GIACOMO da Milano
Non conosciamo il luogo e la data della sua nascita, e ben poche sono le notizie in nostro possesso relative alla sua vita. Di lui sappiamo solo che, nella seconda metà del Duecento, fu "lector" - ignoriamo di quale disciplina - presso lo studium francescano di Milano, come apprendiamo dalla c. 119v del cod. Laurenziano plut. XIX dextr. 10, realizzato intorno al 1300 e contenente la sua opera, ove si legge: "Incipit prologus in librum compositum a frate lectore Mediolanensi de Ordine Fratrum Minorum". Sappiamo inoltre che, con ogni probabilità, trascorse gli ultimi anni della sua vita a Domodossola, sempre come "lector", presso il convento di S. Francesco da poco fondato, secondo l'ipotesi del Piana il quale identifica G. con l'omonimo "frater Iacobus de Mediolano lector suprascripte domus et conventus" ricordato presente a un atto notarile rogato a Domodossola nel 1305.
Il Piana ha respinto l'ipotesi che G. sia da identificare con quel fra Giacomo da Milano che, secondo la Cronica di Salimbene de Adam, accompagnò nel 1247 - insieme con fra Gregorio di Novara - Gregorio da Monte Longo, legato pontificio in Lombardia. È ormai accantonata l'identificazione (prospettata da Ilarino da Milano) di G. con Giacomo Capelli, dotto minore milanese vissuto presso il convento di S. Francesco intorno alla metà del Duecento.
Non conosciamo la data di morte di Giacomo.
Durante il lungo periodo trascorso a Milano G. compose lo Stimulus amoris, opera che conobbe poi una larga diffusione. A lungo attribuito a s. Bonaventura da Bagnoregio, lo Stimulus amoris venne definitivamente assegnato a G. solo nel sec. XIX grazie alle ricerche filologiche di G. Sbaraglia e dei padri di Quaracchi.
Tra le testimonianze medievali della paternità dell'opera, la prima è costituita dal già ricordato codice Laurenziano; la seconda dal breve rinvio a un "quidam lector Mediolani" autore dello Stimulus - e, in particolare, dell'orazione introduttiva - inserito da Bartolomeo da Pisa nel suo trattato De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu, composto tra il 1385 e il 1390; la terza dal ms. I.IV.12 della Biblioteca civica di Bergamo, dove alla c. 304v si presenta lo "Stimulus divini amoris editus a b. p. Iacobo de Mediolano".
Nel Prologus è l'autore stesso a dare ragione della struttura della sua opera, caratterizzata da una giustapposizione di capitoli a prima vista piuttosto disordinata. La "perfectio animi ad divinum honorem" sarà l'unica melodia che i fini d'orecchio percepiranno attraverso la varietà delle corde suonate. Sin dall'inizio, infatti, è chiaro che la perfezione non si raggiungerà altrimenti se non nella ricerca di Dio e nella progressiva unione a lui, sino a quando "possit homo mutari in Deum", come si dice nel cap. XIX: un cammino nel quale dunque la dimensione ascetica non è che la base per la contemplazione, che è il fine dei ventitré capitoli (meditationes) in cui è divisa l'opera. Il I capitolo riassume in dieci regole l'atteggiamento interiore ed esteriore dell'uomo che voglia progredire nel bene per piacere sempre più a Dio. Nel II, appena abbozzato, ci si stupisce di fronte alla capacità dell'uomo di desiderare qualsiasi cosa al di fuori di Dio dopo aver sperimentato la sua dolcezza. Nel III si affronta una questione allora avvertita con particolare urgenza: non ci si lasci prendere dalla tentazione di chi crede nella predestinazione ma si lotti per stare accanto a Dio il più possibile sin da questa vita. Dal IV al IX capitolo vengono esaminate le vie che conducono alla soglia del rapimento mistico, con il progressivo inebriarsi dell'anima. Nulla può avere inizio se non nel profondo pentimento per il male compiuto: l'anima dovrà essere lavata dalle lacrime prima che Dio inizi a rivelarsi. Fondamentale sarà poi mantenere la propria mente stabile in Dio e restare uniti alla Passione di Cristo accostandosi sempre più al suo cuore (cap. IV). Tutto ciò dovrà accadere guardandosi dal primo luciferino peccato - la superbia (cap. V) - e sopportando umilmente le tentazioni, che spingono l'anima in pericolo a rifugiarsi nel costato ferito e materno di Cristo (cap. VI). Ogni pensiero sarà progressivamente indirizzato verso Dio (cap. VII) e nella continua meditazione di lui e del suo amore crescerà il desiderio di stare al suo fianco (cap. VIII). A poco a poco l'anima sarà invasa da diverse forme di