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GIACOMO da Sacile

di Michela Dal Borgo - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 54 (2000)
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GIACOMO (Iacopo) da Sacile

Michela Dal Borgo

Nacque tra il 1485 e il 1490 da un'umile famiglia contadina a Malnisio (e non a Sacile come tramandato da altre fonti), nella giurisdizione di Aviano, allora Friuli veneziano. Le travagliate vicende della sua vita ci sono pervenute grazie a una apologetica e succinta biografia redatta dall'umanista conte Iacopo di Porcia (1462-1538) suo contemporaneo, che certo ebbe modo di frequentare G. durante la permanenza di questo a Porcia nel 1507-08. Quando il Friuli fu travolto nella guerra veneto-turca del 1499-1503, che costò alla popolazione diecimila vittime tra morti e ostaggi, G., grazie alla sua giovane età, si salvò dall'eccidio di massa e fu probabilmente catturato, nel corso dell'ultima scorreria turca, nell'ottobre 1499 e quindi deportato a Istanbul per essere venduto nell'importante mercato di schiavi di quella città.

Acquistato da alcuni mercanti, fu condotto a Babilonia Nuova, alla periferia del Cairo. Grazie all'abiura della dottrina cristiana e a una rapida conversione all'islamismo G., quale neoconvertito, riacquistò la libertà e tutti i diritti di cui godevano i musulmani.

Sottoposto ad adeguato addestramento militare, si distinse ben presto per le sue naturali doti nell'equitazione e nell'uso delle armi, soprattutto arco e giavellotto. Fu arruolato nel corpo dei khāssakiyya o kāsski (ovvero cavalieri aurati), milizia selezionata cui appartenevano sovente schiavi affrancati e che formava la guardia d'onore del sultano. Da questa esperienza derivò il soprannome di Mamelucco (o Mammalucco, dall'arabo mamlūk, schiavo) attribuitogli dalla Serenissima.

L'occasione propizia per il ritorno in patria si presentò a G. nel 1506, in occasione della missione diplomatica di Taghrī Bērdi a Venezia. G. fu prescelto quale componente della scorta, forse su sua esplicita richiesta al sultano, presso cui godeva di grande stima grazie a numerose ed eroiche dimostrazioni di valore e dedizione.

Intrapreso il viaggio con una trireme, G. fu protagonista, durante una sosta a Rodi, di uno spettacolare duello equestre con uno stradiotto (uno dei soldati di cavalleria leggera arruolati da Venezia in Dalmazia, Albania e Grecia), a causa di una lite tra mamelucchi e stradiotti. G. strappò l'asta all'avversario e poi la spada, riuscendo infine a trasferirlo sul proprio cavallo a forza di braccia, scatenando l'entusiasmo dei Rodiesi.

Giunto a Venezia, dove da quasi un anno si prolungava la difficile missione diplomatica, G. si innamorò di una giovane, la sposò senza farne parola con l'ambasciatore Bērdi e quindi fuggì dalla città, rifugiandosi in incognito a Porcia, in una casa dove il padre aveva lavorato come colono. L'inviato mamelucco ripartì dunque senza di lui, peraltro non avanzando proteste ufficiali per il tradimento. Due mesi dopo, nel settembre 1507, G. si riconvertì al cattolicesimo affermando di essere stato costretto ad abiurare solo per opportunità e presentò al Senato veneziano una richiesta di arruolamento, non solo per provvedere al proprio sostentamento, ma soprattutto offrendosi di insegnare ad altri la tecnica della milizia dei mamelucchi. Il 27 settembre i Pregadi accolsero benevolmente la disponibilità di G., cui fu affidato l'addestramento di dieci uomini scelti, con uno stipendio di 10 ducati al mese per otto mensilità annuali, pagate dalla Camera di Vicenza, e l'obbligo di tenere due cavalli e un servitore. Il 3 ottobre, una ducale del doge Leonardo Loredan stabilì che il luogo prescelto per tali esercitazioni fosse proprio Porcia, obbligando l'allora luogotenente della Patria del Friuli, Andrea Loredan, a provvedere ai bisogni di alloggio e di tasse e portando il numero degli uomini a venti. Ancor oggi esiste, a nord di Porcia, un toponimo Mamaluch che potrebbe essere ricondotto a Giacomo.

