GIACOMO da Oleggio
Nacque a Oleggio, presso Novara, il 5 ott. 1672 da Giacomo Negri e da Giacomina Bellini.
I Negri erano, già sul finire del secolo XV, famiglia "delle più notabili del borgo di Oleggio, così per i larghi possedimenti terrieri come per le cariche pubbliche ricoperte e le alleanze matrimoniali contratte" (V. Negri da Oleggio, I Negri da Oleggio, I, Milano 1917, p. 10).
Il 31 maggio 1689 G. entrò come novizio nel convento francescano di Lugano; nel 1698 fu inviato a Roma, presso il collegio di S. Pietro in Montorio, per completare la sua preparazione. Lì lo notò, per la sua vivace intelligenza, Egidio da Pesaro, già missionario in Etiopia, che chiese alla congregazione di Propaganda Fide di poterlo prendere con sé insieme con Carlo da Pallanza e Samuele da Biumo.
Il nome di G. è legato soprattutto alla sua attività di missionario - dapprima in Etiopia (1701-16), poi a Pietroburgo (1719-29) come iniziatore della missione francescana che verrà chiusa nel 1782 -, testimoniata dalle numerose, ampie relazioni in cui descriveva con vivacità e ricchezza gli eventi, spesso drammatici, che segnavano la vita della missione.
La storia delle missioni cattoliche in Etiopia risaliva al sec. XVI, allorché, al seguito dei Portoghesi chiamati dal negus a riorganizzare l'esercito, per opporsi ai tentativi di conquista del Regno messi in atto dalla popolazione galla, era arrivata nel paese la Compagnia di Gesù (1557). I gesuiti si dedicarono a studi approfonditi sul paese, la lingua, la popolazione, ma l'attività missionaria incontrò grandi difficoltà perché la popolazione avvertiva i cattolici come longa manus degli odiati Portoghesi. Il maggior successo dei missionari, la conversione del negus Susenyos nel 1626, ebbe breve durata, perché il forte partito xenofobo obbligò il sovrano ad abdicare e ottenne dal successore la cacciata dei gesuiti (1632) e la restaurazione del monofisismo. La S. Sede perseverò però nello sforzo di penetrazione, incoraggiata dal fatto che i negus, temendo la potenza islamica, ricercavano contatti con i sovrani europei e richiedevano l'invio di missionari; al posto degli invisi gesuiti furono scelti i frati minori (1633), che incontrarono uguali difficoltà ma riuscirono, soprattutto tramite l'esercizio della medicina, a mantenere la loro presenza sul territorio. Nonostante il fatto che dalla missione di Terrasanta, da cui quella di Etiopia dipendeva, giungessero numerosi inviti a non mandare altri missionari, e anche dopo gli evidenti insuccessi che più volte nel corso del XVII secolo avevano portato alla decisione (mai applicata) di chiudere quell'esperienza, la congregazione di Propaganda Fide non vi rinunciò. Il 20 genn. 1697 fu fondata la missione francescana per l'Etiopia, subito sostenuta da Innocenzo XII con una dotazione di 50.000 scudi, che permetteva una programmazione di più ampio respiro. Si decideva così di disporre l'accoglimento di eventuali studenti etiopi nel collegio Urbano, di riallacciare buoni rapporti con il sovrano e fondare nuove basi; i gesuiti sarebbero stati utilizzati sotto mentite spoglie. Infine fu aumentato il numero dei missionari francescani e fu loro concessa la licentia medendi in casis singularibus.
All'interno del rinnovato sforzo missionario, G. partì nel 1701 insieme con due confratelli; l'anno successivo li raggiunsero altri cinque frati e due gesuiti. Essi, però, non riuscirono neppure ad avvicinarsi alla zona della missione: sostarono a lungo al Cairo, poi a Moca e solo nell'aprile 1714 giunsero a Gondar. In una lunga lettera del 20 maggio G. descriveva alla congregazione una situazione disperata, perché le molte sette, in lotta armata tra di loro, erano però unite contro i cattolici, che erano sottoposti a continue minacce fisiche. Il sovrano mostrava inoltre tutta la sua indifferenza; i missionari erano costretti a spacciarsi per gerosolimitani e non potevano parlare di fede con nessuno. A ciò si aggiungeva la povertà in cui la missione era condannata a vivere, che secondo G. era causata dalle "tirannie sofferte", ma anche dalle inadempienze della congregazione, a suo avviso così gravi da spingerlo a minacciare di abbandonare tutto e ritornare nella propria provincia.