ebbrezza, che si alterneranno manifestando le grazie crescenti concesse da Dio: alla "abundantia iucunditatis in corde" si avvicenderà la "dulcedo cordis" del riposo in Dio e così, progressivamente, l'anima arriverà alle soglie del rapimento (cap. IX). A questo punto l'autore si ferma e, piuttosto che tentare una descrizione del grado ultimo del percorso mistico, preferisce ricordare al contemplativo quali siano i suoi doveri (capp. X-XV): ardere per il servizio di Dio (cap. X); non giudicare le apparenti mancanze altrui (cap. XI); esercitarsi nella vera obbedienza (cap. XII); dimenticare la propria carne per amore della sola carne piagata del Cristo (cap. XIII); meditare la Passione di Gesù sino a intraprendere un vero e proprio viaggio che, attraverso la piaga del costato, porti al cuore e quindi al ventre di un Cristo-madre, capace di nutrire nelle sue viscere l'anima del contemplativo, generandola infine a vita nuova (capp. XIV-XV). Negli ultimi capitoli (XVI-XXIII) sono precisati gli atteggiamenti da assumere verso Dio e verso il prossimo, necessari per avvicinare l'uomo a Dio, sino alla sua completa trasformazione in lui (cap. XIX).
Nel Prologus le meditationes sono dedicate a un Giovanni denominato, con forte richiamo simbolico, Eucharis: si tratta con ogni probabilità di un frate discepolo di Giacomo. In effetti, la primitiva destinazione dell'opera a un pubblico di religiosi non sembra da scartare, soprattutto per l'insistenza su alcuni temi. In particolare, i capitoli XI, XII e XVI propongono un modello di contemplativo che doveva essere quello caro a G. stesso: lontano dal peccato della superbia, il religioso non si reputa migliore dei secolari impegnati nella gestione delle ricchezze o nella ricerca del sapere, cui egli ha rinunciato (cap. XI); fonda piuttosto la propria perfezione sull'obbedienza che deve ai propri superiori a imitazione di Cristo e dei padri del deserto (cap. XII).
Teologo formato secondo i metodi della scolastica, esegeta versato nell'interpretazione allegorica della Bibbia e buon conoscitore delle opere di s. Bonaventura, suo primo modello, G. non compone un trattato teorico sulla carità divina, ma elabora una serie di esercizi interiori basati, più che sulla ricerca intellettuale o ascetica, su un'umile e progressiva partecipazione affettiva alla Passione. Questa rimane mezzo privilegiato per raggiungere la piena conformità con Cristo che s. Bonaventura aveva indicato come elemento caratterizzante anche della santità unica di s. Francesco d'Assisi. Tale conformità, tema essenziale per il minoritismo duecentesco, è considerata da G. consona all'attività pastorale dei francescani in Milano e per questo su di essa insiste in modo particolare nello Stimulus amoris. Proprio negli anni centrali della seconda metà del secolo, infatti, i minori milanesi si confrontarono con movimenti eterodossi, che facevano dell'identificazione con Cristo e con le sue sofferenze un tema centrale nel cammino di salvezza: i guglielmiti ne furono l'esempio più evidente.
Sin dalla sua stesura la fortuna dello Stimulus fu notevole sia in seno all'ordine, sia altrove: la cospicua tradizione manoscritta lo testimonia. In particolare, il capitolo XIV, "Quod homo debet libenter Christi passionem meditari, et quam fructuosa sit meditatio eius", fu proposto dai frati che curavano la decorazione della basilica superiore di Assisi come base teologica per l'artista che realizzò la cosiddetta "vetrata degli angeli", in cui si celebra l'onore tributato dalle schiere celesti a s. Francesco stigmatizzato e rinato dalle piaghe stesse di Cristo.
Attribuito a s. Bonaventura, talvolta a s. Bernardo di Chiaravalle o a Henri de Baume, lo Stimulus amoris conobbe rimaneggiamenti e volgarizzamenti sin dal sec. XIV.
La critica distingue infatti tra un cosiddetto Stimulus minor (incipit: "Ad te levavi"), opera di G., e uno Stimulus maior (incipit: "Currite gentes"), opera di un autore ancora anonimo, che si fondò sullo Stimulus minor cui aggiunse frequenti ampliamenti e di cui modificò l'ordine dei capitoli. Lo Stimulus maior, spesso attribuito anch'esso a s. Bonaventura, conobbe maggiore diffusione ed è tramandato in due diverse redazioni. In relazione alla sua fortuna, resta storicamente significativo che la prima edizione latina a stampa sia stata realizzata a Bruxelles a cura dei Fratelli della vita comune nel 1476-78.
