GIACOMO da Tresanti (Iacobus de Trisanctis, de Trisanto, de Grisanto)
Figlio del notaio ser Ridolfo, nacque verso il 1265 a Tresanti, borgo posto nel piviere di S. Pietro in Mercato, nelle vicinanze di Montespertoli, presso Firenze.
Il ms. Conv. soppr. G.1.861.A, conservato nella Biblioteca nazionale di Firenze, riporta una scrittura non originale, sebbene antica (in quanto appare nel catalogo quattrocentesco della biblioteca di S. Croce), che segnala il titolo "Sermones fratris Jacobi petri sancti" (c. 1r) probabile lettura erronea di "de trisancti": l'estensore della nota potrebbe aver confuso G. con un "frater Jacobus de Sancto petro", la cui presenza nel convento francescano fiorentino è attestata da fonti coeve. Questo errore ha indotto gli autori dell'Indice dei manoscritti scelti nelle biblioteche monastiche… (p. 118) e dell'Inventario dei manoscritti dei conventi soppressi (p. 25a) a indicare il borgo di provenienza in Pietrasanta.
G. fece professione religiosa a Castelfiorentino nel convento di S. Francesco, compreso nella custodia fiorentina della provincia toscana dei frati minori. Gli unici dati biografici certi sono forniti dai protocolli notarili rogati da Opizzo da Pontremoli per le "vestite" di S. Croce e da quelli del fratello di G., Benvenuto, che successe a Opizzo quale notaio del convento francescano di Firenze: il primo documento che lo menziona in attività è datato al 1298 e questa notizia consente di fissare, secondo criteri deduttivi, la data di nascita.
Si deve ritenere che G. abbia studiato teologia a Parigi, nell'ultimo decennio del Duecento: appartengono infatti alla facoltà di teologia parigina, per la quasi totalità, i maestri ricordati da G. nella Lectura super Sententias. Al termine dei quattro anni di formazione previsti dalle costituzioni dell'ordine, rientrò in Toscana.
Undici atti notarili, nei quali G. viene citato come esecutore testamentario, beneficiario e, più di frequente, testimone, dimostrano la sua presenza a Firenze tra il luglio 1298 e il febbraio 1305: benché non gli sia mai attribuito l'appellativo di lector, né venga ricordato dal Tognocchi tra i lettori della provincia toscana, è lecito ipotizzare che, nel corso di questi anni, abbia commentato i Libri Sententiarum di Pietro Lombardo nel convento di S. Croce, ove dal 1287 esisteva uno Studio generale.
In questo stesso periodo la famiglia di G., dopo la morte del padre, si trasferì a Firenze: nei protocolli notarili vengono citati il fratello Benvenuto, che abitò e svolse la professione di notaio nel "popolo" di S. Ambrogio, e la sorella Tessa.
La comunità francescana di S. Croce, nella quale si trovava G. in questi anni, quando erano appena iniziati i lavori per l'edificazione della nuova chiesa progettata da Arnolfo di Cambio, viveva a stretto contatto con il movimento laico delle pinzochere, la cui vita penitente si ispirava al modello di Umiliana de' Cerchi. Le numerose domus delle "vestite" erano dislocate intorno al convento, che veniva dotato da lasciti, donazioni ed elemosine destinate ai frati, di frequente nominati eredi ed esecutori testamentari.
In uno di questi testamenti, rogato da Opizzo da Pontremoli il 12 apr. 1300 (Arch. di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, 15527, n. 113, cc. 99v-100v), donna Agnese, vedova del notaio ser Cione Baldovini, lascia in legato a G. 60 fiorini piccoli per l'acquisto personale di libri, oltre a 30 fiorini piccoli il cui uso è affidato alla sua discrezione. In qualità di esecutore testamentario G. viene, inoltre, incaricato di provvedere alla destinazione di tutti i beni di proprietà della testatrice e della sua casa nel popolo di S. Ambrogio. Un altro testamento, rogato il 30 settembre dello stesso anno, prevede un lascito di 20 fiorini assegnati a G. da donna Gemma, vedova di Bengo de' Buondelmonti (ibid., n. 148, c. 136r). Negli anni successivi è citato in qualità di teste in due atti, rispettivamente del 28 apr. 1301 (ibid., 166, c. 156v) e 25 febbr. 1305 (ibid., O.22, c. 37).
