FIESCHI, Giacomo
Figlio di Simone e di Ginevra Gentili, nacque nella prima metà del sec. XIV dal ramo di Savignone della potente famiglia ligure. Sappiamo che abbracciò la vita ecclesiastica, ma non conosciamo, per il silenzio delle fonti note, nulla della sua attività e della sua carriera anteriormente al 1382, quando - ignoriamo in quale mese e in quale giorno - divenne arcivescovo di Genova, succedendo a Lanfranco Sacchi, scomparso intorno al 1381. È certo ad ogni modo che, apertosi il grande scisma d'Occidente in seguito alla elezione e alla consacrazione dell'antipapa Clemente VII (1378), il F. si era mantenuto fedele a Roma e ad Urbano VI.
Secondo il Battilana, il F. ebbe solo quattro fratelli: Babilano, Galeotto, Daniele - che sposò una Maddalena Grimaldi -, Pietra. Le fonti pero ne ricordano altri due: Raimondo e Ludovico (cfr. Puncuh, Un soggiorno..., p. 96). Secondo il cronista Giorgio Stella, suo contemporaneo, il F., prima di diventare arcivescovo di Genova, sarebbe stato vescovo di Ventimiglia, ma mancano referenze a sostegno di questa affermazione. La circostanza che il F. appartenesse ad un ramo della famiglia Fieschi che non aveva mai svolto un ruolo di primo piano nella vita politica genovese può probabilmente spiegare sia il silenzio al suo riguardo osservato dalle fonti avanti il 1382, sia la sua assunzione alla cattedra genovese, avvenuta per altro in un periodo di relativa calma nei rapporti tra le autorità municipali e la sua casata.
Scoppiata, agli inizi del 1384, una furiosa pestilenza, il F. organizzò e guidò il 25 marzo una solenne processione per invocare la fine dell'epidemia. Tuttavia nel giugno, perdurando il contagio, preferì abbandonare la città, delegando a due suoi vicari l'amministrazione della sua diocesi. Fu per questo che non poté presiedere - come invece avrebbe dovuto - ai solenni funerali del doge L. Montaldo, morto il 14 di quello stesso mese. Solo agli inizi di novembre fece ritorno a Genova; il 15 di quel mese, infatti, nel suo palazzo presso S. Lorenzo ricevette le decime raccolte nella diocesi di Savona. In quel periodo era stato nominato da Urbano VI collettore delle decime per le province dela Liguria e della Lombardia, per un periodo di tre anni. Nell'aprile del 1385 fu incaricato da Urbano VI, assediato a Nocera dal re di Napoli Carlo III di Angiò Durazzo, allora fautore dell'antipapa Clemente VII, di adoperarsi, insieme con il cardinale Ludovico Fieschi e con Luchino Adorno, arcivescovo eletto di Nicosia, per ottenere che Antoniotto Adorno, doge di Genova, organizzasse una spedizione di soccorso. Nominato commissario pontificio, il F. accorse a Nocera per ricevere istruzioni dal papa (il 15 dic. 1386 egli restituì al massaro del clero genovese la somma che gli era stata concessa in prestito per quel viaggio) e, rientrato in Genova, avviò con l'Adorno trattative in vista dell'accordo, che fu firmato il 1º luglio 1385: il doge si impegnava ad armare una flotta di 10 galere, con le quali si sarebbe recato a liberare il papa, mentre questi prometteva, a titolo di nolo, la cospicua somma di 60.000 fiorini d'oro. Non potendo, per il momento, versare l'enorme cifra, Urbano VI cedette a Genova la terra di Corneto.
Il colpo di mano, affidato alla direzione di C. Fazio, che ebbe il comando della flotta di soccorso, raggiunse l'obiettivo. Il 7 luglio il papa poté uscire da Nocera e, dopo una breve sosta a Benevento, poté imbarcarsi sulle navi genovesi, che lo trasportarono nella città ligure, dove sbarcò il 28 settembre, accolto con i più grandi onori, e dove si trattenne per quindici mesi.
