GAIVANO (Gayvanus), Giacomo (Iacopo da Gayvano, Iacopo d'Adriano)
Di origine cremonese, nacque intorno al secondo decennio del sec. XV. Non si hanno notizie sulla sua famiglia né sui suoi primi anni di vita; la stessa provenienza da Cremona, accolta dagli editori della Vita Francisci Sfortiae di P.C. Decembrio, gli è stata attribuita dal solo Cavitelli.
Non è noto inoltre dove sia avvenuta la formazione del G., il quale compare una prima volta nel 1439 come luogotenente del condottiero Niccolò Piccinino (al soldo di Filippo Maria Visconti) che combatteva nel Veneto contro le armate della lega antiviscontea guidate da Francesco Sforza e da Erasmo da Narni detto il Gattamelata, stipendiate da Venezia. Il G. è ricordato in particolare nel corso della battaglia di Tenno (19-20 novembre) dove le armate del Piccinino vennero duramente sconfitte: in quell'occasione il G., pur essendo caduto nell'Adige per il cedimento di un ponte, riuscì a salvarsi con il suo cavallo.
Sempre al seguito del Piccinino, il G. fu inviato all'inizio del 1440 nell'Italia centrale, allo scopo di alleggerire, aprendo un altro fronte di guerra, la pressione militare della lega antiviscontea sul duca di Milano. Il 29 giugno, nonostante l'ordine contrario di Filippo Maria, Niccolò Piccinino tentò, nei pressi di Anghiari, un colpo a sorpresa contro l'esercito raccolto dal papa e da Firenze e guidato da Micheletto Attendolo, zio di Francesco Sforza. Nonostante la superiorità numerica, le armate del Piccinino vennero duramente sconfitte: in una relazione redatta il 30 giugno 1440 dai fiorentini Neri Capponi e Bernardo de' Medici, commissari in campo, compare, fra i nominativi dei soldati catturati dai Fiorentini, un certo "Jacopo da Ghaviano" (Masetti Bencini, p. 121) nel quale va ravvisato con tutta probabilità il G., il quale è anche ricordato in un poemetto anonimo intitolato La fuga del capitano (Fabretti, p. 250), relativo alla sconfitta di Anghiari, con il nome di "Jacopo d'Adriano"
Non si conosce la durata della sua detenzione che fu probabilmente breve visto che, circa un anno dopo (giugno-luglio 1441), il Piccinino gli affidò - nel corso degli scontri che videro fronteggiarsi le armate ducali e quelle della lega antiviscontea - la difesa di Martinengo, nel Bergamasco, dalla quale il G. allontanò con la forza quanti osteggiavano il Visconti. Le ostilità fra i contendenti ebbero temporaneamente fine con la sigla del cosiddetto trattato di Cavriana, dal nome della località dove vennero discussi gli accordi, pubblicato il 10 dic. 1441.
Il quadro politico italiano era destinato a modificarsi da lì a poco tempo con la creazione, l'anno successivo, di una nuova alleanza antisforzesca voluta dal re di Napoli Alfonso d'Aragona, da papa Eugenio IV e dallo stesso Visconti, tutti timorosi dell'eccessivo potere assunto nella penisola da Francesco Sforza. Il Piccinino, nominato il 6 giugno 1442 capitano generale della Chiesa, con il suo numeroso esercito nelle cui fila militava anche il G., entrò in Umbria, dove, unite le sue compagnie a quelle pontificie guidate dal cardinale Ludovico Scarampi Mezzarota, conquistò Todi (14 giugno 1442). Il 18 dello stesso mese le milizie antisforzesche erano già nelle Marche e si accingevano ad assediare Belforte del Chienti. L'assedio, diretto dal G. e da Cristoforo Mauruzi da Tolentino, fu lungo e difficile e il G., come ricorda una fonte letteraria, fu gravemente ferito a un occhio: "… quivi fur piaghe assai aspre e diverse\ quivi molti sospir\ quivi con pena Jacopo Gaivano un occhio perse" (Benadduci, p. 208); alla fine la guarnigione di Belforte, privata dell'acqua e dei rifornimenti, fu costretta ad arrendersi il 6 luglio.
L'anno successivo il G. dopo aver preso parte alla battaglia di Monteloro, vicino a Pesaro, fu mandato a Recanati per distogliere Francesco Sforza dall'occupare la città; la sua presenza a Recanati si può desumere dai registri del locale Archivio comunale dai quali risulta che il 5 dic. 1443 il Consiglio deliberò che si provvedesse "de mansionibus et vittualiis" (Rosi, p. 154) per i capitani, tra i quali il G., che erano venuti in aiuto della città. Tra il 15 e il 20 dello stesso mese, insieme con il capitano visconteo Niccolò Terzi, il G. si distinse, ancora nelle Marche, nella difesa di Monsampietro dagli attacchi di Francesco Sforza. L'assedio, protrattosi per circa venti giorni, fu molto duro; lo Sforza cercò di fiaccare la resistenza dei difensori con un incessante fuoco di artiglieria e con continui assalti, ma il G. - riparando la notte i danni subiti durante il giorno dalle bombarde - riuscì a mantenere le posizioni finché, persa ogni speranza di conquista, lo Sforza tolse l'assedio ritirandosi negli acquartieramenti invernali.