Non si hanno più notizie documentarie su G. a partire dal 1305, per una parentesi durata otto anni. Si può ritenere che, nel periodo successivo alla sua permanenza a Firenze, abbia percorso il territorio della provincia toscana, seguendo itinerari di predicazione dei quali non sono rimaste tracce documentarie. In alcuni sermoni del manoscritto Conv. soppr. G.1.861.A è, tuttavia, possibile reperire riferimenti espliciti che attestano la sua presenza in città dell'Italia centrale, tra cui Arezzo, ove predicò nella festività di S. Donato (cc. 158v-161v), Volterra, ove tenne sermoni per la festività di S. Giusto (cc. 103r-105v), e, forse, Assisi.
G. trascorse l'ultimo periodo di vita a Castelfiorentino, probabilmente con l'incarico di confessore delle suore, qualora venga confermata la testimonianza relativa alla sua sepoltura nella chiesa del convento delle clarisse: era infatti consuetudine inumare, nell'unica tomba lapide clausa, i frati che morivano durante lo svolgimento di tale ufficio. Il 14 ag. 1313 compare tra i testimoni del testamento di Pando di Bardo da Castelfiorentino (Arch. di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, G.401, cc. 41v-42v); il 13 apr. 1315 è citato nel testamento del notaio fiorentino ser Cambio di Michele (ibid., S.352, cc. 37v, 40r-41r). Il 27 marzo 1319, donna Massima di Pizzino da Certaldo, vedova di Dedo de' Rinuccini, lascia a G. 25 fiorini piccoli e un "drappum aureum" da trasformare in paramento destinato alla chiesa di S. Francesco (ibid., cc. 51v-53r). Due atti notarili rogati dal fratello Benvenuto confermano la presenza di G. nel convento francescano di Castelfiorentino: il primo registra, sotto la formula di giuramento sui Vangeli, un lascito testamentario da lui ricevuto in forma orale insieme con un altro testimone, il guardiano fra Bernardo (23 ott. 1319: Arch. di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, 2407, c. 16v); nel secondo è beneficiario del testamento della già ricordata donna Massima (8 marzo 1320; ibid., c. 27v): gli è concesso in uso un letto, circostanza che induce a ritenere che fosse malato. Compare come teste a Firenze il 12 maggio 1320 (ibid., c. 33v). L'ultima attestazione è del 28 ottobre dello stesso anno (ibid., c. 55r): in un atto rogato dal fratello nel convento di S. Croce viene elencato tra i testimoni presenti a una donazione del novizio francescano Gherardo di Angelo di Guido del popolo di S. Frediano. Si può, dunque, ritenere che dimorasse nel convento di Castelfiorentino e periodicamente mantenesse contatti con Firenze.
Dopo questa data non si trova più alcun riferimento a G. nei documenti: il che induce a supporre che egli sia morto poco dopo. Secondo il Papini, G. sarebbe morto, invece, verso il 1340.
