DONDULO, Giacomo
Unico rappresentante di rilievo di una famiglia dalle incerte origini, che aveva la propria residenza a Venezia nel "confinio" dei Ss. Apostoli e che si estinse nella prima metà del sec. XIV, il D., a cui viene comunemente- ma a torto - attribuito il cognome di Dandolo, fu uno dei più brillanti uomini di mare del suo tempo.
Nato a Venezia, presurnibilmente nel secondo o terzo decennio del sec. XIII, secondo un accenno del cronista suo contemporaneo Martino da Canal (Les estoires de Venise, pp. 208 s.), che ne ricorda frequentemente ie benemerenze, fu agli ordini di Lorenzo Tiepolo, probabilmente con il grado di comandante di galea, nella flotta inviata nell'estate del 1257 a contrastare i Genovesi in Siria, distinguendosi più volte nei vari episodi bellici che caratterizzarono la campagna di quell'anno (occupazione del porto di Acri, scontri per le vie di quella città, vittoria di Tiro). Rimasto nel Levante anche nel 1258, si mise particolarmente in luce nella battaglia combattuta il 24 giugno al largo di Acri, nella quale il Tiepolo, appoggiato dalla squadra di Andrea Zeno, inflisse una pesante sconfitta all'ammiraglio genovese Rosso Della Turca; prese poi parte alle successive azioni terrestri che culminarono nella distruzione delle opere di fortificazione colà costruite dai Genovesi e nell'espulsione della colonia di questi ultimi dall'allora capitale del Regno di Gerusalemme.
Rientrato in patria, fu tra gli eletti al Maggior Consiglio per il 1261 ed il 1264, ma venne ben presto chiamato a più importanti incarichi militari. Eletto capitano di una flotta contro i Genovesi nel 1266, usci da Venezia all'inizio della primavera con la missione di arrecare il maggior danno possibile al naviglio nemico. Inizialmente disponeva di sole quattro galee, ma poi, dopo aver fatto sosta rispettivamente a Zara, a Negroponte e a Candia, portò la consistenza della sua squadra a quattordici galee ed una galeotta. Con queste forze fece rotta verso la Sicilia: il suo piano prevedeva infatti di incrociare lungo le coste dell'isola attendendo l'eventuale arrivo di unità nemiche attraverso lo stretto di Messina od il canale di Sicilia. Tra l'aprile ed il maggio compi alcune felici operazioni, effettuando dapprima un'incursione su Tunisi, dove diede alle fiamme una nave mercantile dopo averla saccheggiata, e catturando quindi una galea sorpresa nei pressi delle Eolie, fra Vulcano e Vulcanello. Dopo questo scontro però, non avendo ricevuto alcuna informazione sicura sulla vicinanza o meno di navigli avversari, fermatosi brevemente a Messina. rientrò nell'Adriatico raggiungendo Ragusa di Dalmazia, secondo le istruzioni ricevute prima della partenza. A Venezia, nel frattempo, era giunta notizia della presenza in mare della flotta nemica, salpata già alla fine di aprile ma trattenutasi a lungo in Corsica: per cui furono inviate a Ragusa altre dieci galee al comando di Marco Gradenigo. Dopo che le due squadre si furono riunite ed i loro comandanti ebbero tenuto consiglio, il D., che conservava il comando supremo, uscì dal porto dalmata per cercare e affrontare i Genovesi.
L'ammiraglio Lanfranco Borborino e l'armata navale genovese si trovarono, il 22 giugno 1266, al largo di Trapani, con la via per il Mediterraneo orientale sbarrata dalle unità veneziane che si erano portate poco più a meridione, nelle acque di Marsala. Malgrado godesse di un lieve vantaggio nei confronti del suo avversario, potendo contare su di un numero superiore di galee - ventisette contro ventiquattro - e trovandosi anche in favore di vento, il Borborino preferì affrontare la lotta assumendo una posizione strettamente difensiva, ponendo le sue galee l'una accanto all'altra e legandole fra loro a formare una fortezza galleggiante ancorata a breve distanza da terra. Questa misura si rivelò un grave errore perché la mattina del 23 il D. attaccò con decisione e, dopo due tentativi respinti, al terzo assalto riuscì a gettare lo scompiglio fra gli equipaggi genovesi, molti dei cui componenti, tra i quali numerosi erano i mercenari di scarsa affidabilità, si gettarono in mare cercando scampo sulla costa siciliana ed abbandonando al nemico le loro navi, che furono tutte catturate pressoché intatte, tranne tre che, staccatesi dalle altre, vennero raggiunte ed incendiate.