Nei primi mesi del 1444 il G. si trovava ancora con le sue truppe a Monsampietro dove, con il pretesto di non essere soddisfatto dello stipendio convenuto, ordinò alle sue milizie di saccheggiare il paese. Gli abitanti si rivolsero allora al cardinal legato Domenico Capranica che, con editto dell'11 febbraio, intimò al G. di far cessare il saccheggio e di restituire alla popolazione ciò di cui era stata depredata.
Le sorti del conflitto subirono un inaspettato quanto brusco cambiamento nell'estate del 1444 quando il Piccinino - recatosi presso il duca a Milano, dove in seguito morì il 15 0ttobre - lasciò al figlio Francesco il comando delle operazioni militari nei territori marchigiani. La conquista di Castelfidardo da parte di Francesco Piccinnino, avvenuta poco tempo dopo, indusse il giovane uomo d'arme, mal consigliato dal G. e dagli altri capitani, a cercare un improbabile scontro risolutore con il grosso dell'esercito sforzesco. La battaglia avvenne il 16 agosto non lontano da Macerata, presso Monteolmo (oggi Pasula) e si concluse con una vera e propria disfatta per il Piccinino la cui cattura, insieme con quella del cardinale Capranica, rischiò di compromettere definitivamente le operazioni militari nelle Marche. Insieme con Domenico Malatesta e Roberto di Montelbaddo, il G. riuscì però a sfuggire ai nemici e a raggiungere in seguito Fabriano. Qui - stando al racconto di G. Simonetta - si accordò segretamente con il capitano sforzesco Ciarpellione e, catturato il soldato Colella accusato di aver consegnato per 400 ducati Francesco Piccinino allo Sforza, lo torturò fino alla morte per dividere il denaro della taglia con Ciarpellone.
Nel maggio del 1445 la riconferma della lega contro lo Sforza, alla quale aderì anche il signore di Rimini Sigismondo Malatesta, un tempo alleato di Francesco Sforza, diede un nuovo slancio alle attività belliche nelle Marche. Con la ripresa del conflitto le milizie al soldo del Visconti, comandate dal G., da Taliano Furlano e da Domenico Malatesta, furono mandate in aiuto di Sigismondo Malatesta, e mossero poi verso Cesena per entrare successivamente nelle Marche e concentrarsi verso Fano. Circa un mese dopo gli abitanti di Osimo, timorosi di un ritorno dello Sforza, decretarono in un pubblico consiglio di chiamare ai loro stipendi il G., che rispose prontamente inviando in quella città Michele da Pavia, suo connestabile, per definire i patti della condotta. Una volta giunto a Osimo il G. si accampò con le sue truppe fuori dalle mura cittadine, nei pressi della porta del Vaccaro, dove: "furongli provvedute cinquanta salme di grano et una bombarda grossa" (Paciaroni, p. 98); il 23 settembre richiese inoltre alle città 200 salme di grano e "duobus bombardellis de pulvere et lapidibus" (ibid., p. 99). Il mese successivo, dopo aver preso possesso di Roccacontrada, piazzaforte di notevole importanza strategica, il G. ritornò a Recanati e iniziò un sistematico attacco contro quei Comuni che, rimasti fedeli allo Sforza, si rifiutavano di tornare sotto il controllo della S. Sede. Proprio per riassoggettare definitivamente tutte le Comunità recalcitranti, nell'aprile del 1446, Eugenio IV diede mandato al cardinal Capranica - nominato legato pontificio per la Marca d'Ancona nel gennaio di quell'anno - di condurre agli stipendi della Chiesa "il magnifico, invitto e bellicosissimo Giacomo da Gaivano" (Benadduci, p. 364), sottraendolo al Visconti, e a questo scopo venne ordinato al tesoriere della Marca, Giusto di Valmontone, di imporre a tutti i Comuni il pagamento, in proporzioni diverse, di una tassa straordinaria per il soldo del capitano.
