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GROSSO, Giacomo

di Tiziana Musi - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)
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GROSSO, Giacomo

Tiziana Musi

Nacque a Cambiano, presso Torino, il 25 maggio 1860 da Guglielmo e Giovanna Vidotti, nono di undici figli. Le difficili condizioni economiche (il padre era falegname) condussero il G., all'età di dieci anni, a entrare in seminario a Giaveno, come unica possibilità per continuare gli studi.

Nel 1873, grazie all'intervento del pittore A. Gastaldi che gli consentì di ottenere una borsa di studio dal Comune di Cambiano, s'iscrisse all'Accademia Albertina di Torino. Il G. cercò d'integrare lo scarso finanziamento comunale dapprima "ripassando le insegne dei negozi" (Marini, p. 125) e, dal 1879, quando ebbe termine la borsa, dipingendo ritratti che egli stesso ingrandiva da fotografie. Al disegno affiancò lo studio del colore che poté arricchire osservando artisti come F.P. Michetti e G. De Nittis all'Esposizione nazionale di Torino del 1880. Nel 1881 ottenne il primo riconoscimento ufficiale vincendo il concorso nazionale per il miglior saggio di nudo dell'Accademia di belle arti con l'opera Abele colpito a morte (Torino, collezione privata: Marini, p. 31). Nel 1882 alla XXIV Esposizione della Società d'incoraggiamento alle belle arti fece il suo esordio in una mostra pubblica con un ritratto a mezzo busto Amusant (ubicazione ignota: Marini, p. 127). Nel 1883 terminò gli studi vincendo il primo premio con La Maddalena ai piedi di Gesù crocefisso (ubicazione ignota: Marini, p. 128) e poco dopo, su invito del conte Marcello Panissera di Veglio che aveva potuto vedere il Ritratto di B. d'Ardy (1883: Torino, collezione privata), partì per Roma. Il soggiorno nella capitale durò solo due mesi, ma permise all'artista di ritrarre molti personaggi dell'entourage sabaudo quali Il marchese di Villamarina, Il conte Giannotti, La marchesa Ghigi (tutti di ubicazione ignota) e di conoscere i primi veri successi di pubblico. Motivo del rientro a Torino fu la partecipazione, nel 1884, all'Esposizione nazionale dove il G. presentò otto dipinti tra i quali La cella delle pazze (Torino, Galleria civica d'arte moderna), che traeva spunto dalla Storia di una capinera di G. Verga.

Di grandi dimensioni, l'opera riscosse un notevole successo (fu acquistata dall'allora sindaco di Torino E. Balbo Bertone di Sambuy) e suscitò vivo scalpore per la scelta e la resa pittorica del soggetto, improntato sulla violenta contrapposizione luministica dei bianchi e dei neri.

Nel 1885 sposò Carolina Bertana dalla quale ebbe due figli, Cristina (nel 1886) e Guglielmo (nel 1889). L'anno seguente, dopo aver visitato Venezia e Firenze, su consiglio di Gastaldi si recò a Parigi, città che divenne poi una tappa obbligata nei suoi viaggi successivi nell'Europa del Nord (a Londra, a Bruxelles e in Olanda). Questo primo soggiorno parigino portò il pittore a diretto contatto con la pittura impressionista e con le opere di artisti quali J. Bastien-Lepage, L. Alma-Tadema e G. De Nittis, del quale studiò in particolare l'uso del pastello.

Dal 1887 partecipò a quasi tutte le esposizioni della Promotrice di belle arti. Nel 1889 divenne titolare della cattedra di disegno di figura all'Accademia Albertina e dipinse una delle sue opere più famose, il Ritratto all'aperto della signora C. R. (Carla Redizzi: Roma, Galleria nazionale d'arte moderna).

Risalgono a questi anni opere legate a temi familiari quali Mio padre (1887: Torino, Galleria civica d'arte moderna), Due ritratti riuniti (1891: collezione privata), pastello raffigurante la moglie e la figlia, e Cortesia claustrale (1891, ubicazione ignota: Marini, p. 137) acquistata da A.B. Nobel. È forse proprio in questa produzione meno ufficiale, legata a un ambiente più domestico, che il G. ottiene i migliori esiti pittorici mostrando la sua capacità di comunicare attraverso il colore raffinate suggestioni psicologiche.

