FRANCO, Giacomo
Nacque a Verona, da Luigi ed Elisabetta Venini, l'11 febbr. 1818.
Di famiglia nobile, si dedicò da autodidatta agli studi di architettura (disegno e ornato), che gli valsero, all'età di ventitré anni, la nomina di professore all'Accademia di pittura e scultura di Verona (2 ag. 1841).
Negli anni successivi i contatti culturali esterni all'ambito veronese, gli incontri con C. Boito e con P. Selvatico e i viaggi a Parigi e Vienna contribuirono ad aggiornare la sua iniziale formazione accademico-classicistica.
Interessato all'arte contemporanea, fu il primo a Verona a creare una collezione privata con opere di J. Lange, C. Ferrari, E. Calvi, C. Piloty, I. Fraccaroli e dipinti di soggetto patriottico, come La meditazione di F. Hayez (esplicita adesione alle idee politiche liberali).
La sua prima opera architettonica fu la ristrutturazione della villa familiare, a San Floriano di Valpolicella, poi Lebrecht (1842-47 c.). Secondo C. Boito, il progetto iniziale era d'impostazione accademica e ancora dilettantesca, ma venne continuamente ripensato, fino a rivelare varietà di dettagli e richiami alla decorazione quattrocentesca dell'Italia settentrionale, che preannunciano la futura ispirazione eclettica.
Tra gli anni Quaranta e Cinquanta, il F. si dedicò, principalmente, alla riscoperta della Verona medievale e quattrocentesca, alternando elaborazioni grafiche e studi storici (Conforti, 1994, p. 442).
Nel 1855, il F. rinnovò il palazzo di famiglia a Verona, in cui è evidente l'impronta classicistica dell'architettura residenziale veronese di quegli anni, sulla scia delle opere degli architetti G. Barbieri e F. Ronzani, e dell'indirizzo stilistico imposto dalla Commissione all'ornato, pur mostrando accenti antiretorici nell'asciuttezza lessicale.
Nel 1856 gli venne affidato il disegno della facciata del macello nuovo, primo riconoscimento di specifiche competenze nel campo della composizione e dell'ornato architettonico.
La nuova facciata accentua il valore semantico della figurazione plastica e architettonica, sottolineandone la duplice funzione: pratica e politico-celebrativa. Su una fronte a tempio classico, tipica dell'orientamento aulico dell'architettura veronese di età asburgica, si innestano elementi dissonanti: tozze lesene, cariatidi di bovi al posto dei capitelli, e teste bovine sporgenti lungo il fregio, al posto dei triglifi.
La revisione stilistica di villa Trezza, detta la Musella, a San Martino Buonalbergo (1861-62), rappresenta l'apice del periodo eclettico. I preesistenti corpi architettonici vennero "rivestiti" di fantasiosi apparati parietali, desunti dai repertori formali del barocco, del moresco e del romanico, e dal gusto nordico dei castelli tardogotici.
Il successivo progetto per la sinagoga di Verona (1864, non realizzato) segna il distacco dall'eclettismo e l'inizio di una nuova fase progettuale, consapevole del proprio valore ideologico. Pur fra qualche concessione al gusto orientale, imposto dal tema, nel progetto si accrescono i rinvii al romanico e all'architettura quattrocentesca dell'Italia settentrionale. È il momento dell'adesione alle riflessioni di C. Boito sui significati civili e culturali dell'arte medievale. Da quel momento in poi, le opere del F. furono inseparabili dal dibattito architettonico sulla ricerca di uno stile nazionale. La svolta si compì con il palazzo Benassuti (1866, ora largamente trasformato) dove la ricchezza di frasario e la versatilità combinatoria del lessico neoromanico si contrapponevano all'uniformità stilistica della tradizione neoclassica.
Nella villa Gagliardi, a Bovolone (1867-68) il F. adottò lo schema compositivo delle ville venete del Cinquecento. Ma i particolari stilistici (finestre ad arco centinato, arcatelle del cornicione, policromia) sono citazioni medievaleggianti cui si accorda il circostante parco all'inglese, progettato dallo stesso Franco.
Nelle ville degli anni Settanta si accentua la componente nordico-romantica. Scenografiche ville a castello con torrette, merli, bifore, accentuano in senso pittoresco il paesaggio del lago di Garda, del quale, a loro volta, assorbono l'aura romantica. Emblematiche del diffondersi della moda dei castelli fintamente medievali (ma con impianti planimetrici dalle geometrie neorinascimentali) sono villa Cavazzocca-Mazzanti, detta la Pergolana, a Lazise; villa Carlotti a Garda (1875 c.), e il ripristino in forma di piccolo maniero della foresteria di villa Camuzzoni, già Gritti, a Villabella di Soave.
All'indomani dell'Unità, il F. fu impegnato in opere di restauro dei monumenti della Verona medievale. Diresse i restauri della basilica di S. Zeno (1869-71), della cappella Salerno in S. Anastasia (1869-81), del monumento sepolcrale Castelbarco e del palazzo del Podestà, o della Prefettura (1874); allestì, inoltre, la protomoteca nella loggia del Consiglio (1870).
