DI NEGRO, Giacomo (Iacopo)
Nacque probabilmente a Genova nel primo decennio del sec. XVI, da Giovanni fu Giacomo.
Il padre era di certo già morto nel 1528, e il D. dovette essere educato da uno degli zii paterni, l'abate Tomaso, che seguì nell'attività diplomatica. Il legame con lo zio ha anche provocato equivoci sulla identità del D. nel Vitale e nel Ciasca, che entrambi definiscono abate anche il D. e ne confondono parzialmente la corrispondenza diplomatica, benché il Ciasca abbia correttamente individuato il rapporto di parentela tra i due. Ma dall'esame della corrispondenza e delle firme in calce non risulta affatto la condizione sacerdotale del D., il quale peraltro rimase celibe e senza discendenza.
In età già matura, il D. seguì lo zio abate, inviato a Bruxelles quale ambasciatore presso Carlo V per una serie di questioni assai gravi: prima fra tutte quella della Corsica, che, nell'estate del 1551 in un momento tanto delicato del conflitto franco-imperiale, era stata sollevata da Sampiero di Bastelica e quasi completamente occupata dalle truppe franco-turche. Tra il dicembre 1553 e il settembre 1554 lo zio, con cadenza pressoché settimanale, teneva informato il governo della Repubblica di tutti i contatti da lui tenuti con Carlo V personalmente, con i suoi più influenti ministri e con le personalità genovesi presenti a Bruxelles e ad Anversa in grado di perorare presso la corte la causa del mantenimento della Corsica. Nella lettera del 12 sett. 1554 l'abate annuncia che, nell'udienza di commiato da Carlo V, presenterà il D. all'imperatore; e questi, in una lettera di tre giorni dopo, ringrazia per l'incarico di agente presso sua maestà che la Repubblica gli ha conferito.
Dopo la lettera del 28 ott. 1554, in cui il D. annunciava l'avvenuta partenza dell'abate da Bruxelles in data 20 ottobre, tutte le lettere fino al 30 apr. 1559, da Bruxelles e da Anversa, sono firmate inequivocabilmente da "Giacomo di Negro" (tutt'al più, con le varianti del nome "Giacobo", "Jacopo"). La continuità epistolare tra il D. e il governo della Repubblica esclude un periodo di interruzione dell'incarico, anche se può creare qualche perplessità il modificarsi della natura dell'incarico stesso, in relazione anche alle trasformazioni istituzionali introdotte dall'abdicazione di Carlo V e dalla temporanea assunzione del titolo di re d'Inghilterra da parte di Filippo, prima di diventare re di Spagna. Così il D. risulta agente presso sua maestà cesarea nel corso del 1555, agente presso il re d'Inghilterra nell'autunno 1556, oratore residente presso Filippo II re di Spagna dal gennaio 1557. La modifica della qualifica è motivata in una lettera da Bruxelles del 18 genn. 1557 dell'inviato straordinario Angelo Giovanni Spinola, che comunica al governo quanto il D. sia benvoluto da tutti a corte e come sia stato giudicato opportuno e confacente al prestigio della Repubblica - anche secondo l'opinione del ministro Ruy Gomez da Silva che ne ha ricevuto le nuove credenziali essendo il re malato - il titolo di oratore conferito al Di Negro.
Forse proprio in relazione a problemi di qualifica (oltre che di denaro e di imprevista durata dell'incarico, che il D. aveva ritenuto esauribile nel giro di cinque o sei mesi) il D. aveva insistentemente richiesto il congedo sul finire del 1555, tanto che, con lettera dell'8 genn. 1556, il governo gli annunciava il prossimo arrivo del successore. Ma, sopravvenuto all'inizio di febbraio il disastro delle galee del principe Antonio Doria in Corsica e fattasi molto più critica la situazione della Repubblica, troppo bisognosa dell'aiuto militare ed economico della Spagna per risolvere il problema corso prima che si avviassero le trattative di pace tra le potenze belligeranti, il D. venne convinto a rimanere al suo posto.
In effetti è proprio il problema corso ad occupare tutte le energie del D., e connesso con esso il "negozio di Spagna", cioè il problema di ottenere il pagamento di 123.000 scudi per le spese di Corsica, sottoscritto dall'ambasciatore spagnolo Gomez Suarez de Figueroa e costantemente disatteso dalla corte spagnola. E nonostante tutto l'impegno profuso, con memoriali, contatti personali, ufficiali e ufficiosi, coi ministri più influenti, sempre approvati e lodati dal suo governo, il D. non riuscì a risolvere il "negozio di Spagna".
Altri problemi affrontati durante la sua legazione riguardano i rifornimenti granari (critici specialmente tra la fine del 1555 e l'inizio del 1556), la confisca e la restituzione di navi genovesi, poi le dettagliate informazioni sulle trattative di pace; oltre a questi, generali e ricorrenti, altri problemi specifici (ad esempio, la revoca del bando di Tomaso De Marini richiesta personalmente da sua maestà nel gennaio 1556; la presenza alla corte spagnola di autorevoli personaggi genovesi, da Agostino Spinola ad Antonio Doria; la questione del Finale; le pretese di Scipione Fieschi sui territori confiscati al padre Gian Luigi) fanno della corrispondenza del D. un documento importantissimo per la storia di questo periodo.
Il D. ripartì da Bruxelles il 1° maggio 1559, stanco e malato, lasciando in eredità al suo successore, il protonotaio monsignor Marcantonio Sauli, tutti i principali problemi della sua missione ancora irrisolti.
Dopo il ritorno a Genova, non si hanno notizie del D. fino al 1576, quando il suo nome compare in calce, sul documento stilato a Finale il 29 gennaio, tra quelli dei sette deputati della nobiltà vecchia, che erano stati incaricati di conteggiare le spese militari sostenute durante la guerra civile dell'anno precedente.
La deputazione, oltre che dal D., era composta da Stefano Cicala, Benedetto Spinola, Nicolò Doria, Paolo Vivaldi, Pier Battista Cattaneo, Bartolomeo Lomellini, Giovan Battista Spinola e Luca Grimaldi. La somma, da essi fatta ascendere a 300.000 scudi, doveva poi essere recuperata con la tassazione straordinaria del 21/2% sui patrimoni nobiliari. E, tra i componenti della sua famiglia, il D. compare con un patrimonio accertato di 31.250 scudi.
Nello stesso 1576 il D. entrò nel Maggior Consiglio, insieme con altri quattro membri del suo talbergo" (Giovan Francesco fu Benedetto, Negrone fu Filippo, Nicolò fu Paolo e un Edoardo medico), e nel Minor Consiglio insieme con Edoardo; nel 1584 fu anche estratto tra i senatori. Dopo questa data, non si hanno di lui altre notizie.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Sala Senarega 442, nn. 193 ss.; Arch. segreto 2707 c, docc. 199, 201; Lettere ministri Vienna, 2519 e 2521; Genova, Bibl. civ. Berio, m.r. XV, 25: G. Giscardi, Origini e fasti delle nobili famiglie di Genova, III, cc. 612, 614; m.r., X, 2, 168: L. Della Cella, Famiglie di Genova, II, cc. 1103, 1104; F. Poggi, Le guerre civili di Genova, in Atti della Soc. lig. di storia patria, LIV (1930), pp. 112, 120; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Rep. di Genova, ibid., LXIII (1934), p. 161; R. Ciasca, Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, Roma 1951, I, pp. 150, 156-165.