All'attività di pittore ritrattista il G. affiancò anche quella di decoratore: nel 1892 iniziò la decorazione dell'interno della palazzina Marsaglia a Milano (andata distrutta). Invitato alla Triennale di Brera del 1894 ebbe un notevole successo con l'elegante Ritratto in grigio (collezione privata), acquistato dalla regina, giocato ancora una volta sulla raffinata modulazione monocromatica dei toni del grigio.

Nonostante il G. fosse ormai pittore affermato e ricercato dalla buona società torinese, la critica più aggiornata cominciò in questi anni a mostrare perplessità accusandolo di eseguire una pittura facile, che indulgeva troppo al gusto mediocre della propria clientela. Momento cruciale della sua attività artistica fu la partecipazione nel 1895 alla I Esposizione internazionale d'arte della città di Venezia, dove il dipinto Il supremo convegno (Marini, p. 141), raffigurante "un macabro corteggio di nude amanti attorno al cataletto di un morto Don Giovanni fra i ceri" (Bernardi, 1946), vinse il primo premio del pubblico, ma sollevò anche critiche accese nei confronti di un'opera caratterizzata da un "virtuosismo vuoto di sentimenti, privo affatto di sincerità" e mancante della "conseguenzialità di colorito tra l'interno in penombra e i corpi dipinti" (G. Martinelli, 1895, in Marini).

L'opera suscitò un tale scandalo da richiedere, su invito dell'allora patriarca di Venezia, Giuseppe Sarto, futuro papa Pio X, l'istituzione di un'apposita commissione presieduta da A. Fogazzaro per giudicare la moralità del soggetto. Il dipinto dopo essere stato acquistato dalla Società Venice Art & Co. bruciò durante il viaggio in America dove era stato previsto un tour espositivo.

Altro motivo di scandalo fu la presentazione alla I Triennale di Torino nel 1896 della Nuda (Torino, Galleria civica d'arte moderna), di cui il G. eseguì più repliche, accolta con straordinario successo dal pubblico e grande diffidenza dalla critica che vi riscontrava dubbie motivazioni letterarie volte a giustificare la rappresentazione di un nudo femminile disteso su una pelle d'orso. Se la critica continuò ad avanzare perplessità sugli esiti pittorici del G., egli continuò a ottenere importanti riconoscimenti che consolidarono la sua fama di artista alla moda, forse pittore pompier, ma elegante testimone del suo tempo. Si ricordano la medaglia d'oro all'Esposizione di Parigi del 1896 per il Ritratto della signora Erminia Sacco Oytana e la medaglia d'oro all'Esposizione internazionale di Monaco del 1899 per Il Ritratto di Virginia Reiter (entrambi i dipinti sono conservati a Torino nella Galleria civica d'arte moderna).

Dal 1898 il G. fece parte della commissione delle Belle Arti. Nel 1902 partecipò alla I Quadriennale torinese con una personale che ne decretò definitivamente il successo: accanto a opere di piccolo formato, eseguite enplein air, si ricorda uno dei pochi quadri a carattere religioso, La Sacra Famiglia (ubicazione ignota, Marini, p. 149), medaglia d'oro al Salon di Parigi del 1903.

Sul medesimo tema era incentrata una serie di studi preparatori realizzati dal G. nel 1897 in occasione di un concorso bandito su scala nazionale dal pontefice per l'ideazione di un dipinto che riassumesse quattro concetti fondamentali: famiglia, lavoro, obbedienza, esempio (Corradini); già un anno prima l'artista si era cimentato con un tema religioso affrescando per la chiesa torinese di S. Gioacchino la quarta stazione della Via Crucis, distrutto nel 1898.

