LERCARO, Giacomo
Nacque il 28 ott. 1891 a Quinto al Mare (Genova), da Giuseppe e Aurelia Picasso. Nel 1902, lasciata la famiglia di modeste condizioni, entrò a Genova nel seminario del Chiappeto iniziandovi una formazione ecclesiastica coronata dall'ordinazione presbiterale il 25 luglio 1914. Laureatosi in teologia il 28 ottobre successivo, trascorse alcuni mesi a Roma per frequentarvi il Pontificio Istituto biblico. Costretto al rientro a Genova per l'entrata in guerra dell'Italia e l'eventuale chiamata alle armi, svolse in effetti il servizio militare tra il 1916 e il 1918 come soldato di sanità.
Il ministero sacerdotale si aprì a fine 1918 con mansioni minori presso il seminario genovese. Dal 1923 il L. assunse l'insegnamento di Sacra Scrittura e patrologia, conservandolo sino al 1937, quando lasciò ogni altro incarico per ricoprire la funzione di prevosto della basilica di S. Maria Immacolata e l'annessa cura di una fra le più importanti parrocchie urbane.
L'insegnamento fece da sfondo ininterrotto a numerose altre iniziative che lo videro protagonista insieme con altri esponenti del clero genovese: il VII congresso eucaristico nazionale (Genova 1923); la nascita dell'Apostolato liturgico (1930) con la direzione di G. Moglia e la collaborazione, accanto al L., di giovani preti locali destinati poi a notevole fama (G. Siri, E. Guano); il I congresso liturgico nazionale (Genova, 1934); l'insegnamento di filosofia presso l'istituto Vittorino da Feltre (1926-27) e, soprattutto, quello di religione al liceo classico C. Colombo (1927-37).
L'insegnamento in particolare offrì al L. l'opportunità per una consuetudine con i giovani che si estese anche e soprattutto al di fuori della scuola, ponendo le premesse per quello specifico interesse per la catechesi che, insieme con la liturgia e con l'attenzione per i problemi sociali, e prescindendo dai compiti di governo via via assunti, sarebbe rimasto nel tempo come uno degli ambiti d'impegno a lui più congeniali.
Nella decennale funzione di prevosto all'Immacolata (1937-47, con un periodo di assenza dalla città durante l'occupazione tedesca seguita all'8 sett. 1943) gran parte di quelle precedenti esperienze vennero trasfuse nella vita parrocchiale, in vista di un impulso alla piena partecipazione dei fedeli alla liturgia, di una valorizzazione della presenza del laicato cattolico, di un avvicinamento alle fonti bibliche e patristiche del cristianesimo. Ne scaturì un intreccio tra innovazione pastorale e legami con la tradizione devota caratteristico del L., ed emblematicamente riassunto nell'immediato dopoguerra da due iniziative che lo ebbero come promotore originario pur coinvolgendo l'intera diocesi: la "missione mariana" in città e la costituzione del Didascaleion (istituto finalizzato alla formazione religiosa superiore dei laici).
Una serie di commenti radiofonici ai Vangeli proposti a fine guerra attraverso la sede genovese della RAI conferma che il L. era sostanzialmente in linea con la "Chiesa di Pio XII": portatrice di un programma di ricostruzione morale oltre che materiale dell'Occidente postbellico. Elemento chiave di quella prospettiva doveva essere la "presenza" esplicita e qualificata dei cattolici nella società. Una presenza che partiva certo da principî e contenuti religiosi per svilupparsi tuttavia in forme di gestione diretta dello Stato e di capillare penetrazione all'interno della società civile. Era il progetto di ricristianizzare la società che aveva attraversato invariabilmente il Papato romano almeno dalla fine dell'Ottocento in poi, e che ora - nella situazione italiana seguita al crollo del fascismo - trovava nel saldo legame tra l'istituzione ecclesiale e il partito cattolico di maggioranza relativa un veicolo inedito di possibile realizzazione.
Il L. divenne un interprete particolarmente efficace di quella stagione. Aveva infatti già messo in evidenza e avrebbe ulteriormente confermato: una posizione dottrinale non sospettabile né di cedimenti innovativi né di ostinato tradizionalismo; una "fantasia" pastorale decisamente spiccata e in linea con talune sorvegliate aperture dello stesso pontificato pacelliano (in particolare, per il L., l'enciclica Mediator Dei sulla liturgia); una spregiudicata disponibilità ad affrontare situazioni oggettivamente difficili per la proposta di un cristianesimo che intendeva risultare del tutto "visibile".