Nel Liber conformitatum Bartolomeo da Pisa afferma che G. fu sepolto con fra Donato da Ferrara a Castelfiorentino, nella chiesa annessa al monastero di S. Chiara: questa notizia venne ripresa da Antonio da Terrinca e da Sbaraglia. Ricordandolo nel Compendium chronicarum come "egregius praedicator et in theologia doctor magnus", Mariano da Firenze gli attribuisce sermoni domenicali e festivi e la stesura di 42 quaresimali, probabile lettura erronea, quest'ultima, del Liber conformitatum, il quale aveva sostenuto la composizione di "xxxii. quadragesimalia et multos alios sermones tam dominicales quam festivos ad predicandum"; tale notizia viene confermata dal Gonzaga, che lo indica tra gli scrittori illustri dell'Ordine francescano. Pietro Ridolfi da Tossignano, nel primo libro delle Historiae seraphicae Religionis (1856), tramanda l'esistenza di 22 quaresimali, ridotti dal Wadding a 12. Si tratta di cifre per nulla verosimili: i predicatori, anche i più celebri, erano soliti scrivere uno o due quaresimali, che adattavano e modificavano alle specifiche esigenze di ogni ciclo di predicazione.
Opere. Tranne tre panegirici in onore di s. Antonio (V. Gamboso, Tre panegirici di s. Antonio di Jacopo di Pietro Santi o da Tresanto [† c. 1340], in Il Santo, XXXII [1992], pp. 3-29), i sermoni de festis et de sanctis contenuti nel codice fiorentino Conv. soppr. G.1.861.A, raccolti da G. alla fine della sua vita, sono ancora inediti. Il manoscritto inizia con nove sermoni per il Natale e si conclude mutilo, nel terzo sermone per s. Tommaso apostolo (c. 232v). Elementi interni inducono a ritenere che la versione definitiva di quest'opera debba essere successiva al 1305. L'attribuzione del titolo di santità a Ludovico d'Angiò, ricordato anche in uno dei sermoni dedicati a s. Francesco (c. 180r), dovrebbe indurre a posticipare la stesura del manoscritto a una data successiva alla canonizzazione (1317): G. potrebbe, tuttavia, aver fatto riferimento alla fama di santità che seguì la morte del vescovo di Tolosa.
G. compone, di norma, tre sermoni per ogni santo. La festività di S. Francesco è celebrata da sette sermoni, nei quali viene spesso allegata la Legenda maior di Bonaventura da Bagnoregio, accanto alla quale sono riportate altre due fonti francescane: una citazione dello Speculum perfectionis fratris minoris (c. 183r), testo agiografico che ebbe sistemazione definitiva tra il 1313 e il 1318, e la trascrizione di alcune strofe del Cantico delle creature (cc. 187v-188r).
Un manoscritto della Bibl. apostolica Vaticana (Chig. C.V.128), proveniente dal sacro convento di Assisi contiene la trascrizione dei sermoni del codice fiorentino, quasi tutti corrispondenti alla lettera con quelli di G.: sono stati copiati, tuttavia, secondo un ordine diverso rispetto al codice fiorentino. In una cedola cartacea scritta dal cardinale Giovanni Bona, inserita nella legatura del manoscritto dinanzi al primo foglio, vengono attribuiti al francescano Paolo Boncagni da Perugia. Questa attribuzione si trova anche nel catalogo assisano del 1381 (edito da Cenci, 1981) e nelle Historiae seraphicae Religionis (1586) di Ridolfi (c. 324v), che cita il Boncagni quale autore dei sermoni. Nel codice chigiano non esiste alcun elemento esterno che possa indurre ad attribuire questi sermoni al Boncagni. Devono, dunque, essere formulate due ipotesi: giacché il nome di Paolo Boncagni è indicato nel catalogo trecentesco, la falsa attribuzione venne stabilita allorché il manoscritto fu inserito nel patrimonio librario di Assisi, errore in seguito ripetuto dal Bona; quale alternativa si imporrebbe l'evidenza del confronto con il manoscritto fiorentino: lo stesso Boncagni avrebbe copiato i sermoni di G., attribuendosi in seguito la paternità dell'opera. Sulla priorità cronologica tra i due francescani non pare possano sussistere dubbi: il periodo di attività del perugino è posteriore di almeno vent'anni e la serie dei sermoni scritti da G. presenta costantemente l'addizione di una unità, tre invece di due, rispetto a quelli copiati nel manoscritto vaticano. Quest'ultimo tramanda un fascicolo mancante nel fiorentino e comprende i sermoni per le festività di S. Chiara (cc. 109r-113r), dell'Assunta (cc. 113r-117r) e di S. Ludovico d'Angiò (cc. 117r-122r). Riguardo ai sermoni per s. Ludovico, il primo di questi (cc. 117r-118v) trova corrispondenza in due manoscritti assisani del sacro convento descritti da Cenci (1981, Assisi, Bibl. comunale, mss. 477 e 555). Un altro codice, di provenienza assisana (Perugia, Bibl. comunale, ms. 58, cc. 82r-85r), riprende la testimonianza dei cento miracoli avvenuti in seguito alle invocazioni impetrate dai devoti di Ludovico, riferita dal manoscritto chigiano (c. 122r).