Dopo un viaggio in America meridionale nel 1901, il G. iniziò una proficua collaborazione con l'Argentina dove si sarebbe recato più volte nel corso degli anni realizzando una serie di ritratti della ricca borghesia locale (aiutato dal suo ex allievo C. Gaudina e dal giovane N. Arduino). Nel 1907 partecipò alla I Esposizione di arte italiana in America Latina organizzata a Buenos Aires da F. Stefani; e nel 1910 su incarico del governo argentino realizzò un grande panorama celebrativo della Battaglia di Maipù per il quale utilizzò 150 metri quadrati di tela.

Nel 1903 fu membro della commissione ordinatrice della V Esposizione internazionale d'arte della città di Venezia con l'incarico di allestire la sala della pittura piemontese. In questo stesso anno eseguì il ritratto della coppia reale (ubicazione ignota) da regalare al presidente della Repubblica francese E. Loubet. Nel 1904 fu insignito della Legion d'onore.

Nel 1905 il G. portò a termine una serie di interventi decorativi ad affresco sul soffitto della sala del teatro Regio di Torino con cinque composizioni allegoriche (Sinfonia, Canto, Danza, Musicatragico-lirica e Musicacomica) andate distrutte nell'incendio del 1936. Tra gli incarichi ufficiali si deve ricordare anche il Ritratto di Benedetto XV (1918: Pinacoteca vaticana).

Nel 1906 E. De Amicis pubblicò la biografia dell'artista dal titolo Gli anni della fame di un pittore celebre nella rivista La Blouse ("Rivista sociale") di Firenze. In questo stesso anno il G. diventò titolare della cattedra di pittura all'Albertina di Torino; e dieci anni dopo, consigliere nella direzione della Società promotrice di belle arti. Nel 1912 la X Biennale di Venezia confermò il successo ormai consolidato della scuola torinese con le personali di V. Avondo, C. Maggi, F. Carena, P. Canonica e dello stesso G. che espose trentacinque dipinti presentati da E. Ferrettini.

Si trattava di una sorta di celebrazione della sua ormai trentennale attività, ancora una volta non condivisa pienamente dalla critica: per esempio, da U. Ojetti, che lo definì "maestro del pennello che vuol poi diluire la sua pittura in tele inutili e magniloquenti di pura e superficiale vanità".

Allo scoppio della prima guerra mondiale il G., affiliato alla massoneria di rito scozzese, come molti artisti del suo tempo, filomonarchico, assunse una posizione neutrale in contrasto con l'interventismo. Nel 1915 partecipò all'Esposizione internazionale di San Francisco con un Ritratto (ubicazione ignota). Durante la guerra, il G. partecipò soltanto nel 1918 a una mostra allestita presso la Società promotrice di Torino con due opere: Mio figlio (1917: collezione privata) e il Ritratto della signora Clotilde Gallo (1918, ubicazione ignota: Marini, p. 165), amante dell'artista, e primo di una lunga serie.

Nel 1920 fu nominato grand'ufficiale della Corona d'Italia e nel 1929 senatore del Regno. In questi anni si susseguirono due personali di un certo rilievo: nel 1922 presso la Quadriennale di Torino e nel 1926 alla galleria Pesaro di Milano con cinquantaquattro opere presentate da L. Bistolfi.

Dopo la fine della guerra, la posizione del G. diventò sempre più estranea alle ricerche condotte dai suoi ex allievi; e significativo è il giudizio di G.L. Marini: "la Belle Époque è irrimediabilmente conclusa e Grosso è guardato come lo splendido monumento ad esso sopravvissuto". In lui si vedeva infatti il simbolo di un'arte tradizionale, ostacolo alla comprensione dei nuovi pittori che facevano quadrato attorno a F. Casorati. Gli unici critici che lo difesero furono E. Zanzi (1938) e M. Bernardi (1936) che in particolare ne apprezzava la "pittura-pittura", la sua ostinata ricerca del bello (documentazione presso l'Archivio storico della Galleria nazionale d'arte moderna di Roma).