G. fu attivamente impiegato in Friuli nella guerra della Serenissima contro gli Asburgo, e in seguito contro la Lega di Cambrai. Nei primi mesi del 1508 fu a fianco del condottiero Bartolomeo d'Alviano, nella vittoriosa battaglia nel Cadore contro le truppe di Massimiliano I. Il 2 febbr. 1509 il Senato aumentò a 10 ducati mensili il suo salario, affidandogli un corpo di venticinque uomini a cavallo. Il 9 aprile al luogotenente della Patria del Friuli, Paolo Gradenigo, fu ordinato di provvedere alla condotta di altri dodici cavalli (per un numero complessivo di venti) e di prodigarsi perché G. si muovesse al più presto in territorio veronese. Da qui il condottiero raggiunse l'esercito veneziano in Lombardia, ove venivano concentrati gli uomini più valenti e valorosi.

Nel 1510 G. fu particolarmente presente sui fronti di guerra più significativi: a Montagnana, colonia veneziana nel Polesine (al comando di dieci stradiotti), Marostica, Bassano (dove catturò, con il conte Piero Monochovich, sedici ostaggi e dieci cavalli), Castelfranco Veneto, Udine (alla guida di undici cavalli schiavoni), Treviso, Belluno, Feltre (alla guida di venticinque cavalli).

Nel luglio 1511 G. passò al servizio del provveditore generale Andrea Gritti e poco dopo, nei primi giorni di agosto, fu catturato da Mercurio Bua, capo degli stradiotti al servizio di Massimiliano I, e portato a Verona; fu poi liberato, sulla sua parola d'onore, con la clausola di ottenere il rilascio di altri prigionieri oppure di riconsegnarsi.

Fallita l'operazione, G. si ripresentò ai nemici, ma il Bua, riconosciuto il suo valore, lo lasciò libero. Subito G. ritornò sui campi di battaglia e durante un furioso combattimento, in località non definita, fu disarcionato e, gravemente ferito, a stento trovò rifugio in una palude. Solo tre giorni dopo riuscì a raggiungere Padova dove, colto da febbre, fu prontamente condotto a Venezia. Vi morì nei primi giorni di settembre 1511. Il 5 le sue spoglie furono sepolte nella chiesa di S. Croce alla Giudecca.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Senato, Deliberazioni, Secreti, reg. 41, c. 45; Ibid., Terra, reg. 16, c. 158; Ibid., Luogotenente alla Patria del Friuli, Ducali, f. 274, vol. M, cc. 12, 43v; San Daniele del Friuli, Biblioteca civica Guarneriana, Coll. Fontanini, X, 214 (Epistulariineditae, opuscola historica et sermoni sacri), cc. 127-132: I. di Porcia, In laudem Jacopi Mamaluchi; M. Sanuto, I diarii, X, Venezia 1883, pp. 232, 371, 544, 567, 675, 813; XI, ibid. 1894, pp. 136, 344; XII, ibid. 1886, pp. 317, 338, 463; Giovanni Partenopeo, La guerra del Friuli contro i Tedeschi (1508-1513), a cura di D. Tassini, Udine 1916, pp. 9 s.; A. De Pellegrini, Di G. da S. detto Mammalucco, Padova 1920; J. Wansbrough, A Mamluck ambassador to Venice in 913/1507, in Bulletin of the School of Oriental and African Studies, XXVI (1963), pp. 503-530; Il Friuli-Venezia Giulia paese per paese, II, Firenze 1985, p. 51; A. Colonnello, Jacopo Mamaluco, soldato di Allah. La straordinaria avventura di un giovane friulano di Malnisio ai primi del '500 tra Cristo e Maometto, tra Turchi e Veneziani, in Il Barbacian, XXIV (1987), 2; N. Pess, Vecchie storie di gente nostra, Fontanafredda 1990, pp. 62 s.; W. Zele, In laudem Iacobi Mamaluchi, ovvero Vita di Jacopo da Malnisio detto il Mamelucco, in Studi veneziani, n.s., XXVI (1993), pp. 255-281.

Vedi anche
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giàcomo
giacomo giàcomo s. m. [voce fonosimbolica, raccostata al nome pr. Giacomo]. – Nella locuz. pop. fare giacomo giacomo, detto delle gambe che tremano, si piegano per paura, per debolezza, ecc.: ho le gambe che mi fanno giacomo giacomo.
da’
da' da’ prep. – Forma tronca, di uso tosc. o letter., della prep. articolata dai (= da i).
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