Non appena si fu insediato nella città, Urbano VI confermò al F. la carica di commissario pontificio e lo nominò ricevitore per la Camera apostolica, per riscuotere le tasse dai nuovi prelati; gli conferì anche il mandato di accettare le istanze per la prima tonsura ai chierici. Il F., che di fatto resse la Camera apostolica fino al 10 novembre, trasferì pertanto il suo ufficio presso la commenda di S. Giovanni di Pré, dove aveva dimora il papa, anche se mantenne come sua residenza ufficiale il palazzo presso S. Lorenzo. Il 26 settembre il F. aprì i lavori di un sinodo provinciale, in cui si doveva discutere sulle decime da imporre alle chiese della diocesi. Nei primi giorni di ottobre fu confermato collettore per la decima triennale nelle province ecclesiastiche di Genova e di Milano; egli provvide immediatamente a nominare subcollettori nelle varie diocesi e riuscì in sei mesi a raccogliere e a versare alla Camera apostolica la somma dovuta.
La fedeltà del F. al papa non venne meno neppure quando si andarono progressivamente deteriorando i rapporti tra Urbano VI ed il doge di Genova. Il 12 genn. 1387 il F., il quale il 1º aprile dell'anno precedente aveva provveduto a nominarsi un nuovo vicario nella persona di Emanuele Fieschi (poi vescovo di Fréjus), lasciò Genova al seguito del papa, e con lui si recò a Lucca. Nell'ottobre il F. era a Perugia. Nel novembre, sostituito nell'ufficio di collettore dall'arcivescovo di Ravenna C. G. Migliorati, risulta aver assunto il nuovo incarico di vicario generale in temporalibus del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia e nelle terre del comitato della Sabina. In tale veste il 6 genn. 1388 assolse gli uomini di Viterbo che avevano aderito all'antipapa. Anche se come vicario generale in Tuscia e in Sabina egli appare ricordato dalle fonti ancora nel settembre, il F. dovette certamente far ritorno a Genova sullo scorcio dell'anno.
Nel 1389, quando anche nella città ligure giunse il movimento dei bianchi, che aveva conosciuto un'enorme popolarità nell'Italia settentrionale e centrale, egli si mostrò estremamente aperto verso di esso. Nel luglio circa 5.000 penitenti entrarono in città; il giorno 7 il F., riunito il clero nella cattedrale, celebrò per essi una messa solenne. Tre giorni dopo partecipò - a cavallo, poiché le forze, data l'età, non gli permettevano di camminare - alla solenne processione, che, partita da S. Lorenzo, si diresse verso il monastero di S. Giovanni di Pavarano in Bisagno, e così fece di nuovo il 20 di quello stesso mese, quando la processione venne ripetuta.
Poche notizie abbiamo su di lui per gli anni successivi. Egli accolse alcuni frati agostiniani che, guidati da un Alfonso, vescovo di una sede a noi sconosciuta, erano fuggiti dalla Spagna, perché perseguitati, concedendo loro di poter fondare il monastero di S. Gerolamo, presso Quinto, passato poi agli olivetani.
Il F. non rimase estraneo ai turbinosi avvenimenti che travagliarono la vita di Genova in quel periodo e che ebbero come protagonisti alcuni membri della sua stessa famiglia. Nel 1394, ad esempio, fornì ospitalità e protezione nel suo palazzo in contrada S. Silvestro ai ribelli guelfi che, guidati da Luca Fieschi, erano entrati in città ed in un primo tempo avevano costretto il doge N. Guarco alla fuga, ma erano poi stati a loro volta disfatti dai seguaci di Antoniotto Adorno. Nei violenti scontri andò bruciato il palazzo del Fieschi. Passata Genova sotto la dominazione francese (4 nov. 1396), il F. si adoperò perché la città non aderisse all'antipapa Clemente VII, riuscendo a far sì che, nonostante le pressioni dei governatori francesi, la Chiesa e la città di Genova rimanessero fedeli ai pontefici di Roma. Il 29 luglio 1400 riunì e presiedette un nuovo sinodo provinciale, durante il quale furono tra l'altro emanate disposizioni sulle vesti dei sacerdoti, ad integrazione di quanto era stato disposto dall'arcivescovo A. Della Torre nel 1375.
Il F. morì a Genova il 24 nov. 1400.
Tre giorni prima, su autorizzazione concessa da Bonifacio IX, egli aveva fatto testamento. Aveva scelto come luogo di sepoltura la cattedrale, dove il suo corpo fu trasportato il 25, e aveva affidato la cura dei lavori per il suo sepolcro a Simone Fieschi, un suo nipote, ed al vicario Francesco de Ritiliario. Come eredi aveva nominato i nipoti Simone e Teodoro, figli di suo fratello Daniele. A Teodoro il F. legò inoltre la cospicua somma di 1000 fiorini.
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