Di G. le fonti e la letteratura erudita ricordano numerosi sermoni domenicali e festivi. Un suo quaresimale, contenuto nel ms. N.III.2, un tempo in possesso della Biblioteca del Seminario patriarcale di Venezia (incipit: "Cum ieiunatis […] Deus qui bonorum nostrorum"), di cui si sono perse le tracce all'inizio di questo secolo, è stato brevemente descritto da Fedele da Fanna (Biblioteca del Collegio S. Bonaventura di Grottaferrata, quaderno XIX, 1878, pp. 21 s.).
Abate ha ipotizzato che la Legenda Florentina di s. Antonio - una breve biografia scritta per qualche convento della custodia di Firenze, utilizzata, forse, quale legendarium chori o per uso liturgico e tramandata da un manoscritto francescano proveniente da S. Croce (Firenze, Bibl. Laurenziana, ms. 773) - sia opera di Giacomo. Tale attribuzione non è condivisibile perché proposta solo sul fondamento di una presunta, ma non dimostrata, connessione tra le effettive doti di cui G., abile compilatore di sermoni sui santi, fu in possesso e il fatto che l'autore della Legenda sia stato un francescano di Toscana, dotato di una particolare abilità nel riassumere i lunghi testi delle proprie fonti: criteri paleografici ed elementi interni al manoscritto - per esempio la datazione dei primi tre sesterni, nei quali sono contenute le vite di s. Antonio (cc. 8r-10r), della beata Umiliana (cc. 31r-32v), di s. Elisabetta d'Ungheria (cc. 31v-34r) e dei Sette martiri del Marocco (cc. 54v-55r) - inducono ad affermare che questo testo agiografico venne concluso verso il 1270-80, quando G. era ancora nell'età della fanciullezza o dell'adolescenza. Proprio il confronto tra le Vite del manoscritto laurenziano e la produzione sermonistica di G., che allega come fonti antoniane, oltre all'Officium rhythmicum di Giuliano da Spira, altre precedenti biografie, consente di smentire la congettura di Abate: il testo dei tre sermoni per la festività di S. Antonio non presenta infatti alcuna somiglianza rispetto all'edizione della Legenda Florentina (Palandri).
G. fu autore di una Lectura sui quattro Libri Sententiarum di Pietro Lombardo (Firenze, Bibl. nazionale, Conv. soppr. F.3.606).
L'opera venne realizzata in due fasi distinte, la prima riferita ai primi tre libri (rispettivamente alle cc. 2va-83rb, il primo; alle cc. 85ra-157rb, il secondo; alle cc. 159ra-230va, il terzo), la seconda relativa al quarto (cc. 231ra-342rb), alla quale la stessa mano ha fatto seguire la trascrizione anonima di due questioni di Ugo di Castronovo (cc. 342va-343vb): le due parti vennero, in seguito, legate in un solo codice. La scrittura libraria consente di supporre che la prima parte del manoscritto fiorentino costituisca la stesura definitiva della compilazione autografa di G., oggi perduta: non sono state, infatti, inserite nei fogli del codice integrazioni e correzioni significative. A distanza di almeno un decennio, in un periodo successivo al primo insegnamento parigino di Scoto, a Firenze G. avrebbe scritto, o fatto scrivere da altri, la seconda parte dedicata al quarto libro delle Sententiae, dove sono citati autori in precedenza ignorati, tra i quali lo stesso Scoto: ciò consente di datare questa seconda sezione come posteriore al 1302.
