta inesorabile necessità", ma al contempo si preoccupava di sottolineare quanto fosse opportuno "di nulla omettere che possa assicurarcene il beneficio" e non risparmiava critiche, anche molto severe, nei confronti del ministro degli Esteri L.F. Menabrea, per la sua "mancanza di qualsiasi piano preconcetto" (Roma, Arch. stor. diplomatico del ministero degli Affari esteri, Fondo I. Artom, b. 3: lettera del M. a I. Artom, 20 febbr. 1868).
Non meno netti furono i suoi giudizi sulla politica interna: nel 1869, l'eventualità di un ministero di sinistra Rattazzi-Crispi veniva giudicata una "inevitabile catastrofe", soprattutto in riferimento alle possibili misure finanziarie, alle quali preferiva il programma Cambray Digny, anche questo giudicato non "scevro di grosse mende", ma con "l'incontestabile vantaggio di non essere radicale e di essere suscettibile di modificazione" (ibid., lettera del 30 ott. 1869), in ossequio a una concezione moderata degli affari politici che fu l'idea guida della sua vita pubblica.
Fu Visconti Venosta, negli anni del suo secondo mandato agli Esteri, che nominò il M. a capo della direzione generale dei consolati e del commercio, incarico che svolse sino al 1876. Promosso direttore capo di divisione nel 1872, egli mostrò una certa propensione per tale sfera di competenze: in qualità di rappresentante del ministero, dal 1872 al 1876 fu membro della Giunta centrale di statistica, dove entrò in buoni rapporti con L. Bodio, con il quale si occupò di problemi riguardanti il censimento degli italiani all'estero. Nello stesso periodo fu inoltre membro del Consiglio superiore del commercio e, nel 1873-75, della giunta d'inchiesta industriale, che al suo sorgere fu presieduta da A. Scialoja e composta dai principali esponenti del movimento "industrialista" nazionale, tra i quali A. Rossi, L. Luzzatti, V. Ellena, che sollecitavano una revisione della politica doganale. La pubblicazione dei risultati dell'inchiesta nel 1874, infatti, segnò una svolta decisiva verso l'adozione di una politica protezionista. Nel 1875-76 partecipò alla commissione per il rinnovo dei trattati di commercio con Francia, Svizzera, Inghilterra e Austria-Ungheria, e fu ricordato da Luzzatti tra quei "benemeriti funzionari" che "s'illustrarono in negoziati difficili, accoppiando alla competenza la modestia, affaticandosi alle analisi, eseguendo i piani dei generali per sostituirli poi nelle loro operazioni strategiche e tattiche" (Luzzatti, p. 437).
Sia Luzzatti, sia Bodio facevano parte della Società geografica italiana, della quale il M. era stato socio fondatore, nel 1867, e consigliere dal 1873, durante la presidenza di C. Correnti. Inoltre fece parte a più riprese della sua commissione esecutiva e il 20 gen. 1878 ne divenne vicepresidente, occupandosi della spedizione africana annunciata nel 1873 e partita nel 1876, di vari congressi geografici internazionali, di emigrazione.
La presenza del M. nella Società geografica deve essere valutata non solo in riferimento a quella élite di alti funzionari, imprenditori, intellettuali che tra gli anni Settanta e Ottanta dell'Ottocento svolse una funzione di preparazione culturale e tecnica alla politica coloniale. Per il M., infatti, si trattò anche di una ulteriore possibilità di stabilire nuovi rapporti, soprattutto con l'elemento più propriamente politico e per di più negli anni dell'eclissi dell'esperienza di governo della Destra storica. In tal senso, sono da segnalare le relazioni tra il M., uomo della Destra piemontese allevato nella memoria di Cavour, ed esponenti della sinistra come Correnti o C. Maraini, che era stato segretario di A. Bertani ai tempi della dittatura in Sicilia - nella cui casa fiorentina la Società geografica era nata -, nonché direttore de Il Diritto, organo ufficioso della Società e, soprattutto, vecchio giornale della "democrazia". Stando a quanto riferisce Alberto Pisani Dossi (il suo pseudonimo era Carlo Dossi), che sarà il più convinto avversario del M. ai tempi di F. Crispi, il principale referente del M. nel periodo della transizione - quando, nel 1876, ci "fu un allarme fra tutti gli impiegati appartenenti alla Destra" - fu proprio Maraini, il quale avrebbe "raccomandato" il suo nome a L.A. Melegari, A. Depretis e poi a B. Cairoli (C. Dossi, II, p. 727 n. 5191).