Ai problemi politici e religiosi del Regno si aggiungeva l'ostilità della Francia, che tramite il suo console sosteneva i gesuiti francesi e tentava in ogni modo, lecito e illecito, di ostacolare la presenza dei religiosi italiani. Non mancavano inoltre i contrasti interni alla missione: coloro che erano destinati in Etiopia, non potendo raggiungere la zona loro destinata, si fermavano al Cairo negli ospizi della missione in Terrasanta, da cui dipendevano ma a cui non volevano rispondere. Il prefetto della missione denunciava infatti che i riformati non progredivano nelle conversioni, e per di più vivevano scandalosamente; gestivano i fondi in maniera irregolare e soprattutto creavano problemi "con controversie inutili e di poca edificazione a quei Fedeli et Infedeli quasi ogni giorno" (Arch. di Propaganda Fide, Scritture riferite, Etiopia, Arabia, Socotora, 1699-1720, 2, ff. 568-572). Effettivamente, l'ispezione condotta da Benedetto di Atripalda nel 1716 evidenziò molte irregolarità e rafforzò la decisione di chiudere una esperienza missionaria fallimentare, dispendiosa e controproducente; G., divenuto prefetto al posto del defunto Francesco Maria da Salemi, decise di recarsi personalmente a Roma con due confratelli per evitare la chiusura della missione. Durante il viaggio cadde però prigioniero dei Persiani e fu liberato nel 1718 solo grazie ai buoni uffici dell'ambasciatore russo, con il quale, dopo una sosta di tre mesi ad Astrachan´, giunse a Pietroburgo.
La drammatica esperienza segnò una svolta nella vita di Giacomo. Pietro I si dimostrò infatti assai interessato ai suoi racconti e volle trattenerlo presso di sé. G. ignorava che l'imperatore russo stesse progettando un attacco ai Turchi e che pensasse di utilizzare come base l'Etiopia, considerata non ostile in quanto cristiana. A questo fine avrebbe inviato laggiù G., insieme con i suoi uomini, per verificare in modo approfondito la situazione. Non potendo egli restare senza il preventivo permesso della congregazione, Pietro gli concesse di tornare a Roma per ottenerlo, e incaricò il barone Šafirov di sollecitare una risposta positiva dalla S. Sede. La congregazione aveva buoni motivi per accettare la richiesta: nell'aprile 1717 Pietro I aveva espulso i gesuiti, che troppo si interessavano alle questioni politiche e fungevano da informatori dei principi cattolici; l'interesse dello zar per G. permetteva di sostituire i gesuiti elegantemente e rapidamente, mantenendo così una presenza cattolica a Pietroburgo. Confortata anche dalla incoraggiante relazione dello stesso G., che parlava di una comunità di circa seicento cattolici a Mosca e sosteneva che il loro ruolo era in crescita a Pietroburgo, la congregazione decideva di "appoggiare la Missione di Moscovia, parte ai minori riformati e parte ai cappuccini, che i primi dovessero officiare la chiesa maggiore ed estendere la loro missione per tutto il tratto dell'Ingria e Livonia" (Arch. di Propaganda Fide, Acta Congregationis, 1769, cc. 194-195r); i cappuccini avrebbero dovuto invece occuparsi di Mosca. Nel 1720, dopo un breve periodo di permanenza in Italia, G. tornò a Pietroburgo insieme con Venusto di Friburgo e si trovò ad affrontare una situazione molto difficile.
Il progetto di Pietro I per l'esplorazione in Etiopia era caduto, e con esso il particolare interesse del sovrano nei confronti di G.; in secondo luogo, poco prima del loro arrivo, due cappuccini provenienti dalla missione di Astrachan´, Patrizio e Apollinare, si erano insediati di loro iniziativa nella chiesa cattolica e non intendevano né collaborare né cedere il campo ai fratelli riformati. Nasceva così uno spiacevolissimo conflitto, con risse poco edificanti e divisione in opposte fazioni, che ostacolavano il lavoro dei riformati e creavano problemi continui con le autorità, alle quali padre Patrizio aveva addirittura chiesto l'espulsione di G., denunciandolo come gesuita travestito da francescano.
