BRIGNOLE, Giacomo Luigi
Nato a Genova 18 maggio 1797 da Francesco Maria, figlio dell'ultimo doge genovese Giacomo Maria, e da Giovanna Grillo Cattaneo, fu educato durante il periodo napoleonico nel liceo militare di Genova; quindi si perfezionò nello studio delle lettere sotto la guida di C. Leoni, con cui nel 1819 fece un viaggio d'istruzione a Napoli, Roma e Firenze.
Alcuni anni dopo, ordinato sacerdote a Genova dall'arcivescovo L. Lambruschini, il B. ritornò a Roma per laurearsi in utroque iure ed entrare in prelatura. Dal 10 marzo 1825 fa prelato referendario di Grazia e giustizia e ponente del Buon Governo; nel 1827 fu nominato vicelegato di Forlì, alle dipendenze di mons. G. A. Benvenuti. Da Pio VIII il B. fu consacrato il 15 marzo 1830 arcivescovo di Nazianzio e destinato a reggere la nunziatura di Firenze. Qui il B. si trovò a esercitare una funzione di primo piano nel tentativo di restaurazione pontificia nelle Legazioni quando ancora vi mfuriava la rivoluzione del marzo 1831: proprio nella sede della nunziatura di Firenze si concretarono, nelle discussioni tra il B., il legato a latere Oppizzoni e i rappresentanti delle potenze interessate al problema, i progetti di riforma amministrativa delle Legazioni.
Nell'agosto 1831 il B. faceva pervenire al card. Zurla, pregandolo di mantenere incognito l'autore, un progetto di riforma generale dell'amministrazione centrale dello Stato che prevedeva come massimo organo governativo una congregazione di Stato composta di sette membri: il segretario di Stato, cui sarebbe rimasta solo la competenza degli affari esterni; il cardinale camerlengo per le Belle Arti e il prefetto degli studi per l'Istruzione pubblica, due prelati per la Giustizia e l'Interno, infine due laici per le Finanze e l'Esercito. L'anno dopo il B. presentava al Bernetti un progetto meno innovativo, giudicandolo forse più realizzabile, con cui si lasciavano intatte le prerogative della segreteria di Stato, proponendo soltanto la costituzione di una congregazione di Stato, formata da sette cardinali o prelati e da sette laici, che avrebbe avuto una funzione puramente consultiva. Ma anche questa proposta fu respinta dal Bernetti con il pretesto dell'opposizione del papa e dell'Austria.
Frattanto il B. era stato eletto procommissario delle Legazioni, ove la sua opera fu deludente sia perché si mostrò poco propenso a mutare i metodi repressivi usati dal suo predecessore Albani, sia perché spesso le sue iniziative erano scavalcate dalle autorità centrali che corrispondevano direttamente con le autorità provinciali delle Romagne. Richiamato a Roma nel febbraio 1833, il B. fu nominato tesoriere.
La sua amministrazione fu giudicata disastrosa: enormi furono gli sprechi e scandaloso il favoritismo, mentre, per eliminare la possibilità di un severo controllo, il B. tentò di ottenere l'abolizione della Congregazione di revisione e di ridurre le competenze della Cassa di ammortizzazione e della direzione del Debito pubblico.
Così rendendo vane le "Disposizioni riguardanti un nuov'ordinamento del Tesorierato e dei suoi uffici", emanate per opera del consigliere austriaco G. Sebregondi il 29 dic. 1832, il B. si limitò a sperperare il prestito di 3 milioni di scudi, ottenuto dal Rothschild nell'agosto 1832 al 721/2%, e a richiederne un altro per la stessa somma nel settembre 1833 all'82%, per coprire il disavanzo che era salito ad 850.000 scudi annui.
Elevato alla porpora il 20 genn. 1834 con il titolo di S. Giovanni a porta Latina (mutato poi il 13 sett. 1838 con quello di S. Cecilia), il B. fu dal 1842 presidente della Congregazione della revisione dei conti e degli affari di pubblica amministrazione.
Eletto l'11 giugno 1847 vescovo di Sabina, seguì Pio IX a Gaeta nel dicembre 1848. Nel 1851 fu nominato prefetto della Congregazione dell'Indice e nel 1853 presidente della Consulta di Stato per le finanze. Morì a Roma il 23 giugno 1853.
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