DURAZZO, Giacomo Filippo
Nacque a Genova il 4 nov. 1589, primogenito di Agostino e di Geronima Brignole di Antonio.
Tre dei cinque fratelli del D. (Francesco [I], Francesco [II] e Dionigi) morirono piccolissimi; sopravvissero solo Marcello (nato il 21 ott. 1593 e poi marito di Caterina Balbi) e Gerolamo che, nato il 5 ag. 1597, era stato battezzato Gian Domenico, ma fu poi chiamato col nome della madre, morta nel darlo alla luce.
La serie di lutti durante l'infanzia dovette incidere sul carattere del D., riservato, religiosissimo, pudico a livello quasi maniacale, schivo del Potere e delle pubbliche responsabilità: un carattere opposto a quello del padre.
Agostino infatti sembrava incarnare lo spirito intraprendente e imprenditoriale dei Durazzo, tutto teso a perseguire un disegno di grandezza che consentisse alla famiglia di inserirsi ai vertici dell'aristocrazia genovese, accentuando in tale direzione le indicazioni del padre Giacomo (primo doge Durazzo nel 1573) e del nonno Giovanni. In questo progetto di ascesa sociale il padre del D. aveva inscritto il matrimonio con una Brignole (e una Brignole sposerà anche il D.), l'acquisto della villa di S. Bartolomeo degli Armeni, sulla collina di Multedo (villa che fu acquistata l'anno stesso della nascita dei D. e che Agostino farà affrescare con scene celebrative del dogato di Giacomo) e l'acquisto della cappella dell'Assunta nella chiesa gesuitica di S. Ambrogio come sepolcro per il padre (e per la quale commissionò la pala d'altare a Guido Reni).
E il progetto di Agostino si compi nel 1624 col titolo marchionale, grazie all'acquisto del feudo monferrino di Gabiano dal duca Ferdinando Gonzaga, per insolvenza di un debito ingente.
Dal padre il D. ereditò il titolo per sé e per i discendenti, oltre agli "annexi" - cioè splendide suppellettili, quadri, statue, mobili, tappeti, argenti - con cui il padre aveva ornato la regale dimora costruita dall'architetto lombardo G. A. Falcone, e dato inizio alla politica familiare di investimenti antiquari, che il D. continuò, almeno per un certo periodo.
Durante la malattia che in quindici giorni lo avrebbe condotto a morte, l'8 ott. 1630, Agostino fu assistito dal D. con eccezionale sollecitudine: e il D. registra con commozione, nel diario di famiglia, quei giorni e le raccomandazioni paterne di mantenere "l'unione", rivolta a lui e ai fratelli la notte prima di morire. E in unione essi procedettero, sia nell'amministrazione dell'asse ereditario paterno, sia - rimasti solo il D. e Gerolamo - in quella dell'eredità di Marcello, che mori senza prole il 19 apr. 1632.
La separazione del ramo del D. da quello di Gerolamo avvenne con prudenza e gradualità, ma Gerolamo dovette forse approfittare della generosità del D. e, anche grazie agli intrecci matrimoniali con i Balbi, fu la sua discendenza a insediarsi nello splendido palazzo di strada Nuovissima. Forse era proprio quello che il padre del D. temeva, se è vero che, prima di morire - secondo l'autorevole testimonianza di Anton Giulio Brignole Sale, cognato del D., raccolta dal Camporo - , intendeva lasciare una "antiparte" al D., che non accettò "accioché i suoi fratelli non ne rimanessero mal soddisfatti".
Quest'uomo dunque, che i contemporanei confermano pietoso e schivo, nonostante la vivacità dell'ingegno e l'avvenenza dell'aspetto, scrupolosissimo negli adempimenti religiosi, era cosi ossessionato dal timore del peccato (il suo motto era "Crepare anzi che peccare") da apparirci ridicolo per la verecondia giovanile nei confronti di dame invaghite di lui e, peggio, per i condizionamenti che tale atteggiamento avrebbe comportato nella sua attività di collezionista d'arte. Tra l'altro infatti si narra che abbia rinunciato all'acquisto a Milano di un quadro di Leonardo che, per la sensualità del soggetto, gli "dié da temere sull'anima del Pittore", e che si sia disfatto di un quadro di Tiziano (rappresentante l'assalto di Tarquinio a Lucrezia) che aveva ereditato, per il turbamento che esso poteva provocare. Quanto al suo tenace rifiuto nei confronti di tutti gli incarichi pubblici, anche dei più prestigiosi, ad eccezione di quelli di pubblica assistenza, dovette agire senz'altro la componente del carattere, ma forse anche l'acuta consapevolezza della relativa "produttività" della stessa carriera politica, nella quale venivano distinguendosi altri rami della famiglia: specialmente quello dogale dello zio Pietro, del cugino Cesare (dogi rispettivamente nel 1619 e nel 1665) e della loro discendenza.
