DE MARTINO, Giacomo
Nacque a Tunisi nel 1811 da Renato, console borbonico in quella città, e da Maddalena Soler. Avviato come il padre alla carriera diplomatica, fu prima console a Tangeri, poi, nel 1848, console a Marsiglia ed in seguito in missione diplomatica a Parigi e Londra. Nominato quindi ambasciatore a Rio de Janeiro, riuscì a non recarvisi mai e a farsi trasferire nel 1855 a Roma, come incaricato d'affari del Regno delle Due Sicilie, dove rimase fino al 1859.
Di matrice liberalmoderata, malvisto dai più intransigenti conservatori, nel 1860, dopo il suo ritorno a Napoli, fu tra i principali artefici di una nuova - e disperata - politica estera, tendente a realizzare un certo accordo col Piemonte e ad ottenere la protezione francese contro l'avanzata garibaldina. Già nel maggio di quell'anno il D. fu scelto da Napoleone III per trasmettere a Francesco II alcune sue richieste - riforme politiche ed amministrative nel Regno, occupazione militare napoletana dell'Umbria e delle Marche - in cambio della garanzia di integrità del Regno contro le minacce garibaldine e piemontesi; ma Francesco II le respinse, non volendo intaccare la sovranità pontificia. Tuttavia nel giugno, quando ormai Garibaldi era entrato in Palermo, il governo borbonico pensò di poterne ancora fermare l'avanzata procurandosi la protezione e la mediazione francese.
Il D. fu quindi inviato presso Napoleone e l'incontrò - assieme con l'ambasciatore napoletano a Parigi - il 12 giugno a Fontainebleau. L'imperatore, però, non mostrò grande apprezzamento per le proposte napoletane di creare un governo siciliano autonomo sotto un principe borbonico, di concedere la costituzione sia a Napoli sia a Palermo e di allearsi col Piemonte, ritenendo che ormai bisognava contattare direttamente il Cavour, l'unico in grado di fermare Garibaldi. I dispacci sul colloquio, inviati a Napoli dal D., furono giudicati troppo crudi e pessimisti dal governo che l'accolse freddamente al suo ritorno.
Ciò nonostante il D. fu inviato subito dopo presso il papa per chiederne l'assenso, riguardo alla ventilata autonomia siciliana, alla costituzione e all'amnistia e, dopo il suo ritorno con la risposta favorevole, fu nominato ministro degli Esteri nel nuovo gabinetto costituzionale, presieduto da A. Spinelli, creato il 25 giugno. Nei due mesi circa che tenne tale carica, il D. tentò invano di trovare un accordo con il Cavour, tramite G. Manna e A. Winspeare, presentando Garibaldi come un pericoloso sovvertitore dell'ordine costituito anche per il Piemonte. Il D. tentò di proseguire la trattativa anche dopo la sconfitta di Milazzo, quando ormai l'atteggiamento del Cavour era chiaramente negativo, e all'ultimo momento fece disperate pressioni sull'ambasciatore inglese, affinché il suo governo impedisse l'ingresso di Garibaldi in Napoli. Il 6 sett. 1860, dopo la ritirata di Francesco II a Gaeta, redasse su incarico del re un'inutile e gonfia protesta alle potenze europee.
Nei primi anni Sessanta il D. preferì tenersi in disparte dalla scena politica italiana e dedicarsi ad occupazioni industriali e speculative. Fu uno dei tre membri napoletani del consiglio di amministrazione della Compagnia napoletana d'illuminazione e scaldamento col gas, una società costituita con capitali francesi, con sede legale a Parigi, fondata nel 1862; fu azionista della Società nazionale d'industrie meccaniche, che nel 1863 prendeva in gestione l'importante opificio di Pietrarsa; fu uno dei tre membri del comitato di amministrazione del periodico L'Industria italiana, organo degli imprenditori napoletani per circa due anni tra il 1863 e il 1865.
Nel 1865 tornò alla vita politica candidandosi al Parlamento nel collegio di Sorrento, della cui zona era originaria la sua famiglia, nella lista"Tromba cattolica", composta di "conservatori, cattolici e patrioti" (Scirocco). Eletto dopo ballottaggio, sedette in Parlamento ininterrottamente, dalla IX alla XIII legislatura, risultando sempre rieletto.
Nel 1867 senza ballottaggio e nel 1870 dopo ballottaggio fu rieletto a Sorrento. Sempre in questo collegio fu invece sconfitto nel 1874, in elezioni poi invalidate per corruzione e rifatte dopo alcuni mesi. Il D., però, non vi partecipò, perché nel frattempo era risultato vincitore - e senza ballottaggio - in elezioni suppletive per il collegio di Foligno, svoltesi nel dicembre 1874, a seguito di opzione per altro collegio di L. Gerra, molto legato al D., che aveva vinto lo scrutinio regolare del mese precedente. Sempre a Foligno e senza ballottaggio, egli venne infine rieletto per la quinta volta nel 1876.