La brillante vittoria di Trapani fruttò al D. - arrivato a Venezia, dove fu accolto con tutti gli onori durante il mese di luglio, con il bottino e i prigionieri - una nuova elezione a capitano generale. Appena eletto, egli si trovò tuttavia in aperto disaccordo con il doge Ranieri Zeno circa i criteri di conduzione della guerra per mare. Il doge riteneva infatti che le galee della marina militare dovessero limitarsi alla scorta del convoglio mercantile che, come di consueto, nella seconda metà di agosto avrebbe fatto vela verso i porti dell'Egeo e del Levante: esse non avrebbero dovuto quindi impegnarsi volutamente in battaglia, a meno di non essere state direttamente attaccate. Il D., all'opposto, era del parere che una volta assicurata la difesa del convoglio fino alla sua destinazione, le unità da guerra, invece di rientrare subito a Venezia, come voleva lo Zeno, avrebbero dovuto restare a disposizione del comando strategico e mantenersi in mare in cerca di prede. Il piano non fu tuttavia accolto ed il D., a dimostrazione del proprio dissenso, preferi dimettersi dall'incarico, che venne pertanto affidato a Marco Zeno, già comandante delle galee di Negroponte e suo subalterno alla battaglia di Trapani.
Le obiezioni del D. all'atteggiamento di eccessiva cautela deciso in questa circostanza non si dimostrarono affatto infondate, perché se lo Zeno, attenendosi rigidamente agli ordini ricevuti dal doge, riuscì effettivamente a garantire la sicurezza dei mercantili che navigavano di conserva sotto la protezione delle sue galee, non poté impedire che il resto del Mediterraneo rimanesse esposto ai colpi di mano dei Genovesi che riuscirono pertanto ad arrecare seri danni alle colonie ed alle navi veneziane rimaste del tutto indifese, per cui il vincitore di Trapani fu nuovamente eletto capitano con il compito, questa volta, di proteggere il convoglio nel suo viaggio di ritorno a Venezia, in programma per la primavera del 1267. Sembra che in questa occasione il D. riuscisse a far prevalere il suo punto di vista strategico, perché, dopo aver scortato senza incontrare difficoltà il convoglio da Negroponte fino a Ragusa, non ritornò a Venezia, ma rimase in mare con tutte le sue navi (poteva disporre di tredici galee portate più tardi a ventitré con l'aggiunta della squadra di Marino Morosini incontrata a Modone).
Nel frattempo una nuova flotta di venticinque galee, spedita da Genova alla fine di giugno verso la Siria al comando di Luchetto Grimaldi, aveva attaccato a metà agosto il porto di Acri e, pur senza osare uno sbarco, aveva dato inizio al blocco della città. Il D., avvertito del fatto, si mosse contro di essa e il 29 di quel mese riuscì a sorprendere una parte delle unità nemiche che stazionavano di fronte ad Acri. I Genovesi tentarono la fuga, ma cinque delle loro galee furono catturate dai Veneziani, che poi proseguirono verso Tiro dove sapevano trovarsi l'ammiraglio ed il resto della flotta genovese. Il nemico tuttavia, rifiutò il combattimento e si allontanò, riuscendo ad eludere ogni tentativo del D. di intercettarlo.
Mancata l'occasione di distruggere la squadra ligure, il D. ritornò rapidamente a Venezia, dove il 1º ottobre venne eletto in Maggior Consiglio, carica nella quale fu eletto anche nel 1270. Poco dopo l'inizio di queso mandato, tuttavia, egli fu chiamato a ricoprire un'altra carica militare.
Era allora in corso una guerra contro Bologna, combattuta per il controllo delle vie fluviali padane, e Venezia aveva inviato proprie truppe lungo il Po di Primaro a contrastare gli avversari. La direzione delle operazioni non era stata affidata ad un unico condottiero, ma si era stabilito che al comando si alternassero vari capitani i quali sarebbero dovuti rimanere in carica ciascuno per la durata di soli due mesi. Il D. subentrò nel comando a Raffaele Betani ed a Pancrazio Barbo: giunto sul Po con un contingente di cittadini richiamati alle armi e provenienti dal sestiere di S. Marco, nel breve periodo in cui ebbe la responsabiltà delle operazioni, pur senza giungere ad uno scontro risolutivo, riuscì tuttavia ad assumere risolutamente l'iniziativa, come nel suo carattere, distruggendo le macchine da guerra del nemico e colpendo le sue fortificazioni. Il 1º sett. 1271 però i Bolognesi infliggevano un'umìliante sconfitta ai mercenari che Venezia aveva inviato contro di loro. A vendicare lo smacco subito e a risollevare le sorti del conflitto furono allora inviati il D. e Marco Gradenigo, che già aveva collaborato con lui al tempo della campagna del 1266 contro i Genovesi. I due capitani, pervenuti sul teatro dei combattimenti, si divisero i compiti: il D. ebbe il comando della flottiglia che aveva risalito il Po e la missione di mantenere sotto controllo il corso del fiume, al tempo stesso proteggendo le spalle alle truppe di terra poste al comando del Gradenigo. Questi, con i suoi, sostenne vittoriosamente l'urto della cavalleria bolognese - nello scontro vennero uccisi molti dei nemici e fu ferito il loro stesso podestà -; si ritirò quindi ordinatamente sulle linee di partenza, dove le imbarcazioni del D. lo attendevano per porlo in salvo col suo corpo d'esercito.