Con la "partenza" di Visconti Venosta e l'arrivo di Melegari alla Consulta nel 1876, il M. lasciò infatti la divisione commerciale e dei consolati per tornare agli affari politici. Fu Cairoli, nel luglio del 1879, a promuovere il M. - addirittura ritoccando l'ordinamento del ministero degli Esteri -, mettendolo a capo di una neoistituita direzione generale degli affari politici e degli uffici amministrativi, che assumeva quasi le funzioni di un gabinetto, con accresciute competenze sia di natura prettamente politica sia di carattere amministrativo, un organo cioè che sembrava "tagliato" apposta per il Malvano. Ma al di là delle "maldicenze" di Pisani Dossi, in quegli anni egli era già un funzionario esperto e stimato - nel dicembre del 1878 era stato anche nominato libero docente in diritto diplomatico presso l'Università di Roma - e soprattutto molto influente negli ambienti della Consulta, di cui conosceva tutti i segreti. Tale influenza era conseguenza della sua grande capacità di lavoro e di una presenza più che assidua nelle stanze del ministero. Una dedizione agli affari favorita anche dal celibato e che traspare nettamente dal carteggio con A. Pansa, amico degli anni giovanili torinesi, al quale spesso riferiva della mole di pratiche che gravava sul suo ufficio.
Se si guarda quindi al quadro complessivo della storia della diplomazia italiana e dell'organizzazione del ministero degli Esteri nel passaggio dai governi della Destra a quelli della Sinistra storica, è presumibile che la promozione del M., più che ai buoni uffici di Maraini, sia da riportare a quella esigenza avvertita dal nuovo governo di affidarsi, indipendentemente dal colore politico, a esponenti della vecchia diplomazia. E ciò fu sia per garantire una continuità amministrativa sia per legittimarsi agli occhi delle Cancellerie straniere. Certo è che furono anni particolarmente intensi per il M., nuovo direttore generale agli affari politici, soprattutto sul fronte africano, impegnato negli studi per l'ordinamento della prima colonia italiana di Assab e poi nella crisi italo-francese per la questione di Tunisi, rispetto alla quale ebbe larga parte nell'acquisto della ferrovia Tunisi - La Goletta.
Il provvedimento di promozione del M. non passò comunque inosservato e suscitò non poche critiche. Molto probabilmente già in quegli anni si aprì quel contenzioso tra Crispi, i suoi più fedeli accoliti e il M., che portò al suo allontanamento dalla carica di segretario generale del ministero, carica alla quale egli arrivò il 2 luglio 1885 con Depretis e che rivestì solo fino al 16 ottobre a causa della caduta del ministero.
Il 1885 fu anche l'anno in cui maturò il dissidio con Pisani Dossi. Questi, che aveva mostrato un particolare interesse nei riguardi di una riforma del ministero degli Esteri, fu espressamente invitato dal M. a mettere a punto un progetto che alla fine risultò prevedere nientemeno che l'introduzione del ruolo unico tra le carriere e la riduzione delle due direzioni generali, a capo delle quali stavano proprio il M. e A. Peiroleri. Come ha scritto Serra, "il progetto di Pisani, tutto volto all'avvenire, non era fatto per piacere a un esponente della tradizione burocratica piemontese", che "non volle né firmarlo, né approvarlo, provocando così nel Pisani Dossi un risentimento che sfocerà in una violenta ostilità" (Serra, 1987, p. 25).
Nel contenzioso tra Crispi e il M. è da vedersi lo scontro tra due opposte concezioni della diplomazia: da una parte il sostenitore di una svolta modernizzante ma in cui la superiorità dell'elemento politico rendeva il diplomatico un esecutore obbediente e quasi passivo delle istruzioni del governo; dall'altra, il tenace difensore delle prerogative della "carriera" e della specialità dell'ordinamento degli Affari esteri, diffidente nei confronti delle ingerenze prevaricanti dell'elemento politico. Il M. impersonava alla perfezione la figura del segretario generale nella sua accezione tradizionale e cioè quella di consigliere del ministro, capo del servizio diplomatico e garante della continuità della politica estera nazionale. Qualcosa di intollerabile per Crispi, il quale concepiva il segretario generale come un inutile diaframma tra il ministro e i rappresentanti all'estero, tant'è vero che con la sua riforma la carica fu soppressa. Quanto ai rapporti con Pisani Dossi, poi, egli incarnava un mondo del tutto differente e non soltanto dal punto di vista socioculturale - il M. era un rappresentante dell'operosa borghesia di estrazione israelita, Pisani Dossi un aristocratico lombardo propenso ai "pensieri eroici, insofferente di disciplina e di banalità" - ma anche dal punto di vista caratteriale, così distante il M. dagli "eccessi di fantasia od iniziative extra muros" (ibid., p. 36), prudente, estremamente riservato, fedele osservante di quella regola tanto cara all'amico Artom, secondo la quale i diplomatici erano "fatti per tacere".