Il D. si impegnò poco nell'attività parlamentare, poiché si dedicò principalmente all'amministrazione della Società-generale strade ferrate romane, una delle compagnie ferroviarie sovvenzionate dallo Stato, che dal 1865 si occupava dell'esercizio e del completamento di una vasta rete ferroviaria tra l'Italia centrale, la Liguria e Napoli. Quando il D. ne assunse la direzione., nel 1868, la compagnia era già in pessime condizioni economiche, per cui lo Stato provvide a costruire in proprio le linee liguri. La crisi si acuì nel 1871-72, anche a causa di una cattiva gestione ("sciupii... disordine amministrativo"), da cui non era estraneo il D. (Berselli). Quando nel luglio 1873 la crisi toccò il suo apice, il D. non seppe fronteggiarla adeguatamente, limitandosi a fare vane pressioni sul governo perché fermasse un'istanza di fallimento presentata da un gruppo di obbligatari a cui non erano state pagate le cedole. Nel novembre dello stesso anno non riuscì ad impedire che l'assemblea degli azionisti stipulasse con il governo una convenzione per il riscatto della società che, ratificata due anni dopo dal Parlamento, ne decretava la fine.
Il D. morì presso Pontedera (Pisa) il 6 apr. 1879.
Fonti e Bibl.: Brevi e molto sommari cenni biografici sono in: L'Illustrazione italiana, 20 apr. 1879, p. 246; Alessandro Poerio a Venezia. Lettere e documenti del 1848, a cura di V. Imbriani, Napoli 1884, p. 435; Il Parlamento subalpino e nazionale, a cura di T. Sarti, Terni 1890, p. 376; Diz. del Risorg. naz., II, p. 907; A. Malatesta, Ministri, deputati e senatori dal 1848 al 1922, I, Milano 1940, p. 346. Giudizi e notizie sulla sua attività diplomatica prima della nomina a ministro degli Esteri sono in La liberazione del Mezzogiorno e la formazione del Regno d'Italia. Carteggi di Camillo Cavour, Bologna 1861, pp. 280 s. (lettera di G. Ermirio del 3 luglio 1860). Della sua attività diplomatica e politica nel 1860 si occupano in modo specifico due saggi di P. Menna: La missione D. a Parigi nel 1860 in alcuni documenti borbonici, in Samnium, XLVII (1975), 3-4, pp. 186-201; La politica di G. D. ministro di Francesco II in alcuni documenti borbonici, in Arch. stor. per le prov. napoletane, s. 4, XV (1977), pp. 353-67. Sullo stesso breve, ma intenso periodo, si soffermano alcuni libri sulla storia del Regno napoletano, tra i quali è il caso di ricordare: R. De Cesare, La fine di un regno, Roma 1975, ad Indicem;N. Nisco, Storia del Reame di Napoli dal 1824 al 1860, III, Napoli 1908, pp. 49-53; A. Zazo, La politica estera del Regno delle Due Sicilie nel 1859-60, Napoli 1940, ad Indicem;H. Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli, Firenze 1962, ad Indicem. Sulle sue attività di natura industriale nei primi anni '60 forniscono notizie: Le Compagnie del gas in Napoli, Napoli 1962, pp. 174, 202; L. De Rosa, Iniziativa e capitale straniero nell'industria metalmeccanica del Mezzogiorno. 1840-1904, Napoli 1968, p. 74; Id., La rivoluzione industriale e il Mezzogiorno, Bari 1973, pp. 54 s. Notizie sulla sua partecipazione alle elezioni al Parlamento italiano sono in Indice generale degli Atti parlamentari. Storia dei collegi elettorali. 1848-97, II, Le elezioni politiche al Parlamento subalpino e al Parlamento italiano. Storia dei collegi elettorali dalle elezioni generali del 17-27 apr. 1848 a quelle del 21-28 marzo 1897, Roma 1898, pp. 275 s., 628 e - limitatamente a quelle del 1865 - in A. Scirocco, IlMezzogiorno nell'Italia unita (1861-1865), Napoli 1979, ad Indicem. Sul suo operato come direttore delle Ferrovie romane si sofferma A. Berselli, La questione ferroviaria e la "rivoluzione parlamentare" del 18 marzo 1876, in Riv. stor. ital, LXX (1958), 2, pp. 191 ss., 196 s.