Nel 1931 fu invitato alla I Quadriennale nazionale di Roma dove presentò Paesaggio, La Madonna delle rose (ubicazione ignota) e Funghi (1924: collezione privata), opera, quest'ultima che rivelava una nuova attenzione per la natura morta. Nel 1934 partecipò alla mostra parigina dedicata a "L'art italien des XIXe et XXe siècles", con la già citata opera Mio padre del 1887.

Nel 1936 fu organizzata una personale dell'artista al salone "La Stampa" di Torino che riscosse un grande successo di pubblico: in quindici giorni fu visitata da oltre 120.000 persone.

Il G. morì a Torino il 14 genn. 1938.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. stor. della Galleria nazionale d'arte moderna, Fondo Giacomo Grosso; A. Stella, Pittura e scultura in Piemonte 1842-1891, Torino 1893, ad nomen; U. Ojetti, La Decima Esposizione d'arte a Venezia, Bergamo 1912, pp. 22, 27; C. Corradini, G. G. pittore, Torino 1914; G. Nicodemi, Artisti ed opere alla Quadriennale torinese, in Emporium, LVIII (1923), p. 220; M. Bernardi, Ottocento piemontese. Scritti d'arte, Torino 1946, pp. 207-219; G. G. Il pittore a Torino fra Ottocento e Novecento (catal., Torino), a cura di G.L. Marini, Milano 1990 (con bibl.); M. Perosino, G. G., in La pittura in Italia. L'Ottocento, II, Milano 1991, p. 861; M.M. Lamberti, La pittura in Piemonte, in La pittura in Italia. Il Novecento/1, I, Milano 1992, pp. 53-57; Galleria civica d'arte moderna e contemporanea [Torino]. Il Novecento: catalogo delle opere esposte, a cura di R. Maggio Serra, Milano 1993, pp. 636 s.; G. Di Genova, Storia dell'arte italiana del '900. Generazione maestri storici, I, Bologna 1995, ad indicem; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XV, pp. 106-108.

Vedi anche
Delleani, Lorenzo Pittore italiano (Pollone 1840 - Torino 1908). Allievo di C. Arienti e A. Gastaldi all'Accademia Albertina di Torino, cominciò col dipingere quadri storici e di genere. Soltanto nel 1880 si dedicò al paesaggio, annotando con facile prontezza impressioni dal vero. Su questo mutamento influì non poco l'esempio ... Tallóne, Cesare Tallóne, Cesare. - Pittore (Savona 1853 - Milano 1919). Studiò all'accademia di Brera e fu a Roma (1883-85) allievo e collaboratore di A. Mancini. Dipinse, con grande abilità tecnica, paesaggi, nature morte e intensi ritratti che gli diedero notorietà (Ritratto di Guido Rey, 1887, Torino, Galleria civica ... Segantini, Giovanni Pittore (n. Arco 1858 - m. sullo Schafberg, Engadina, 1899). Con tecnica divisionista realizzò ampie composizioni di soggetto naturalista, caratterizzate da sfuggenti tagli prospettici e da pennellate a fibre lunghe di una luminosità cristallina. Negli ultimi anni di attività prolungati contatti con ... Balla, Giacomo Pittore italiano (Torino 1871 - Roma 1958). Si formò a Torino e a Roma, dove si trasferì nel 1893, in un ambito culturale partecipe del socialismo umanitario e del positivismo scientifico, affrontando tematiche come il paesaggio urbano e le condizioni umane (ciclo Dei viventi, 1902-1905), in un linguaggio ...
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  • GROSSO, Giacomo
    Enciclopedia Italiana (1933)
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Vocabolario
giàcomo
giacomo giàcomo s. m. [voce fonosimbolica, raccostata al nome pr. Giacomo]. – Nella locuz. pop. fare giacomo giacomo, detto delle gambe che tremano, si piegano per paura, per debolezza, ecc.: ho le gambe che mi fanno giacomo giacomo.
grosso modo
grosso modo locuz. avv., lat. («in modo grossolano»). – Su per giù, approssimativamente, all’incirca: si può dire, g. m., che la questione sta così; ha, g. m., la forma di un cilindro.
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