Fu Pisani Dossi il vero ispiratore del decreto di nomina del M. alla punitiva sede di Tokio in qualità di inviato straordinario e ministro plenipotenziario, la cui pratica iniziò con lettera del capo di gabinetto del ministro del 4 apr. 1888. Il M., però, non raggiunse mai tale destinazione, essendo dapprima riuscito a convincere Crispi in persona a revocare il decreto, e poi, quando Pisani Dossi e il sottosegretario A. Damiani letteralmente gli intimarono di raggiungere la sede cui era stato destinato, chiese di essere messo in aspettativa per motivi di famiglia.
Nominato al Consiglio di Stato il 25 apr. 1889, qualche mese dopo fu collocato a riposo con il grado di inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2ª classe; fu comunque un'interruzione soltanto temporanea della carriera. Caduto Crispi, infatti, nel febbraio 1891 fu richiamato in servizio in qualità di segretario generale del ministero degli Esteri, carica che, con il ritorno di Crispi al potere, lasciò di sua spontanea iniziativa con lettera al ministro A. Blanc del 19 dic. 1893, quando tornò a "rifugiarsi" al Consiglio di Stato. Un secondo e definitivo reingresso avvenne nel marzo 1896 con A. Starrabba marchese di Rudinì a capo del governo e con O. Caetani in qualità di ministro. Il 25 ott. 1896, inoltre, quasi a ripagarlo dei torti subiti, fu nominato senatore del Regno per la 15ª categoria.
Il ritorno del M., la cui figura uscì enormemente rafforzata dal dissidio con Crispi, era il segno più evidente della liquidazione definitiva dell'esperienza crispina alla Consulta. Fu infatti quasi interamente allontanato tutto l'entourage di Crispi, compreso Pisani Dossi che, già esonerato dalla reggenza del gabinetto del ministro, fu "spedito" dal M. prima a Bogotà e poi a Rio de Janeiro. Anche da un punto di vista organizzativo, fu il M. il vero ispiratore della riforma Caetani del ministero, con la quale furono ricostituite le tradizionali divisioni, soppresso il gabinetto del ministro e reintegrato l'ufficio del segretario generale, affidato ovviamente al M., alla cui diretta dipendenza rimaneva anche la "divisione politica".
Con il ritorno di Visconti Venosta a capo della Consulta, il M. ebbe un ruolo centrale in quel processo di revisione della politica estera nazionale che seguì alla bufera crispina, facendosi perfetto interprete della nuova politica di equilibrio seguita dai governi conservatori di fine secolo, le cui linee fondamentali aveva avuto modo di comunicare a Pansa già il 15 apr. 1896: "fedeltà scrupolosa alla Triplice, amicizia cordiale con l'Inghilterra, evitare ogni questione con la Francia", "programma" che andava "praticato senza esitazione, senza rimpianti, senza arriere pensée" (Roma, Arch. stor. diplomatico del Ministero degli Affari esteri, Carte A. Pansa, Corrispondenza Malvano, b. 7: lettera del M. ad A. Pansa, 15 apr. 1896).
Riguardo al riavvicinamento con la Francia, di cui gli accordi tunisini del 1896 erano il segno più tangibile, il M. fu indubbiamente favorito, oltre che da una conoscenza perfetta della questione di Tunisi, anche dalla sua fama di ardente anticrispino, ciò che dovette suscitare ottime impressioni negli ambienti del Quai d'Orsay. In merito all'intesa con gli Imperi centrali, occorre ricordare che egli fu l'autore di un'importante dichiarazione seguita a un articolo pubblicato nelle Hamburger Nachrichten del 24 ott. 1896, in cui si trattava dei rapporti tra Germania e Russia. Il M. sfruttò l'occasione per sottolineare il principio che l'Italia intendeva la Triplice come base di un sistema non esclusivo e circoscritto, ciò che naturalmente rassicurò molto i Francesi. La rilevanza di tale dichiarazione non deve però essere considerata solo in riferimento ai rapporti Italia-Francia, perché più in generale essa compendia un indirizzo di politica estera perseguito dai governi italiani sino alla Grande Guerra. Tanto più che qualche anno dopo, con G. Prinetti alla Consulta, si aprì una nuova fase nei rapporti tra Italia e Inghilterra grazie all'Intesa Mediterranea del 1902.