G. riprende intere questioni dai principali teologi della scolastica parigina e oxoniense, in genere con l'indicazione introduttiva "dicit", insieme con gli argomenti favorevoli e contrari a ciascuna opinione sostenuta. Il lavoro di compilazione venne svolto con notevole impegno in relazione sia all'ampiezza dei testi considerati, sia al procedimento espositivo per distinzioni e articoli. Nella Lectura sono presenti questioni teologiche trascritte dalle opere di Alessandro di Hales, che G. segnala con evidenza tra gli "antiqui doctores de ordine minorum", Bonaventura da Bagnoregio, Tommaso d'Aquino, Pietro di Tarantasia, Guglielmo de la Mare (c. 87rab), Pietro "de Trabibus", Egidio Romano, Enrico di Gand (c. 321vb), Ruggero Marston (c. 19vb) e Riccardo di Mediavilla. Rimane da accertare l'identità di un "frater Ugo" citato nel colophon del commento al quarto libro, identificato dal Doucet in Ugo di Castronovo, dal Bonnefoy nel domenicano Ugo di Strasburgo, mentre Cenci (1993) ritiene sia da individuare in Ugo di San Caro. Alla c. 272rb è riassunto il testo dei Reportata Parisiensia relativo alla potestas clavium (IV, dist. XIX, q. un. schol. IV): si deve ritenere questo testo, curato redazionalmente dai discepoli del dottore francescano, la fonte che consentì a G. di conoscere le questioni teologiche di Scoto trascritte nella compilazione. Fedele all'insegnamento dei primi maestri della scuola francescana di Parigi, riguardo alla questione dell'immacolata concezione di Maria, G. si schiera con i maculisti, ignorando la posizione scotista, e dimostra di preferire l'opinione, comunemente sostenuta fino al 1310, della santificazione posticipata (III, dist. 3, q. 1, cc. 162vb-163rab).
Sbaraglia ha attribuito a G. una abbreviatio del primo libro delle Sententiae (Assisi, Bibl. comunale, ms. 148, cc. 1ra-12vb) composta tra il 1308 e il 1323: il catalogo trecentesco dei manoscritti stilato da fra Giovanni Ioli identifica questo codice con un commento di Riccardo di Mediavilla. È possibile ritenere che G. abbia predisposto, per uso personale, una sintesi dell'epitome del francescano inglese.
Fonti e Bibl.: Bibl. apost. Vaticana, Vat lat. 869, cc. 161r-163v; 1288, cc. 124ra-125vb; Arch. di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, G.401, cc. 26v-28r, 41v-42r; S.352, cc. 37v, 40r-41r, 51r-53r; Protocollo di Opizzo da Pontremoli, O.22, c. 37; 15527 (O.3), cc. 52r, 68v, 99v-100v, 101r, 113v, 124r, 136r, 142v, 156v; 2407 (B.1393), Protocollo di Benvenuto di Ridolfo da Tresanti, cc. 16v, 27v, 33v, 55r; Firenze, Bibl. nazionale, Indice dei manoscritti scelti nelle biblioteche monastiche del Dipartimento dell'Arno dalla Commissione degli oggetti d'arti e scienze, e dalla medesima rilasciati alla Pubblica Libreria Magliabechiana (sec. XVIII), pp. 84, 118; Ibid., Inventario dei manoscritti dei conventi soppressi (sec. XVIII), pp. 22b, 25a; Roma, Arch. della Curia generalizia dei frati minori conventuali, ms. C.84: N. Papini, L'Etruria francescana, II (1806), 2, c. 255v; Grottaferrata, Biblioteca del Collegio S. Bonaventura: Fedele da Fanna, quaderno XIX (1878), pp. 