In seguito al D. furono affidati nuovi importanti incarichi politici, per il cui conseguimento il prestigio e la fama da lui acquistati nel campo militare ebbero certamente un'influenza non trascurabile. Nel 1274 fu eletto consigliere ed in tale veste comparve il 17 settembre fra i dignitari che assistettero alla conclusione di un trattato con Mantova. L'anno successivo fu ilsolo tra gli elettori a partecipare sia alla terza "mano" delle votazioni dogalì, sia alla quarta, sia a quella definitiva, dalla quale uscì eletto Iacopo Contarini (6 sett. 1275). Nel 1277, in un momento particolarmente delicato, si dovette nuovamente ricorrere alla sua sperimentata abilità di militare: gli venne infatti affidato un altro incarico di rilievo, quello di bailo e capitano di Negroponte.
Il 19 marzo di quell'anno Venezia aveva stipulato con l'Impero bizantino una tregua biennale, con la quale, tra l'altro, venivano delimitate le rispettive zone di influenza nell'area dell'Egeo. Le due potenze si erano tuttavia riservata piena libertà d'azione per quanto riguardava la questione di Negroponte, isola di cui Venezia si era impegnata a difendere la libertà, ma che Costantinopoli rivendicava a sé. Paventando un imminente colpo di mano bizantino contro Negroponte, il governo della Serenissima aveva deciso di inviarvi il D. come bailo e capitano. Durante il biennio in cui il D. resse tale incarico, i Bizantini non osarono in ogni caso tentare alcun colpo di mano, tanto che l'anziano magistrato veneziano poté rientrare tranquillamente in patria, al termine del suo mandato, nel 1279., senza essere stato coinvolto in fatti di guerra. Poche settimane dopo la sua partenza, tuttavia, l'imperatore Michele VIII Paleologo avrebbe sferrato il tanto temuto attacco contro l'isola.
Nel 1280 il D. fu eletto per l'ultima volta al Maggior Consiglio; prima che scadesse da tale incarico venne nominato duca (cioè governatore) di Candia. In quella, che era di gran lunga la più importante delle colonie veneziane nell'Egeo, la sua presenza è attestata dal 15 ag. 1281 fino al 13 ott. 1283. Negli oltre due anni del suo mandato il D. si trovò impegnato non solo nel disbrigo degli affari di normale amministrazione, ma anche in realtà di maggiore momento, come l'organizzazione della riscossa antibizantina, che in quel tempo aveva il suo centro appunto a Candia.
A tale scopo risulta, ad esempio, come nell'aprile del 1282 egli avesse proceduto ad equipaggiare del necessario la flotta di Ruggero Morosini che operava in quelle acque. Nel 1283 dovette fronteggiare l'inizio di una pericolosa rivolta autoctona capeggiata da Alessio Kalergis, il principale esponente della nobiltà cretese. Il duca tentò di evitare il precipitare degli eventi convocando direttamente il ribelle per indurlo alla ragione, ma al rifiuto del Kalergis di ottemperare al suo ordine lo bandi e gli inviò contro Giacomo Dolfin con un buon numero di uominL Il Dolfin riportò alcuni successi, ma non decisivi, per cui si dovette evacuare una parte dell'isola che non risultava difendibile. In seguito lo stesso D. si mosse contro il Kalergis, ma non riuscì ad ottenere alcun successo di rilievo.
Ritornato a Venezia, il D. scompare dalle fonti ufficiali. Il 19 sett. 1288 era ancora in vita, poiché in quel giorno si trovava a Treviso, intento ad acquistare alcuni beni fondiari. Successivamente a questa data se ne perdono definitivamente le tracce. Ad ogni modo sembra plausibile che egli sia scomparso non molto tempo dopo.
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