Del resto, l'attività assistenziale e la sua efficiente organizzazione nella Genova del Seicento era anch'essa un modo - meno esplicito, quasi più raffinato - di far politica, nel senso che, consentendo condizioni di sopravvivenza ai ceti più disagiati, l'assistenza pubblica ne sfruttava sottocosto la produttività, consentiva un controllo dei prezzi di mercato e attenuava la potenziale pericolosità dello scontento sociale.
Certo, fatta eccezione per una ambasceria di congratulazioni nel maggio-giugno 1630 a Madrid, per la nascita dell'infante Baltasar Carlos, tutta l'attività pubblica del D. si espresse nella assistenza, dal gratuito patrocinio ai poveri alle generose, continue offerte ad ospedali ed opere pie, fino alla progettazione con Emanuele Brignole dell'albergo dei poveri.
Il sodalizio coi Brignole si efa cementato all'epoca della fondazione del Conservatorio delle fanciulle di Virginia Bracelli. Il 3 luglio 1641 il governo genovese riconobbe giuridicamente la fondazione, che ospitava già 400 ragazze, e le attribui tre protettori: il D., Giovan Francesco Granello e Giovan Francesco Lomellini. Nel 1650, arrivato a 500 il numero delle ospiti, il D. e i colleghi chiesero e ottennero, come quarto protettore, Emanuele Brignole. La progettazione del grande albergo dei poveri risale probabilmente a quel periodo, anche se verrà ufficializzata con atto di donazione del 1661, quando il D. era già morto da quattro anni. Ma è significativo che nel 1667 il Brignole, a garanzia che l'albergo fosse terminato entro sei anni, abbia versato al magistrato dei Poveri la somma di 100.000 lire, che da sola copriva i 2/3 della spesa prevista: somma donata da "persona pia" che aveva voluto restare anonima. All'identificazione soccorre il testamento del Brignole, che vi cita come grandi benefattori e veri fondatori dell'opera, oltre ad Anton Giulio Brignole Sale, padre Luigi delle Scuole pie, Giovan Francesco Granello, il D. e il fratello di lui Gerolamo. L'anonimo donatore che rese possibile l'Albergo dei poveri va dunque cercato tra loro; o meglio: forse tutti concorsero variamente, o direttamente o attraverso disposizioni testamentarie, a formare quella "persona pia" (e il testamento del D. lo conferma).
Il D. morì il 23 giugno 1657. Aveva sposato il 2 marzo 1620 Maddalena Brignole Sale, figlia di Giovan Francesco e sorella del celebre Anton Giulio. Dal matrimonio erano nati nove figli, ma quattro gli premorirono: nel 1621 nacque Maria Geronima, monaca turchina; nel 1622 Giovan Agostino, premorto al D.; nel 1624 Giuseppe Maria (sposato a una Balbi, ma senza prole maschile, morto nel 1701); nel 1627 Vincenzo, gesuita; nel 1628 Ippolito, gesuita; nel 1630 Paolo Agostino, morto a pochi giorni; nel 1631 Agostino, morto a vent'anni; nel 1634 Marcello (sposato ad Anna Maria Pallavicini; lui e la sua vasta discendenza eredi, dopo la morte di Giuseppe Maria, del titolo di marchesi di Gabiano); nel 1635 Giovan Andrea, morto bambino.
L'iscrizione posta sotto alla statua del D. all'albergo dei poveri, in cui si legge "deficiente mascula stirpe", va intesa appunto nel senso che, inorto il primogenito maschio Giovan Agostino, il D. passò a Giuseppe Maria l'incarico di provvedere finanziariamente alla costruzione dell'albergo dei poveri (e Giuseppe ne assunse anche la direzione attorno al 1694).
Fonti e Bibl.: Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, Roma 1951, II, pp. 266-267, 284, 323; T. Campora, Vita del padre Ippolito Durazzo della Compagnia di Gesù, Genova 1690, pp. 149-165; G. A. Valdetaro, Mem. di alcune virtù del sig. Giuseppe M. Durazzo, Genova 1704, pp. 15, 16, 20; G. Banchero, Genova e le due Riviere, Genova 1846, pp. 8, 176; F. Donaver, Storia della Rep. di Genova, Genova 1913, II, p. 296; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Rep. di Genova, in Atti della Società ligure di storia patria, LXIII (1934), p. 176; D. Punculi, L'archivio dei Durazzo marchesi di Gabiano, ibid., n. s., XXI (1981), pp. 614, 620, 621; Id., Collezionismo e commercio di quadri…, in Rass. degli Archivi di Stato, XLIV (1984), pp. 169-70.
M. Cavanna Ciappina