La prima impresa del G., agli ordini del cardinale Ludovico Scarampo, condottiero delle milizie pontificie e patriarca di Aquileia, fu l'assedio di Ancona, colpevole di aver stretto alleanza con Francesco Sforza (15 marzo 1446). Spintosi fino alle porte della città adriatica, il G. saccheggiò i castelli di Offagna, Monte Sicuro e Sappanico. Dopo una strenua resistenza gli Anconetani riuscirono però, nel mese di agosto, a stipulare con il pontefice un accordo che poneva fine alle ostilità, garantendo loro i propri privilegi in seno allo Stato della Chiesa. Nei mesi successivi la fortuna del G. declinò rapidamente: voci insistenti (riportate anche dai dispacci dei funzionari del duca di Milano) lo davano in procinto di passare al nemico; pareva addirittura fosse disposto, istigato dai Fiorentini sostenitori di Francesco Sforza, a uccidere al momento opportuno il patriarca d'Aquileia e Sigismondo Malatesta. Alla fine queste notizie, vere o presunte che fossero, trovarono credito presso lo Scarampo, che l'11 ottobre lo fece catturare e tradurre a Roccacontrada (oggi Arcevia), ove pochi giorni dopo venne giustiziato mediante il taglio della testa (il giorno esatto della sua morte non è noto, anche se la data è fatta risalire tra la fine di ottobre e i primi di novembre del 1446).
Le fonti sono alquanto discordi in merito all'accusa di tradimento che condusse il G. alla pena capitale: riconosciuta fondata da Cristoforo da Soldo e dal Platina, essa viene messa in dubbio da G. Simonetta e B. Facio, e addirittura considerata da G. Broglio frutto di una abile macchinazione messa in atto da Francesco Sforza; concorde è però, sempre secondo le fonti, il giudizio sulle sue qualità, non comuni, di uomo d'arme.
Fonti e Bibl.: Cronaca riminese, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XV, Mediolani 1729, col. 953; P.C. Decembrius, Vita Francisci Sfortiae IV Mediolanensium ducis, a cura di A. Butti - F. Fossati - G. Petraglione, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XX, 1, pp. 781-784; B. Platyna, Liber de vita Christi ac omnium pontificum, a cura di G. Gaida, ibid., III, 1, p. 326; M. Ghirardacci, Della historia di Bologna, a cura di A. Sorbelli, ibid., XXXIII, 1, p. 119; Cristoforo da Soldo, Cronaca, a cura di G. Brizzolara, ibid., XXI, 3, pp. 105, 138, 146-149, 156 s., 164; G. Simonetta, Rerum gestarum Francisci Sfortiae Mediolanensium ducis commentarii, a cura di G. Soranzo, ibid., XXI, 2, ad ind.; B. Facio, De rebus gestis ab Alphonso primo Neapolitanorum rege…, in Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell'istoria generale del Regno di Napoli, IV, 2, Napoli 1769, p. 200; A. Fabretti, Note e documenti che servono ad illustrare le biografie dei capitani venturieri dell'Umbria, V, Montepulciano 1842, pp. 250, 270, 274; Nicolò della Tuccia, Cronache di Viterbo, a cura di I. Ciampi, in Documenti di storia italiana, V, Firenze 1872, pp. 198, 203, 205; L. Osio, Documenti diplomatici degli Archivi milanesi, III, Milano 1877, pp. 394 s., 425; I. Masetti Bencini, La battaglia di Anghiari, in Rivista delle biblioteche e degli archivi, XVIII (1907), p. 121; B. Corio, La storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, II, Torino 1978, p. 1185; G. Broglio Tartaglia da Lavello, Cronaca malatestiana del XV secolo, a cura di A. Luciani, Rimini 1982, pp. 109, 119, 132, 134-136, 139; L. Cavitelli, Annales, Cremonae 1588, c. 192v; G. Dalla Corte, Historia di Verona, II, Verona 1596, p. 357; L. Martorelli, Memorie historiche dell'antichissima e nobile città di Osimo, Venezia 1705, p. 282; E. Rubieri, Francesco Sforza, Firenze 1879, p. 319; G. Benadduci, Della signoria di Francesco Sforza nella Marca e peculiarmente in Tolentino, Tolentino 1892, pp. 204, 207 s., 330-339, 363-368 e passim; M. Rosi, Della signoria di Francesco Sforza nella Marca secondo le memorie storiche dell'Archivio recanatese, Recanati 1895, ad ind.; B. Bellotti, Vita di Bartolomeo Colleoni, Bergamo 1923, pp. 22, 122, 139, 147; M. Natalucci, Ancona attraverso i secoli, I, Città di Castello 1961, pp. 465-468; R. Paciaroni, La bombarda grossa di Niccolò Piccinino, in Atti e mem. della Dep. di storia patria per le Marche, LXXXVIII (1983), pp. 98 s.; C. Argegni, Condottieri capitani tribuni, I, pp. 441 s.; II, App., pp. 421 s.