DUGNANI, Giacomo
Nacque negli ultimi anni del sec. XIV da una cospicua famiglia milanese che derivava le sue fortune dall'attività mercantile e che aveva avuto tra i suoi membri alcuni famosi giuristi. Il padre, Franceschino, aveva fatto parte dell'ufficio di Provvisione del Comune di Milano nel 1386.
Risale al 1408 la prima notizia a noi nota relativa al D., che viene menzionato come parte in causa, insieme con i fratelli Giovanni, Ambrogio e Lucolo, in una lite patrimoniale. Nel 1415 era studente di diritto a Parma: un ordine ducale lo richiamò allora - insieme con altri docenti e studenti sudditi viscontei di quell'ateneo fra i quali Guarnerio Castiglioni - a Pavia e gli impose di continuare gli studi nell'università ticinese. Indicato in un documento del 1419 come "iuris doctor", dal 1420 fu deputato della Fabbrica del duomo, nel novero dei rappresentanti del Collegio dei giureconsulti. Fu presente in quella importante istituzione milanese quasi ininterrottamente da quell'anno fino al 1450. Nel 1422 fu nominato tra 112 presidenti dell'ufficio di Provvisione del Comune di Milano. Secondo l'Argelati fu anzi vicario ducale nello stesso ufficio.
In quegli anni il D. iniziò una promettente carriera di avvocato. Della sua attività professionale, che dovette essere brillante e che gli assicurò una certa fama a Milano, restano alcune testimonianze. Nel 1437, ad esempio, fu incaricato, con un altro membro del Collegio dei giuristi, di esprimere un lodo arbitrale nella causa vertente tra gli eredi Casati e il consorzio della Misericordia, un'istituzione benefica milanese. Nel 1439 fu nominato arbitro in una vertenza aspra e annosa tra il monastero di S. Pietro in Gessate e un privato a proposito di un terreno adiacente al monastero. Nel 1441, poi, insieme con altri membri del Collegio, rese testimonianza davanti a un notaio circa la procedura che i giuristi milanesi dovevano seguire nella redazione degli strumenti di obbligazione seguenti ai processi per debiti (cfr. gli Antiqua Mediolani decreta, Mediolani 1654, p. 289).
Il D. fu anche autore di consilia: uno di questi, relativo alla successione del feudo di Castro Masino nelle terre di dominio sabaudo e da lui redatto insieme con altri giureconsulti, è stato pubblicato nella raccolta dei Consilia di Martino Garati (Novariae 1568, pp. 93-104). Un altro consulto del D. è ricordato nel testamento del milanese Antonio Corradi, con riferimento a due clausole testamentarie da questo inserite a favore di due figli non legittimi.
Il D. svolse un'attività politica di un certo rilievo durante la Repubblica Ambrosiana, proclamata il 14 ag. 1447 per impulso di un gruppo di nobili e di cives milanesi alla morte di Filippo Maria Visconti. Il D. fu probabilmente tra i promotori del rinato Comune e il primo a ricoprire la carica di priore dei Capitani e difensori della libertà: come tale egli viene infatti indicato, il 24 di quello stesso mese, nei capitoli del trattato stipulato dal nuovo governo con la città di Como, che vi si confermava fedele e sottomessa ai Milanesi.
Non tutte le componenti dell'antico dominio visconteo, ad ogni modo, riconobbero il nuovo regime. Oltre a Como, solo Novara, Alessandria e Crema si mantennero fedeli a Milano; le altre si proclamarono indipendenti. Del momento di crisi approfittarono le potenze dell'Italia settentrionale antagoniste di Milano: Venezia occupò Lodi e Piacenza; il duca Carlo d'Orléans, Asti (25 sett. 1447). Anche il marchese d'Este, i da Correggio, Genova, il duca di Savoia, il marchese del Monferrato e lo stesso Francesco Sforza, che si trovava nel suo dominio di Cremona e poteva vantare maggiori diritti sulle terre del vecchio Ducato in quanto genero del defunto Filippo Maria, si prepararono ad intervenire per spartirsi l'eredità viscontea. Di fronte a tali pericoli, il governo della Repubblica Ambrosiana si rivolse proprio allo Sforza, affidandogli, con un pesante contratto di condotta, il comando della guerra contro i Veneziani.