21 s.; Provinciale Ordinis fratrum minorum vetustissimum secundum codicem Vaticanum nr. 1960, a cura di K. Eubel, Quaracchi 1892, p. 58 n. 224; Bullarium Franciscanum…, V, Romae 1898, p. 596 n. 224; Bartholomaeus de Pisis, Liber de conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini nostri Iesu Christi, Mediolani 1510, cc. LXIVrb, CXXIIva; P. Ridolfi, Historiae seraphicae Religionis, II-III, Venetiis 1586, cc. 261r, 324v; F. Gonzaga, De origine seraphicae Religionis Franciscanae eiusque progressibus …, I, Romae 1587, p. 86; A. Possevinus, Apparatus sacer, II, Venetiis 1606, p. 86; Antonius (Tognocchi) a Terrinca, Genealogicum et honorificum theatrum Etrusco-minoriticum, Florentiae 1682, p. 205; G.M. Brocchi, Vite de' santi…, I, Firenze 1742, p. 577; A.M. Bandini, Catalogus codicum Latinorum Bibliothecae Mediceae Laurentianae, IV, Florentiae 1777, coll. 322-328, 724; E. Repetti, Dizionario corografico della Toscana, Milano 1855, p. 1464b; G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d'Italia. Assisi. Biblioteca del Convento di S. Francesco, IV, Forlì 1894, pp. 47, 97, 106; C. Mazzi, L'inventario quattrocentistico della biblioteca di S. Croce in Firenze, in Riv. delle biblioteche e degli archivi, VIII (1897), p. 141b; L. Alessandri, Inventario dell'antica biblioteca del S. Convento di S. Francesco in Assisi compilato nel 1381, Assisi 1906, pp. 103, 115, 120, 198 s., 209 s., 229; L. Wadding, Scriptores Ordinis minorum, Roma 1905, pp. 124b, 126b; G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad Scriptores trium Ordinum s. Francisci, I, Roma 1908, p. 66b; II, ibid. 1921, pp. 21ab, 371a; Mariano da Firenze, Compendium chronicarum fratrum minorum, a cura di T. Domenichelli, in Archivum Franciscanum historicum, II (1909), p. 632; B. Jansen, Die Erkenntnislehre Olivis auf Grund der Quellen dargestellt und gewürdigt, Berlin 1921, pp. 30, 122; E. Longpré, Pietro de Trabibus. Un discepolo di P.G. Olivi, in Studi francescani, XIX (1922), pp. 267 s.; B. Jansen, Petrus de Trabibus. Seine spekulative Eigenart oder sein Verhältnis zu Olivi, in Abhandlungen zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters.Festgabe Clemens Baeumker zum 70. Geburtstag, Münster 1923, p. 244; F. Delorme, Pierre de Trabibus et la distinction formelle, in La France franciscaine, VII (1924), p. 256; A.G. Little, The franciscan school at Oxford in the thirteenth century, in Archivum Franciscanum historicum, XIX (1926), p. 843; A. Pelzer, Codices Vaticani Latini…, II, 1, Città del Vaticano 1931, p. 248; L. Wadding, Annales minorum, V, Quaracchi 1931, p. 469; E. Palandri, La Leggenda fiorentina di s. Antonio, in Studi francescani, XXIX (1932), pp. 454-496; G. Mercati, Opere minori, IV, Città del Vaticano 1937, pp. 497 s., 500; F. Stegmüller, Repertorium commentariorumin Sententias Petri Lombardi, I, Würzburg 1947, pp. 189, 503 s.; G. Gál, Commentarius Petri de Trabibus in IV Librorum Sententiarum, Petro de Tarantasia falso inscriptus, in Archivum Franciscanum historicum, XLV (1952), p. 241; V. Doucet, Commentaires sur les Sentences. Supplément au Répertoire de