Riguardo allo scacchiere africano, dopo il disastro di Adua (1( marzo 1896) il M. fu un deciso sostenitore della politica di "raccoglimento", facendosi interprete di quella linea moderata molto presente negli ambienti della Consulta che agì da freno nei confronti dei settori più espansionisti. Non si trattava di rinnegare un passato che lo aveva visto sostenitore del colonialismo italiano, ma di schierarsi decisamente contro ogni avventurismo. Tant'è vero che continuò a mostrare interesse nei confronti delle possibilità di nuove forme di colonialismo e dei problemi riguardanti l'emigrazione, dando la sua adesione a quell'Istituto coloniale italiano pensato al congresso dell'Asmara del 1905 e che segnò "l'avvio di una fase nuova nella trattazione dei problemi coloniali" (Aquarone, p. 296).
Il M. avvertì comunque con preoccupazione il cambiamento di clima e le nuove mire espansionistiche di inizio secolo, soprattutto quelle di T. Tittoni, comunicando a Pansa la sua difficoltà a mutare una tendenza che "si spiega[va] col desiderio del successo", ma dinanzi alla quale non avrebbe rinunciato a far la sua parte di "codino impenitente" (Carte A. Pansa, cit., lettera a Pansa, 1( apr. 1905). È da credere, in realtà, che tale azione moderatrice riuscisse senz'altro ad avere effetti, vista l'influenza raggiunta dal M. nei primi anni del Novecento, quando in certi ambienti era accreditato come possibile ministro proprio in alternativa a Tittoni, cosa che, scriveva C. Romussi a Giolitti il 26 ott. 1903, avrebbe avuto il significato di abolire "l'ipocrisia di un ministro che firma ciò che il Malvano gli mette sott'occhi" (Dalle carte di G. Giolitti, II, pp. 328 s.).
A partire dal 1905 partecipò ai lavori della commissione voluta dal ministro Tittoni per una riforma dell'ordinamento del ministero, in seno alla quale sollevò non poche eccezioni all'abolizione della carriera interna. A questo provvedimento in effetti si arrivò con la riforma del 1907, ma di esso il M. non ebbe modo di verificare gli effetti. Nominato il 20 giugno 1907 presidente della I sezione del Consiglio di Stato, nonostante le insistenze di Tittoni e di Giolitti che lo avrebbero voluto ancora al suo posto, l'8 settembre dello stesso anno andò a riposo dopo più di quarant'anni di intensa carriera.
Con il pensionamento del M. venne a mancare all'amministrazione degli Affari esteri uno fra i rappresentanti più eminenti della generazione dell'Unità e uno degli epigoni di quella componente piemontese che nel ministero fu maggioritaria almeno sino agli anni Ottanta dell'Ottocento. La vicenda del M. è indicativa di come né l'avvento della Sinistra, né la (fallita) "rivoluzione crispina" riuscirono a interrompere la continuità di una tradizione diplomatica che era ancora viva negli anni di Giolitti, che fu chiamata a una dura prova nella crisi della Grande Guerra e che si estinse soltanto negli anni Quaranta, con il crepuscolo del Regno d'Italia.
Il M. continuò a occuparsi di questioni di politica estera o in qualche modo inerenti l'amministrazione a essa preposta. Oltre a far parte a più riprese della commissione per i passaggi di ruolo dalla carriera diplomatica a quella consolare, al Senato del Regno fece parte della commissione per i trattati internazionali, della commissione sulla convenzione di Berna e di quella incaricata dell'esame della relazione sull'esportazione durante la guerra europea. Il 12 febbr. 1913 fu nominato presidente del Consiglio di Stato e in tale veste, nel 1915 e su incarico di S. Sonnino, fu autore di un progetto di riordinamento del Consiglio del contenzioso diplomatico, del quale aveva fatto parte più volte a partire dal 1889. Una presenza, la sua, che da più parti fu considerata altamente qualificante: da A. Paternò Castello marchese di San Giuliano, che riteneva i suoi pareri "difficilmente confutabili" (Dalle carte di G. Giolitti, III, p. 96), a C. Sforza, che ancora nel 1920 proponeva il suo nome a Giolitti.
Il M. morì a Roma l'8 nov. 1922. Il 16 nov. 1922 toccò a Tittoni, in qualità di presidente del Senato, commemorare la figura del Malvano.