Le relazioni inviate a Roma da G. abbondano di particolari sugli scontri, anche fisici, tra riformati e cappuccini e di lamentele per la povertà e l'abbandono in cui versava la missione, di fronte all'indifferenza della congregazione; molto poco dicono invece della vera e propria attività di missione. La richiesta principale, e sempre disattesa, è che siano inviati seri predicatori tedeschi. Nel novembre del 1724, comunque, forse anche per accattivarsi la simpatia del nuovo pontefice, Benedetto XIII, Pietro I decise di espellere dalla Russia tanto i riformati che i cappuccini e di accettare in sostituzione, come curatori d'anime e non missionari, solo domenicani. Ciò nonostante G. e i suoi restarono a Pietroburgo, continuando indisturbati a occuparsi della comunità, a corrispondere con la congregazione, a ricevere nuovi confratelli, a combattere con le molte difficoltà materiali.
Nel 1725 G. fu nominato prefetto della missione e morì a Pietroburgo il 21 dic. 1728, dopo due settimane di malattia, "post rara veri missionarii relicta exempla" (Arch. di Propaganda Fide, Scritture riferite, Moscovia Polonia e Ruteni, 5, c. 195r).
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. di Propaganda Fide, Acta Congregationis, 1719, c. 276; 1724, cc. 203v-204r, 207v; 1725, c. 416r; Scritture originali, t. 634, cc. 466v, 489r; t. 643, cc. 414r-418v; t. 649, cc. 176v, 179r-181v, 186r-187v, 189v-190r; Scritture riferite, Etiopia, Arabia, Socotora, 1699-1720, n. 2, cc. 424r-426v, 574r-575v; Lettere volgari, 1718, n. 107, cc. 1, 31-32, 52, 54, 61, 140, 153, 167, 174, 176, 210-212; Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., t. VI: Benvenuto da Milano, Della minoritica riforma di Milano. Cronaca, pp. 3-6; A. Turgenev, Historica Russiae monumenta, II, Sankt Peterburg´ 1842, pp. 339-341; A. Theiner, Monuments historiques relatifs aux règnes d'Alexis Michaèlovitch, Féodor III et Pierre le Grand czars de Russie, Rome 1859, pp. 504 s., 518; Opisanie dokumentov´ i del´ chranjaščichsja v´ Archive Svjatejšago Pravitel´stvujuščago Sinoda (Descrizione dei documenti e degli atti conservati nell'Archivio del Santissimo Sinodo governante [di tutta la Russia]), I, Sankt Peterburg´ 1868, col. 116; III, ibid. 1878, coll. 573-575; D. Tolstoj, Rimskij katolicizm´ v´ Rossii (Il cattolicesimo romano in Russia), II, Sankt Peterburg´ 1876, pp. 353, 387; E. Šmurlo, Otčet´ o dvuch´ komandirovkach´ v´ Rossiju i zagranicu v 1892-1894 gg. (Relazione di due missioni in Russia e all'estero negli anni 1892-94), Jur´ev´ 1895, p. 169; C. Beccari, Notizia e saggi di opere e documenti inediti riguardanti la storia di Etiopia durante i secoli XVI, XVII e XVIII, Roma 1903, pp. 183 s., 210, 473; P. Pierling, La Russie et le Saint-Siège, IV, Paris 1907, pp. 298 s., 305; E. Šmurlo, Rossija i Italija (Russia e Italia), IV, Leningrad 1927, p. 232; A. Kleinhans, Historia studii linguae Arabicae et collegii missionum S. Petri et Urbe, in G. Golubovich, Biblioteca bio-bibliografica di Terra Santa e dell'Oriente francescano, n.s., XII (1930), p. 233; A.V. Florovskij, Čeští jesuité na Rusi (I gesuiti cechi in Russia), Praha 1941, pp. 330 s.; Zacharie d'Haarlem, L'expedition des capucines en Russie, in Collectanea Franciscana, 1942, n. 12, ad indicem; Acta Ordinis fratrum minorum, LXIII, Roma 1944, p. 14; M. Manni, Memorie storico-biografiche della provincia di San Diego in Piemonte, Varallo 1945, p. 458; P.M. Sevesi, L'Ordine dei frati minori (lezioni storiche), II, 2, Milano 1960, p. 59; J. Reinhold, Die St. Peterburger Missionpräfektur der Reformaten im 18. Jahrhundert, in Archivum Franciscanum historicum, LIV (1961), pp. 121 s., 135; LV (1962), p. 193; LVI (1963), pp. 329-351; B. Fedele, Missionari francescani, L'Aquila 1966, p. 303; Sacrae Congregationis de Propaganda Fide Memoria rerum. 1622-1972. 350 anni al servizio delle missioni, II, Roma-Freiburg-Wien 1973, pp. 465 ss.