Non è dunque casuale che nel 1947 e poi nel 1952 venisse scelto dalla S. Sede quale arcivescovo dapprima di Ravenna e poi di Bologna: diocesi di "frontiera", per il sovrapporsi del tradizionale anticlericalismo delle Romagne ex pontificie e del recente massiccio dominio politico delle forze di sinistra.
Il quinquennio di governo episcopale a Ravenna ruotò pertanto attorno al prioritario obiettivo di riconquistare spazi alla religione in una terra per lo più ostile.
Varie iniziative servirono allo scopo: l'ingresso ufficiale in diocesi del nuovo arcivescovo (7 apr. 1947), dopo che per ragioni precauzionali tale prassi era stata abbandonata dai predecessori; il passaggio per l'intera provincia (1948) dell'icona denominata "Madonna greca"; il ciclo di predicazioni tenute a Ravenna (ottobre 1949) dai missionari della Pro civitate Christiana di Assisi; l'ulteriore ciclo di predicazioni che riguardò (ottobre 1950 - aprile 1951) le varie località del forese. Il tutto sullo sfondo di un clima di conflitto ideologico scandito dalle elezioni politiche del 18 apr. 1948 e l'anno successivo dall'ingresso dell'Italia nel Patto atlantico e dalla scomunica dei comunisti decretata dal S. Uffizio; e secondo una linea che - nel suo intreccio di fattori religiosi e mentali - il L. aveva così definita già all'indomani della consultazione elettorale dell'aprile 1948: "Localmente i risultati del 18 aprile hanno rivelato una condizione buona al centro Città, meno buona nei sobborghi, meno ancora, in genere, nella campagna. È evidente, anche fuori di ogni esclusivismo, il rapporto direttamente proporzionale alla possibilità di assistenza religiosa e sociale: clero e chiese in maggior numero e iniziative molteplici al centro, che gradualmente diminuiscono allontanandoci. Questo rilievo impone all'Autorità religiosa la necessità di provvedere ai sobborghi e alla periferia" (G. Lercaro, Notificazioni [giugno 1948], in Rivista diocesana, XXXVIII [1948], p. 28).
Fu nel suo insieme un'esperienza decisiva, tanto che sembra corretto concluderne che, nello sviluppo complessivo dell'episcopato del L. (1947-68), Ravenna preparò in profondità Bologna.
Il governo della diocesi intitolata a S. Petronio - il L. fu nominato arcivescovo il 2 apr. 1952 e cardinale il 12 genn. 1953 - si aprì dunque nel segno della continuità rispetto alle premesse ravennati. Il L. alzò anzi ulteriormente il profilo dello scontro ideologico.
Parlò infatti di Bologna come di una "diocesi malata"; organizzò un gruppo di religiosi (i "frati volanti") affidando loro il compito di combattere gli avversari politici in occasione dei comizi e delle manifestazioni di propaganda in genere; tentò il rovesciamento del dominio amministrativo delle sinistre spingendo G. Dossetti a candidarsi nel 1956 alla carica di sindaco del capoluogo; espresse platealmente il proprio sdegno di fronte all'invasione sovietica dell'Ungheria (1956) e alla condanna per diffamazione del vescovo di Prato P. Fiordelli (1958) pavesando a lutto le chiese urbane e facendone suonare egualmente a lutto le campane. Del tutto emblematica, al riguardo, era d'altronde l'immagine veterotestamentaria scelta per rappresentare la propria visione: quella dei soldati dell'esercito di Esdra, che con una mano combattevano e con l'altra costruivano le mura della nuova Gerusalemme.
Se la parte relativa al combattimento non richiede ulteriori chiarimenti, quella riguardante invece la costruzione merita qualche attenzione, anche perché si giocò qui la peculiarità religiosa dell'episcopato del Lercaro. Suoi capisaldi risultarono da subito la forte spinta per la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche (una sua "guida" alla messa, A Messa, figlioli! Direttorio liturgico…, Bologna 1955, sarebbe stata tradotta in varie lingue); l'impegno per la catechesi; la raccolta sistematica di fondi per la costruzione di nuovi edifici sacri nella periferia urbana; la preparazione di coreografie per accentuare l'impatto sociale di talune celebrazioni liturgiche o per connotare religiosamente certe ricorrenze popolari. In breve la Chiesa di Bologna divenne espressione tipica di una delle caratteristiche sfaccettature del cattolicesimo pacelliano, in cui religiosità e trionfalismo, interiorità e "presenza", costituivano ingredienti altrettanto sostanziali e, nella percezione di allora non contraddittori, di un amalgama decisamente variegato.