Nei restauri compiuti il F. fece uso, oltreché di rimozioni di parti aggiunte e di integrazioni, anche di rifacimenti in stile, spesso in assenza di supporti storico-filologici. A tale mancanza, egli suppliva investendo la figura dell'architetto del ruolo di interprete e custode di quello che lui chiamava il "carattere" del monumento. Tale concezione presupponeva l'idea che fosse esistito, e che si potesse recuperare, uno stato di perfezione originario. Una prassi di restauro, dunque, che oscillava fra erudizione accademica, soggettivismo romantico e visione antistorica del concetto di stile.
Negli anni Settanta, più che nelle ville private ancorate a un Medioevo immaginario, nei progetti pubblici il F. approfondì l'adesione allo stile "lombardo" del Medioevo, propugnato da C. Boito come espressione dell'identità della nazione. Il duomo di Lonigo (1877-95) è una delle opere in questo senso più rappresentative.
Progettato in stile "lombardo", come dichiarava il F. nella relazione progettuale, esso condensa i caratteri tipici del nuovo stile: vivacità cromatica, ottenuta con l'uso alternato della pietra e del cotto, sobrietà negli ornati, razionalità e solidità costruttiva, equilibrio di pieni e vuoti; uno stile versatile, in grado di assimilare anche richiami gotici, come le ampie traforazioni della superficie muraria e le spinte ascensionali, evidenti soprattutto nel progetto originario.
Stilisticamente vicino è l'ossario di Custoza (1877-79), una costruzione a ottagono, con quattro protiri neoromanici, ma non priva di allusioni classicheggianti, come l'impianto centrico e l'obelisco, molto apprezzata da C. Boito (1897, p. 6).
Nella piccola cappella Gagliardi (1882-83), nel cimitero di Bovolone, le istanze spiritualiste, legate al tema funerario, conducono il percorso stilistico del F. verso un linguaggio ormai neogotico. Altra opera del F. fu il piedistallo per il monumento a Vittorio Emanuele II, in piazza Bra, a Verona (1881-83), il cui bugnato rustico riecheggia i monumenti della piazza, l'Arena, la Gran Guardia.
Il F. partecipò a numerosi concorsi pubblici: per il cimitero di Milano (1861), per la facciata di S. Maria del Fiore a Firenze (1867), per la passeggiata dell'Acquasola a Genova, per il municipio di Vienna; e negli anni Ottanta fu chiamato a far parte delle commissioni giudicatrici dei maggiori concorsi nazionali di architettura. Numerosi suoi progetti vennero pubblicati nella rivista Ricordi di architettura (1878-83).
Nel 1871, appoggiato da C. Boito, il F. vinse il concorso per la cattedra di architettura dell'Accademia di belle arti di Venezia, città nella quale risiedette e insegnò fino al 1892.
Morì a Venezia il 28 giugno 1895.
Fonti e Bibl.: Necr. in Arte e storia, XIV (1895), p. 104; G.B. Simeoni, Guida generale del lago di Garda, Verona 1878, p. 139; A. Melani, Lonigo, il duomo, in Arte e storia, IX (1890), p. 183; C. Boito, G. F. architetto, Milano 1897; A. Melani, G. F. architetto, in Arte e storia, XVII (1898), p. 10; L. Simeoni, Guida storico-artistica di Verona, Verona 1909, pp. 23, 27, 237, 271, 510; A. Da Lisca, La basilica di S. Zeno in Verona, Verona 1941, pp. 177 s.; R. Schiavo, Lonigo, Vicenza 1973, p. 84; C.A. Ruffo, in La villa nel Veronese, a cura di G.F. Viviani, Verona 1975, pp. 197, 210; G.F. Viviani, ibid., pp. 313, 327, 329, 413; P. Morachiello, in Ritratto di Verona, lineamenti di una storia urbanistica, a cura di L. Puppi, Verona 1978, p. 509; V. Montanari, Il centenario della torre-ossario di Custoza, in Vita veronese, XXXII (1979), pp. 233-235; R. De Fusco, L'architettura dell'Ottocento, Torino 1980, p. 121; A. Restucci, Città e architetture nell'Ottocento, in Storia dell'arte italiana (Einaudi), VI, 2, Torino 1982, p. 755; P. Brugnoli, G. F., architetto di razza, mecenate e "fuoriclasse" del restauro, in L'Arena, 15 ag. 1983; L. Rognini, Tarsie e intagli di fra Giovanni a S. Maria in Organo di Verona, Verona 1985, pp. 24 s.; S. Marinelli, in Ultime dimore, a cura di V. Pavan, Venezia 1987, p. 50; R. Scola Gagliardi, G. F. architetto dell'800, Cerea 1989; G. Mazzi, in Archeologia industriale nel Veneto, a cura di F. Mancuso, Milano 1990, pp. 177-179. Id., La Commissione d'ornato, in Case e palazzi di Verona asburgica…, a cura di M. Vecchiato, Verona 1991, p. 118; M. Vecchiato, ibid., pp. 209 s.; P. Brugnoli, in L'architettura a Verona dal periodo napoleonico all'età contemporanea, a cura di P. Brugnoli - A. Sandrini, Verona 1994, pp. 91, 94 s., 97-104; G. Conforti, ibid., pp. 441-446; A. Grimoldi, ibid., pp. 128 s., 137-141, 170, 186 n. 31; F. Venuto, ibid., pp. 321-324.