Il D. figura partecipe di importanti avvenimenti dei primi tempi della "libertà" milanese. Fu, ad esempio, tra coloro che dettero il via ad un'iniziativa tendente ad istituiie ed organizzare a Milano uno Studio generale, che, secondo le intenzioni dei promotori, si sarebbe dovuto contrapporre a quello di Pavia, città che non aveva riconosciuto l'autorità della Repubblica Ambrosiana e che si era sottratta al dominio milanese, costituendosi in libero Comune (cfr. a questo proposito la lettera di G. Sitoni di Scozia pubblicata in appendice a B. Corte, Notizie istoriche intorno a' medici scrittori milanesi, Milano 1718, p. 285). Nel marzo del 1448 il D. fu eletto nel Consiglio generale, tra i rappresentanti di Porta Comasina (l'abitazione del D. si trovava nella parrocchia di S. Protaso ad monachos, dove la sua famiglia possedeva diversi immobili). Nel settembre fu incaricato della revisione dei capitoli del trattato di alleanza stipulato l'anno precedente tra Milano e la Comunità di Parma.
Le relazioni tra le due città avevano appena attraversato una crisi, che il trattato cercava di ricomporre. Su Parma si profilavano due tangibili minacce: quella del marchese d'Este, le cui mire espansionistiche erano appoggiate all'intemo del centro emiliano dai Sanvitale, e quella rappresentata dall'azione sempre più indipendente svolta dallo Sforza, che si era già reso padrone di alcuni capisaldi e di alcuni importanti centri lungo il corso del Po. Il D. discusse e stipulò con Parma un nuovo trattato, che contemplava reciproche garanzie contro eventuali attacchi dello Sforza e di J. Piccinino, e tendeva a consolidare i rapporti di amicizia tra Milano e la città emiliana.
Quale parte abbia avuto il D. nei convulsi avvenimenti che portarono, tra la seconda metà del 1448 ed il febbraio del 1450, alla fine della Repubblica Ambrosiana, non sappiamo. Ad ogni modo, dopo il colpo di Stato del 23 febbr. 1450 che rovesciò i Capitani e difensori della libertà, il D. fu della giunta di governo di 24 cittadini "fra i primi e i principali" che, eletta dai "cives et populares" nella chiesa di S. Maria alla Scala, inviò a Vimercate il 26 febbraio i sei procuratori che presentarono al condottiero i capitoli della resa di Milano e li giurarono a nome della giunta e dell'intera città. L'i i marzo, mentre a Milano si riuniva la solenne "congregatio civium et populi" che avrebbe ratificato l'opera dei sei procuratori, a Vimercate lo Sforza, come nuovo sovrano, deliberò la costituzione dei due massimi organi consultivi del Ducato di Milano: il Consiglio segreto e il Consiglio di giustizia. A far parte di quest'ultimo fu nominato il D., insieme con Bartolomeo Moroni, Sillano Negri e Giovanni Vimercati.
La nomina al Consiglio di giustizia rappresentò senza dubbio il coronamento della carriera professionale e dell'attività politica del D., il quale, insieme con altre personalità dell'antico mondo politico cittadino, espresse nel nuovo regime la continuità con la prassi di governo precedente e con le tradizioni municipali.
Al nuovo duca il D. chiese il riconoscimento dei crediti da lui contratti nei confronti del Comune di Milano negli ultimi tempi del governo repubblicano. Come molti altri maggiorenti il D. aveva infatti sovvenzionato l'amministrazione popolare con diversi prestiti, fra i quali uno di 400 ducati e uno di 100. Come lo stesso D. ricordava in una supplica al duca, "i Regolatori di quel tempo avevano piena facoltà dal Consiglio dei 900 di dare in saldo beni della comunità a quei cittadini che, forzosamente o spontaneamente, concedevano mutui" (Archivio di Stato di Milano, Famiglie, Dugnani, supplica senza data). Francesco Sforza riconobbe il credito del D. e diede incarico al vescovo di Novara di assegnargli alcuni edifici e appezzamenti di terreno, siti entro le mura cittadine, sui quali in passato il Comune aveva percepito fitti perpetui di modesta entità da privati e da enti ecclesiastici.