All'inizio degli anni Sessanta, ormai noto sul piano internazionale nella duplice veste di esperto liturgista e di combattente nella roccaforte comunista di Bologna, il L. manifestò segni interpretabili sia come indizi di una parabola discendente (aveva allora settant'anni) sia come tracce di un ripensamento complessivo del proprio governo episcopale.
Il passaggio dal pontificato di Pio XII a quello di Giovanni XXIII (1958), l'attenuarsi della tensione internazionale (dopo la crisi di Cuba), la stessa evoluzione della politica italiana con l'aprirsi della stagione del centro-sinistra, presentavano ormai uno scenario in via di profonda trasformazione e rispetto al quale il L. sentì forse l'inadeguatezza della linea fino ad allora seguita.
L'apertura del concilio Vaticano II (11 ott. 1962) allontanò tuttavia il peso di quell'appannamento e aprì imprevedibilmente la strada a una stagione del tutto inedita. A inaugurarla fu l'esperienza decisamente unica della partecipazione ai lavori del concilio.
Estesasi in successive fasi dall'ottobre 1962 al dicembre 1965, essa tenne il L. a lungo lontano dalla diocesi, lo mise in contatto quotidiano con vescovi provenienti da ogni parte del mondo, relativizzò la centralità delle questioni italiane e bolognesi, lo costrinse a misurarsi con tematiche talvolta a lui estremamente familiari (la liturgia) ma tal'altra meno consuete e invece stimolanti (il dibattito ecclesiologico sul ruolo dei vescovi nella Chiesa, la Chiesa dei poveri, la guerra e la pace).
L'acquisizione di ruoli conciliari di riconosciuto rilievo - sia a capo dell'organismo che venne incaricato di condurre in porto la riforma liturgica postconciliare sia come membro del Collegio dei quattro cardinali che avrebbe presieduto dal 1963 i lavori in aula - coronò un'esperienza difficilmente sottovalutabile, non solo per l'allargamento di orizzonte che aveva favorito ma anche per l'andamento oscillatorio dell'immagine del L. che si andò evidenziando nel corso di quegli anni.
Il L. entrò infatti in concilio avendo contro gran parte dell'episcopato italiano (che non ne sostenne la candidatura a membro della commissione liturgica) ed essendo invece sostenuto da importanti settori dell'episcopato dell'Europa centrale; risultò inserito nella cerchia dei candidati alla successione di Giovanni XXIII nel conclave del 1963, figurando poi tra i "grandi elettori" di Paolo VI; rimase a lungo esponente della maggioranza conciliare di orientamento innovatore, per poi venirne sostanzialmente emarginato nella fase finale del Vaticano II, quando il dibattito sul rapporto tra la Chiesa e il mondo contemporaneo marcò una sempre più evidente differenza tra le posizioni innovative del L. e quelle, più moderate, di buona parte dei suoi precedenti alleati e dello stesso papa Montini.
L'esplicitarsi delle posizioni del L. durante il Vaticano II a fronte dei contenuti dei suoi precedenti governi episcopali ravennate e bolognese pone un interrogativo di fondo: "quando" e "perché" maturò quella evidente evoluzione? Dal punto di vista storiografico il problema è assai interessante, anche perché, di là dalla sua valenza biografica, attira l'attenzione su un elemento di indubbia centralità rispetto allo studio delle modifiche determinate in quella generazione di vescovi dalla partecipazione all'evento conciliare. Nel caso del L. una possibile risposta sembra riconducibile ad almeno due fattori: la fase di crisi/ripensamento che già si era palesata a inizio anni Sessanta e cui il concilio, con le proprie dinamiche e autorevolezza, impresse un indubbio orientamento di contenuti e nuovo slancio; il peso sempre più rilevante svolto accanto al L. da Dossetti. Non era una presenza inedita - l'intero episcopato del L. a Bologna ne era stato in fondo accompagnato -, tuttavia la collaborazione costante verificatasi durante i lavori del Vaticano II approfondì una consuetudine sempre sostenuta da grande stima ma, nel corso degli anni Cinquanta, senz'altro meno decisiva. Il postconcilio bolognese sarebbe stato segnato in profondità da quella collaborazione, ma non nell'immediato.