Furono parole affettuose, pronunciate nella stessa seduta in cui B. Mussolini annunciò alla Camera alta la sua nomina a presidente del Consiglio. Come ha scritto il pronipote, l'ambasciatore Vita Finzi, "si chiudeva il ciclo dell'Italia liberale: G. Giolitti sopravvisse al suo compagno di laurea ancora sei anni" (p. 38).
Fonti e Bibl.: Roma, Ministero degli Affari esteri, Arch. stor. diplomatico, Personale, s. VII, M7, Giacomo Malvano; s. P., Politica (1891-1916), b. 338: Tunisia; Arch. di gabinetto Tittoni, b. 4; Fondo Isacco Artom, bb. 1, 3; Carte Alberto Pansa, Corrispondenza Malvano, b. 7; Documenti diplomatici italiani, s. III, vol. 2, n. 305; vol. 3, nn. 92, 203, 332; Atti parlamentari, Discussioni del Senato del Regno, legisl. XIX, sess. unica 1895-97, pp. 2887, 2922, 2952; legisl. XXI, 2ª sess. 1902-04, p. 1411; legisl. XXII, sess. 1904-09, p. 8131; legisl. XXIII, sess. 1909-13, pp. 50, 1380; legisl. XXIV, sess. unica 1913-19, pp. 1214, 1301, 4466; legisl. XXVI, sess. unica 1921-23, p. 4003. Si vedano poi: Vacanze operose al ministero degli Affari esteri, in Nuova Antologia, 16 sett. 1907, pp. 316-323; Il nuovo presidente del Consiglio di Stato. Senatore G. M., ibid., 1( marzo 1913, pp. 155-157; L. Luzzatti, Memorie autobiografiche e carteggi, I, 1841-1876, Bologna 1930, pp. 437, 453, 477, 487; Dalle carte di Giovanni Giolitti, II, Dieci anni al potere, 1901-1909, a cura di G. Carocci, Milano 1962, pp. 328 s.; III, Dai prodromi della Grande Guerra al fascismo, 1910-1928, a cura di C. Pavone, Milano 1962, pp. 95 s., 281; C. Dossi, Note azzurre, a cura di D. Isella, Milano 1964, II, pp. 727, 887 s.; E. Serra, La questione tunisina da Crispi a Rudinì ed il colpo di timone alla politica estera dell'Italia, Milano 1967, ad ind.; M. Carazzi, La Società geografica italiana e l'esplorazione coloniale in Africa (1867-1900), Firenze 1972, ad ind.; E. Serra, A. Pisani Dossi diplomatico, Milano 1987, pp. 23-25, 31-39; Il fondo archivistico "Serie Z-Contenzioso", a cura di L. Pilotti, Roma 1987, pp. 36 s.; La formazione della Diplomazia nazionale (1861-1915). Repertorio bio-bibliografico dei funzionari del ministero degli Affari esteri, Roma 1987, ad vocem; A. Aquarone, Dopo Adua: politica e amministrazione coloniale, Roma 1989, ad ind.; P. Vita Finzi, Giorni lontani, Bologna 1989, pp. 29-38; F. Grassi Orsini, Il ministero degli Esteri: la diplomazia, in Le riforme crispine, I, Amministrazione statale, in Archivio Isap (Istituto per la scienza dell'amministrazione pubblica), 1990, n. 6, pp. 89, 115 s., 147, 153; E. Serra, Diplomatici del passato: G. M., in Affari esteri, XXIV (1992), 93, pp. 197-211; V. Pellegrini, Il ministero degli Affari esteri, in L'amministrazione centrale dall'Unità alla Repubblica. Le strutture e i dirigenti, a cura di G. Melis, Bologna 1992, ad ind.; D. Marucco, L'amministrazione della statistica nell'Italia unita, Roma-Bari 1996, pp. 131, 164, 179; E. Capuzzo, Gli ebrei nella società italiana: comunità e istituzioni tra Ottocento e Novecento, Roma 1999, p. 173; M. Soresina, Conoscere per amministrare: L. Bodio, Milano 2001, ad ind.; F. Grassi Orsini, La diplomazia italiana agli inizi del secolo XX, in Verso la svolta delle alleanze. La politica estera dell'Italia ai primi del Novecento, a cura di M. Petricioli, Venezia 2004, pp. 107, 116, 122, 141; Repertorio biografico dei senatori dell'Italia fascista, IV, a cura di E. Gentile - E. Campochiaro, Napoli 2004, ad vocem.