La consolidata situazione patrimoniale della sua famiglia e i proventi della sua fortunata professione legale assicurarono al D. una cospicua fortuna che fu largamente impiegata nell'acquisto di beni e di proprietà immobiliari. Una zona del contado milanese, in particolare, sembra che sia stata privilegiata nei suoi acquisti: la pieve di Bollate con Cassina Nova "dei Dugnani" e Dugnano, dove la sua famiglia era già presente con vasti possessi terrieri.
Le carte del D., ora conservate presso l'Archivio dell'Ente comunale di assistenza di Milano (Famiglie, Dugnani), comprendono infatti diversi atti di compravendita, relativi ad appezzamenti di terreno siti a Cassina Nova, a Desio, a Monza. Risulta che in quest'ultima località il D. acquistò fondi nel 1426 e nel 1445, e che in entrambi i casi dovette chiedere al duca la facoltà di derogare dalle disposizioni degli statuti locali, che consentivano l'acquisto di beni immobili ai soli cittadini monzesi.
Da alcune circostanze si intuisce che il D. poté talvolta incrementare i suoi possessi grazie alle cessioni compiute in suo favore da alcuni piccoli proprietari della pieve di Bollate che avevano contratto debiti con lui. L'influenza economica e personale che il D. aveva in quelle zone è confermata dalle esenzioni fiscali che, a sua istanza, i consoli della Comunità della pieve di Bollate concessero al massaro che conduceva le proprietà del D. a Cassina Nova. Si, trattava della piena esenzione da ogni onere, taglia, tassa reale e personale, eccetto l'imbottatura del vino e delle biade: il dipendente dei Dugnani godeva di queste consistenti immunità ancora nell'ottavo decennio del Quattrocento come risulta da una supplica non datata, scritta da uno dei figli del D., Luigi (Archivio di Stato di Milano Famiglie, Dugnani, supplica s.d. di Luigi, figlio di Giacomo).
Il D. morì il 1° sett. 1451. Il suo corpo fu tumulato nell'altare maggiore della chiesa di S. Marco a Milano. L'epitaffio posto sulla sua tomba è ricordato dall'Argelati. Il D. è anche menzionato in alcuni versi in un codice appartenente al Pio Luogo della Misericordia, scritti a ricordo dei benefattori e risalenti al 1480, anno in cui un altro figlio del D., Giangiacomo, entrò a far parte del capitolo del Luogo Pio.
Dei figli del D., Giangiacomo, fu illustre giureconsulto; Luigi, che visse presso la corte degli Sforza come aulico della duchessa Bona, testò nel 1483, legando un lascito a favore della Casa della carità, di cui era amministratore, e morì di li a poco (A. Noto, Gli amici dei poveri di Milano, Milano 1966, p. 171).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Famiglie, s.v. Dugnani; P. Puccinellio, Chronicon insignis Abbatie SS. Petri et Pauli de Glaxiate, Mediolani 1652-1653, p. 55; Annali della Fabbrica del duomo, II, Milano 1877, p. 33 e passim; App., ibid. 1883, p. 33; Cod. dipl. dell'Univers. Di Pavia, a cura di R. Majocchi, II, 1, Pavia 1913, p. 143; Iregistri dell'Ufficio di provvisione, a cura di C. Santoro, Milano 1929, pp. 407, 565; Gli uffici del dominio sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1948, p. 39 e n.; E. Resti, Documenti per la storia della Repubblica Ambrosiana, in Arch. stor. lomb., s. 8, V (1954-1955), p. 236; Iregistri delle lettere ducali, a cura di C. Santoro, Milano 1961, pp. 312 s.; F. Argelati, Biblioth. script. Mediol., II, 2, Mediolani 1745, coll. 1778 ss.; G. Rovelli, Storia di Como, III, 1, Como 1802, p. 564; A. Pezzana, Storia della città di Parma, II, Parma 1842, p. 665; App., ibid. 1842, p. 48; F. Calvi, Il codice del Pio Luogo della Misericordia, in Arch. stor. lomb., s. 2, IV (1892), p. 770; A. Colombo, L'ingresso di Francesco Sforza in Milano..., ibid., s. 4, (1905), p. 333; G. Barbieri, Origini del capitalismo lombardo, Milano 1961, p. 231; A. Noto, Visconti e Sforza tra le colonne di palazzo Archinto, Milano 1980, pp. 41, 52, 59, 75.