Almeno fino alla tarda estate 1966, infatti, tutto rimase in qualche modo sospeso, e anche un evento come l'accoglienza ufficiale che il sindaco comunista G. Dozza riservò al L. di ritorno dal concilio a dicembre 1965, pressoché sorprendente se si pensa al passato conflitto ideologico, non ebbe al momento una ricaduta proporzionata al suo reale significato simbolico. Ne era causa una recente normativa della S. Sede, secondo la quale i vescovi avrebbero dovuto concludere il proprio mandato di governo al compimento del settantacinquesimo anno di età. Per il L. quella scadenza anagrafica e istituzionale sarebbe intervenuta a ottobre 1966, e solo la decisione di Paolo VI di respingere le dimissioni e di confermarlo alla guida della diocesi aprì il vero e proprio postconcilio nella città, o - come allora si affermò - il "secondo esordio" dell'episcopato petroniano del Lercaro.
Tre fattori emersero nell'immediato come chiari segnali della nuova stagione che andava a inaugurarsi: in primo luogo l'ufficializzazione dell'incarico a una decina di gruppi di studio (composti da rappresentanti del clero e laicato locale) di proporre i contenuti di una futura riforma della diocesi alla luce delle indicazioni dei documenti conciliari; in secondo luogo la scelta di designare Dossetti come vero e proprio coordinatore dell'intera iniziativa, nominandolo tra l'altro provicario generale della diocesi in sostituzione transitoria dell'ausiliare L. Bettazzi nel frattempo trasferito a Ivrea (il L. avrebbe voluto Dossetti quale proprio ausiliare e vicario effettivo, ma Roma non aderì a questa soluzione); infine il nuovo clima nei rapporti tra Chiesa e amministrazione civica che si era venuto a instaurare negli ultimi mesi e che confluì in modo emblematico nella decisione della giunta monocolore comunista di conferire al L. la cittadinanza onoraria (26 nov. 1966). Se il progetto di riforma della diocesi risultava in linea con quella teologia della Chiesa locale che aveva costituito uno dei nodi dottrinali nevralgici del concilio appena concluso, l'inedito dialogo tra Chiesa e città nelle persone, e ancor più nei rispettivi ruoli, del L. e del nuovo sindaco comunista G. Fanti erano a ben vedere l'incontro tra una "profezia" religiosa e una "utopia" laica: capaci di far superare, magari per ragioni ideali mescolate a residui di opportunismo tattico, gli antichi steccati e la reciproca corposa diffidenza. Fu una scelta inaspettata, oltre che certamente coraggiosa, ma che non ebbe futuro.
Accanto ad altri terreni di collaborazione, tra i quali la valorizzazione della società civile attraverso un nuovo ruolo decisionale dei quartieri e le consultazioni intervenute in merito alla progettazione delle aree di sviluppo territoriale ed economico della città, fu soprattutto il tema della pace a offrire l'opportunità di un cammino comune.
A Bologna si era ormai da tempo sviluppato un acceso confronto in merito alla guerra in Vietnam: l'orientamento dell'amministrazione comunale e di vari settori popolari era chiaramente ostile all'escalation militare americana; sul fronte cattolico, invece, le posizioni risultavano divaricate tra coloro che osteggiavano la linea americana e altri - tra i quali la maggioranza dei politici democristiani locali - che invece si mantenevano su una linea di equidistanza tra i contendenti, seguendo in questo la Democrazia cristiana (DC) nazionale e lo stesso pontefice.
Fu proprio un messaggio di Paolo VI, mirato a istituire per il 1° genn. 1968 la Giornata mondiale per la pace a far precipitare la situazione bolognese. Tra le varie iniziative previste in diocesi per dare eco alla proposta del papa il L. e Dossetti programmarono infatti anche un'omelia da tenersi in cattedrale in occasione appunto della Giornata. La decisione, della quale in via riservata venne informato il sindaco, era di pronunciare nella circostanza una chiara condanna dei bombardamenti americani sul Vietnam del Nord. Nonostante qualche indecisione della vigilia, legata alla preoccupazione che si potesse interpretare il tutto in chiave politica, l'impegno venne infine rispettato dal L.; poche settimane dopo un emissario della S. Sede lo informò che il suo episcopato era finito. Il nesso tra le due circostanze, per quanto mai documentato in modo risolutivo, parve al L. evidente e comunque contribuì a consegnare alla memoria collettiva il ricordo del sacrificio forse consapevole di un moderno "profeta". Ritiratosi alle porte della città l'antico "combattente-costruttore" sopravvisse ancora otto anni alla decisione della S. Sede di interrompere il suo governo episcopale.
Il L. morì a Bologna il 18 ott. 1976.