Quanto allo Stimulus minor, l'editio princeps della versione italiana - probabilmente sulla base di un più antico volgarizzamento toscano andato perduto - venne realizzata a Venezia nel 1521, da Giovanni Antonio e fratelli de Sabbio, con il titolo Libro intitulato Stimulo de amore (poi parzialmente trascritta da A. Levasti, in Mistici del Duecento e del Trecento, Milano-Roma 1935, pp. 241-252). La prima edizione critica del testo latino vide la luce in Bibliotheca Franciscana ascetica Medii Aevi, IV, Ad Claras Aquas 1905, pp. 1-132, e fu curata dai padri di Quaracchi, i quali, recuperando l'indagine filologica di Sbaraglia, la condussero sulla base della redazione contenuta in due dei tre più antichi codici conosciuti: Monaco di Baviera, Bayerische Staatsbibliothek, C.L.M. 5159 e Magonza, Stadtbibliothek, 498 (per la tradizione manoscritta, cfr. pp. XIV-XVII). Questa edizione fu ristampata nel 1949 e in seguito tradotta in italiano con il titolo Il pungolo dell'amore, a cura di C.G. Cremaschi, in Dizionario francescano. I mistici. Scritti dei mistici francescani. Secolo XIII, Milano 1995, pp. 801-881. Per i manoscritti ritrovati successivamente e per gli incunaboli: Arch. Francisc. historicum, LXVII (1974), pp. 486-488; LXVIII (1975), pp. 152 s.; LXX (1977), p. 223; LXXIII (1980), p. 739; LXXVI (1983), p. 600; LXXVIII (1985), pp. 312, 314, 317.
È stata attribuita a G. anche una Meditatio in antiphonam Beatae Virginis, un commento alla Salve Regina, conservatoci dal già ricordato codice Laurenziano, cc. 148r-152r. L'attribuzione - tuttora discussa - fu avanzata nel 1963, dal Canal, che fornì la trascrizione integrale dell'opera, ritornando pochi anni dopo sull'argomento.
Fonti e Bibl.: Bartholomaeus de Pisis, De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu Christi, in Analecta Franciscana, IV, Ad Claras Aquas 1906, p. 341; Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, II, Bari 1966, p. 563; G.G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad Scriptores trium Ordinum S. Francisci…, II, Romae 1921, pp. 13 s.; C. Fischer, Bonaventure (Saint), in Dict. de spiritualité, I, Paris 1932, coll. 1854 s.; Ilarino da Milano, G. da M., in Enc. cattolica, VI, Roma 1951, coll. 328 s.; J.M. Canal, Salve Regina misericordiae. Historia y leyendas entorno a esta antifona, Roma 1963, pp. 104-106, 255-264; Id., El Stimulus amoris de Santiago de Milan y la Meditatio in Salve Regina, in FranciscanStudies, XXV (1966), pp. 174-186; C. Schmitt, Jacques de Milan, in Catholicisme, VI, Paris 1967, col. 279; P. Péano, Jacques de Milan, in Dict. de spiritualité, VIII, Paris 1974, coll. 48 s.; M. Ferrari, Per una storia delle biblioteche francescane a Milano nel Medioevo e nell'Umanesimo, in Arch. Francisc. historicum, LXXII (1979), pp. 440 s.; J. Poulenc, Saint François dans le "vitrail des anges" de l'église supérieure de la basilique d'Assise, ibid., LXXVI (1983), pp. 701-713; S.E. Wessley, James of Milan and the guglielmites…, in Collectanea Franciscana, LIV (1984), pp. 5-20; C. Piana, Il "fr. Iacobus de Mediolano lector" autore dello pseudo-bonaventuriano Stimulus amoris…, in Antonianum, LXI (1986), pp. 329-333; M.G. Cremaschi, in Dizionario francescano, cit., pp. 801-803: C. Schmitt, Jacques de Milan, in Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXVI, Paris 1996, col. 697; F. Martin - G. Ruf, Le vetrate di S. Francesco in Assisi…, Assisi 1998, pp. 84-86 e tavv. 193 s.; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, nn. 4820-4832 (dove però non si fa distinzione tra gli incunaboli dello Stimulus minor e quelli dello Stimulus maior); Repertorium fontium historiae Medii Aevi, VI, pp. 120 s.