GIACOMO II di Catalogna-Aragona, I di Sicilia, detto il Giusto
Secondogenito di Pietro il Grande, gli successe in Sicilia (1285) e, alla morte del fratello conte-re, Alfonso il Liberale (1291), diveniva a sua volta sovrano negli stati iberici. Contro la volontà di Alfonso non trasferì la corona siciliana al fratello Federico, che venne nominato suo luogotenente nell'isola. Seguirono nuovi dissensi col papato e gli Angioini, fino a che, col trattato di Anagni (1295), si stipulò la rinunzia di G. alla Sicilia in favore della casa d'Angiò, e il suo matrimonio con Bianca figlia di Carlo II. I Siciliani non accettarono e proclamarono loro re l'infante Federico (1296). G. allora, spinto dal papa che gli assegnò la signoria della Corsica e della Sardegna, mosse guerra al fratello, sostenitore indefesso della causa siciliana. A Capo Orlando, la squadra siciliana fu sconfitta dalla catalana, comandata da Ruggero di Lauria (1299); ma la lotta non terminò se non con la pace di Caltabellotta (1302), per la quale l'isola rimase per Federico, finché vivesse, col titolo di re di Trinacria. G. intervenne ancora nei contrasti tra Federico e gli Angioini, nei quali si mescolavano gl'interessi di altri stati, e svolse opera di paciere.
Riconfermatagli da Clemente V l'investitura della Corsica e della Sardegna, G. fu spinto alla conquista di essa, dalle città toscane guelfe, nemiche di Pisa ghibellina, dominatrice - insieme coi Genovesi - della Sardegna e rivale nel commercio. Dal canto suo, Pisa, per scongiurare il pericolo di una guerra e della perdita dell'isola, manteneva trattative con lo stesso G. e gli offriva la signoria della città. Ma G., formatosi un partito in Sardegna, con l'aiuto del giudice d'Arborea, e ottenuta la neutralità momentanea di Genova, inviò il primogenito Alfonso alla conquista (1323), obbligando Pisa a rinunziare ai suoi diritti.
Oltre ai rapporti con l'Italia, e a quelli politici e familiari, con la Francia e l'Impero, la storia di re G. ricorda l'intervento negli affari interni di Castiglia e la lotta contro il reame di Granata. Alleato con Castiglia e Portogallo, cooperò con la sua squadra alla presa di Gibilterra, mentre un esercito catalano-aragonese assediò Almeria (1309), pur senza riuscire nell'impresa. Le divisioni tra la nobiltà spagnola e lo scarso interessamento della curia di Avignone, frustrarono i suoi progetti di riconquista totale della Spagna musulmana e l'egemonia su tutta la penisola, nonché sulla regione d'Africa prospiciente. Ebbe tuttavia grande prestigio in mezzo al mondo islamico e fra gli stati e popoli che si specchiavano nel Mediterraneo (v. catalogna). Morì a Barcellona il 2 novembre 1327.
Mantenne rapporti col sultano d'Egitto, col re di Cipro, coi sovrani d'Armema, coi Mongoli, in vista di commerci da sviluppare e di crociate da condurre in Terra Santa. Fu politico perspicace e fine, anche se più di un'intrapresa sua fallì. Sua dote principale fu l'abilità diplomatica. Di lui possediamo una ricchissima corrispondenza nella quale è palese il suo personale intervento. Letterato egli stesso, protesse le arti e le lettere: e intorno a lui troviamo figure come Raimondo Lullo e Arnaldo di Villanova, che ebbero parte nell'educazione dei reali infanti.
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