Giacomo (Capocci?) da Viterbo
Teologo, monaco dell'ordine agostiniano, nacque a Viterbo circa il 1255; studiò nella città natale, quindi a Parigi, dove nel 1293 successe nell'insegnamento a Egidio Romano; da Bonifazio VIII fu nominato nel 1302 prima vescovo di Benevento, poi arcivescovo di Napoli; morì prima del marzo 1308.
Agli anni 1301-02 si assegna l'opera religioso-politica De Regimine christiano, nella quale, senza quel rigorismo proprio di altri autori dell'epoca, segnatamente di Egidio Romano, e anzi facendo, almeno per comodo di dimostrazione, concessioni alle tesi opposte, riesce nella sostanza a un'estremistica riaffermazione del potere universale del papa. Meraviglia perciò che il Vossler affermi che la deduzione di due poteri distinti nella Monarchia di D. sia in netta antitesi, cioè sia diretta a confutare la deduzione rigorosa teologica dell'unitarietà del potere dell'opera di G., ché questo potrebbe meglio dirsi del De Ecclesiastica potestate di Egidio Romano; ma risulta priva di fondamento l'affermazione che G. non sia un sostenitore della teocrazia ma il primo teologo che sviluppi il diritto naturale dello stato (L. Stella, G. da V., in Enciclopedia filosofica, II, Firenze 1957, 705, con rimando all'Arquillière) solo perché, evidentemente, egli vuole che il potere regio di diritto umano deriva o da designazione divina o dal suo rappresentante o anche dal condictum et consensus di tutti.
L'opera è divisa in due parti: De Regni ecclesiastici gloria, in cui si tratta della Chiesa come regno; De Potentia Christi regis et sui vicarii, in cui propriamente si discutono le tesi del potere universale e temporale del papa.
Cristo era certamente re non solo del regno celeste ma anche di quello terreno; per il bene dell'umanità lasciò tale prerogativa di autorità a uomini " per quos eius ecclesia regeretur et dirigeretur in finem, propter quem obtinendum ab hominibus Iesus Christus in mundum venire dignatus est " (II 2, p. 267). Astrattamente sarebbe proponibile la questione se Cristo, com'era nell'Antico Testamento, abbia lasciato a più soggetti tale potere; ma meglio approfondendo il tema gli risulta da doversi escludere. Per certo al vicario di Cristo il potere non venne dalle potenze terrene e neppure da Costantino con la donazione. Si studia quindi di chiarire i termini dell'antitesi, eliminandone le ambiguità, sacerdozio e regio, e conclude che lo stesso sacerdozio non è che un compito regio, com'è vero che il giudicare è compito proprio del re. I fedeli stessi quando offrono a Dio sono sacerdoti: del sacerdozio regio il capo è il vescovo di Roma, il successore di Pietro e vicario di Cristo. Bisogna stabilire i rapporti tra le due regie potestà, quella spirituale e quella terrena, e G. individua dapprima la congruenza - convenientia - e convergenza tra di esse, e poi la differenza - comparatio -: per il fatto che entrambe intendono allo stesso fine, la beatitudo degli uomini, convergono; ma per dignità " est autem simpliciter et absolute dicendum quod potestas spiritualis est dignior est superior multipliciter " (II 7, p. 230), e per causalitas " spiritualis est principium agens, respectu temporalis, quantum ad eius institutionem, quia eam instituit, ut dicit Hugo de Sancto Victore ", il potere spirituale si colloca al di sopra di quello temporale, benché per lui il regno temporale sia naturalmente buono e non malvagio, com'era per es. per Gregorio VII.
La superiorità del potere spirituale per dignità, per causalità, e per prerogativa d'impartire direttive, si risolve nella continentia (o praehabitio), cioè nel potere spirituale si ricomprendono, come in esso anticipati, i poteri temporali: " Nam quia virtutes inferiores continentur in superioribus, et quae sunt causatorum praeinsunt causatis, ideo temporalis potestas, quae comparatur ad spiritualem, sicut inferius ad superius, et sicut causatum ad causam, continetur a potestate spirituali, et propter hoc a Christo dicuntur esse concessa beato Petro iura coelestis imperii et terreni quia Petrus et quilibet eius successor, in quo plenitudo spiritualis potestatis residet, praehabet potestatem temporalem, non tamen secundum eundem modum secundum quem habetur a principe saeculari, sed modo superiori et digniori et praestantiori " (II 7, p. 236). L'eminenza di grado è conseguenza anche del fatto che il potere spirituale guida al precipuo fine degli uomini cioè alla " beatitudo supernaturalis ", mentre il potere temporale guida solo alla " beatitudo naturalis ". La donazione di Costantino viene poi da G. interpretata nel senso che con essa al diritto divino del papa sarebbe venuto ad aggiungersi quello umano: ma può essere anche considerata come strumento materiale per poter intervenire con più libertà, o come facoltà di intervenire in virtù di essa immediatamente nelle cose terrene, com'è vero che in caso di vacanza della sede imperiale il papa ne prende le veci.
In ordine alla proprietà, si afferma che i beni terreni servono ai fini spirituali dell'anima degli uomini, per cui chi ne usasse indegnamente può esserne privato.
È estremamente probabile che D. abbia conosciuto l'opera di G.; anzi secondo il Vossler (La D.C. studiata nella sua genesi e illustrata, I 2, trad. ital. Bari 1927², 180) contro di essa sarebbe diretta la deduzione dualistica dei poteri nel De Monarchia. Ma quale che sia il rapporto diretto di D. con l'opera del teologo agostiniano, è troppo evidente non si possa appieno intendere l'opera di D. senza tener conto di quelle dottrine religiose politiche che finirono col creare un clima culturale comune nel quale, polemicamente, si inserisce l'opera e il pensiero politico del poeta. Appunto, discutendo del pensiero politico di D., il Nardi (Dal " Convivio " alla " Commedia ", Roma 1960) frequentissimamente si deve rifare all'opera di G. (si veda all'indice dei nomi, sub v. G. da Viterbo).
Bibl.-Ediz. critica: H.X. Arquillière, Le plus ancien traité de l'Église. Jacques de Viterbe: de regimine christiano (1301-1302) Étude des sources et édition critique, Parigi 1926; D. Gutierrez, De beati Jacopi Viterbiensis vita, operibus et doctrina theologica, Roma 1939; F. Casado, El pensamiento filosofico del Beato Santiago de Viterbo, in " La Ciudad de Diós " CLXIII (1951) 437-454; CLXIV (1952) 301-331; CLXV (1953) 103-144, 283-302, 491-500; U. Mariani, Chiesa e Stato nei teologi agostiniani del sec. XIV, Roma 1957, 75-88 e 151-174; D. Maffei, La donazione di Costantino nei giuristi medievali, Milano 1964, 129; R.W. e A.J. Carlyle, Il pensiero politico medievale, a c. di L. Firpo, III, Bari 1967, 94 e 433-442. V. anche bibl. in P. Stella, G. da V., in Enciclopedia filosofica, III, Firenze 1967², 124-125.