M. Frédéric Stegmüller, ibid., XLVII (1954), pp. 132 s., 420; J.F. Bonnefoy, Le vén. Jean Duns Scot, docteur de l'Immaculée Conception. Son milieu - sa doctrine - son influence, Roma 1960, pp. 280 s.; V. Heynck, Der Skotist Hugo de Novo Castro OFM. Ein Bericht über den Stand der Forschung zu seinem Leben und zu seinem Schrifttum, in Franziskanische Studien, XLIII (1961), pp. 258, 263; A. Di Noto, La théologie naturelle de Pierre de Trabibus OFM, Padova 1963, p. 8; H.A. Huning, Die Stellung des Petrus de Trabibus zur Philosophie. Nach dem zweiten Prolog zum ersten Buch seines Sentenzenkommentars…, in Franziskanische Studien, XLVI (1964), pp. 197, 205 s.; G. Abate, Le primitive biografie di s. Antonio nella loro tradizione manoscritta, in Il Santo, VII (1967), pp. 293 s.; J.B. Schneyer, Repertorium der lateinischen Sermones des Mittelalters, III, Münster 1971, p. 165; B. Distelbrink, Repertorium sermonum Latinorum Medii Aevi (1150-1350), in Collectanea Franciscana, XLII (1972), pp. 97, 99-101; G.E. Mohan, Initia operum Franciscalium, St. Bonaventure-New York 1975, p. 190*b; C. Piana, La facoltà teologica dell'Università di Firenze nel Quattro e Cinquecento, Grottaferrata 1977, p. 69; A. Benvenuti Papi, I frati della penitenza nella società fiorentina del Due-Trecento, in I frati penitenti di S. Francesco nella società del Due e Trecento, a cura di Mariano da Alatri, Roma 1977, p. 206; M.D. Papi, Le associazioni laiche di ispirazione francescana nella Firenze del Due-Trecento, ibid., pp. 222-224; M.G. Bistoni Grilli Cilicioni, Codici del convento di S. Francesco in Assisi nella Biblioteca comunale Augusta di Perugia (secc. XII-XV), in Chiesa e società dal secolo IV ai nostri giorni. Studi storici in onore del p. Ilarino da Milano, I, Roma 1979, pp. 306-308, 311 s.; C. Cenci, Bibliotheca manuscripta ad Sacrum Conventum Assisiensem, I, Assisi 1981, pp. 152, 290, 334, 354, 362 s.; A. Benvenuti Papi, Le forme comunitarie della penitenza femminile francescana, in Prime manifestazioni di vita comunitaria maschile e femminile nel movimento francescano della Penitenza (1215-1447), a cura di R. Pazzelli - L. Temperini, Roma 1982, pp. 440 s.; C. Cenci, Costituzioni della provincia toscana tra i secoli XIII e XIV, in Studi francescani, LXXIX (1982), pp. 385, 390, 392-397, 400-402; D.R. Lesnick, Preaching in medieval Florence. The social world of franciscan and dominican spirituality, Athens-London 1989, pp. 55, 193; G. Lemmi, Il monastero di S. Maria della Marca di Castelfiorentino dalle origini alla soppressione napoleonica, in Miscellanea storica della Valdelsa, XCVI (1990), pp. 23-27; C. Cenci, Noterelle su fr. G. da T., lettore predicatore, in Archivum Franciscanum historicum, LXXXVI (1993), pp. 119-128; V. Gamboso, Fonti storiche antoniane, in Antonio da Padova uomo evangelico…, a cura di L. Bertazzo, Padova 1995, pp. 13-22; C. Cenci, Jacques de T., in Dictionnaired'histoire et de géographie ecclésiastiques, XXVI, Paris 1997, coll. 755 s.; R. Aubert, Jacques Trisanto, ibid., col. 756; Dictionnaire de théologie catholique, XII, 2, col. 2049 (s.v. Pierre de Trabibus).