Tra i principali scritti del L. si ricordano: La lettera cattolica di s. Giacomo. Commento omiletico, Brescia 1931; Metodi di orazione mentale, Genova 1948; Mons. G. Moglia, ibid. 1953; Il giorno del sole. Catechesi liturgica sulla s. messa, ibid. s.d. [ma 1956]; I giorni dell'amarezza. Commento storico-liturgico e note pastorali al nuovo ordine della settimana santa, ibid. s.d. [ma 1956]; Generazione che sale, Brescia 1959; L'eucaristia nelle nostre mani. Liturgia e catechesi, Bologna 1968. Edizioni di scritti offerte al L. o apparse postume: Discorsi del card. Giacomo Lercaro, I-II, Roma 1964; Lettere dal concilio 1962-1965, a cura di G. Battelli, Bologna 1980; Per la forza dello Spirito. Discorsi conciliari del card. Giacomo Lercaro, a cura dell'Istituto per le scienze religiose, ibid. 1984; Discorsi sulla pace, Reggio Emilia 1991; "Vi ho chiamato figli". Foglietti di meditazione (1958-1973), Cinisello Balsamo 2001.
Fonti e Bibl.: Gli archivi ecclesiastici della diocesi di formazione (Genova) e poi di quelle in cui il L. svolse il ministero sacerdotale ed episcopale (Genova, Ravenna e Bologna), accanto ai vari fondi dell'Archivio segreto Vaticano, al momento attuale non sono ancora consultabili; sono quindi particolarmente preziose le carte del L. conservate in due istituzioni private di Bologna: la Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII - Istituto per le scienze religiose (che ha tra l'altro pubblicato il catalogo di tale materiale: La documentazione bolognese per la storia del Concilio Vaticano II. Inventario dei fondi Giovanni Lercaro e G. Dossetti, a cura di L. Lazzaretti, Bologna 1995; N. Buonasorte, Archivio Giacomo Lercaro, prospetto generale e Guida dell'Archivio, in Araldo del Vangelo. Studi sull'episcopato e sull'archivio di G. L. a Bologna [1952-1968], a cura di N. Buonasorte, Bologna 2004, pp. 57-100) e la Fondazione cardinale G. Lercaro. Ulteriori materiali del L. o relativi alla sua attività in: Rivista diocesana. Ufficiale per gli atti ecclesiastici delle diocesi di Ravenna e Cervia (1947-52); Bollettino della diocesi di Bologna (1952-62); Bollettino dell'archidiocesi di Bologna (1963-68); Piccolo sinodo diocesano. Norme e direttive de re liturgica et pastorali…, Bologna 1961; Piccolo sinodo diocesano 1962. Norme e direttive per l'azione pastorale nei confronti del comunismo…, ibid. 1963; la raccolta del quotidiano cattolico bolognese L'Avvenire d'Italia (1952-68). L'elenco delle lettere pastorali, con relativo regesto, in Lettere pastorali dei vescovi dell'Emilia-Romagna, a cura di D. Menozzi, Genova 1986.
Gli studi sul L. sono ormai avviati da tempo. Tra le raccolte: G. L. vescovo della Chiesa di Dio (1891-1976), a cura di A. Alberigo, Genova 1991; L'eredità pastorale di G. L.: studi e testimonianze, Bologna 1992; Araldo del Vangelo…, cit. A integrazione dei contributi inseriti in tali miscellanee o apparsi come introduzione alle edizioni di fonti già ricordate si vedano: G. Alberigo, L., G., in Diz. storico del movimento cattolico in Italia, II, Casale Monferrato 1982, pp. 305-311; G. Battelli, Vescovi, diocesi e città a Bologna dal 1939 al 1958, in Le chiese di Pio XII, a cura di A. Riccardi, Roma-Bari 1986, pp. 257-282; Id., Tra Chiesa locale e Chiesa universale. Le scelte pastorali e le linee di governo dell'arcivescovo di Bologna G. L. (1952-1968), in Chiese italiane e concilio. Esperienze pastorali nella Chiesa italiana tra Pio XII e Paolo VI, a cura di G. Alberigo, Genova 1988, pp. 151-185; G. Dossetti, Memoria di G. L., ibid., pp. 281-312; N. Buonasorte, G. L.: contributo alla conoscenza del periodo genovese (1891-1947), in Cristianesimo nella storia, XX (1999), pp. 91-145; G. Battelli, La dimensione internazionale dell'episcopato bolognese di G. L., in La Chiesa di Bologna e la cultura europea, Bologna 2002, pp. 255-299; Id., I vescovi italiani e la dialettica pace-guerra. G. L. (1947-1968), in Studi storici, XLV (2004), pp. 367-417. In assenza, a tutt'oggi, di contributi storiografici dedicati alla rimozione del L. si veda L. Bedeschi, Il cardinale destituito. Documenti sul "caso" L., Torino 1968.