GIACOMO da Itri
Nacque nella prima metà del XIV secolo probabilmente a Itri, nella contea di Fondi. La prima notizia su di lui è quella della nomina a vescovo di Ischia, intorno al 1358, da parte di Innocenzo VI; il 22 marzo 1359, prima di ricevere la consacrazione episcopale, fu trasferito dallo stesso pontefice alla diocesi calabrese di Martirano.
Mentre si recava ad Avignone, alla Curia pontificia, come risulta da una successiva, e molto più tarda, richiesta di risarcimento risalente al febbraio 1373, fu catturato presso Castiglione della Pescaia da due galee, sulle quali si trovavano gli ambasciatori, diretti in Sicilia, del re d'Aragona Pietro IV il Cerimonioso, con i quali era il corsaro catalano Berenguer Carreres, attivo tra il 1359 e il 1369. Essi si impossessarono dei libri che G. aveva con sé, per il cui riscatto dovette versare 800 fiorini, aveva oltre ai danni già subiti per altri 3500 fiorini.
Da Urbano V fu promosso il 20 dic. 1363 alla sede arcivescovile di Otranto. Fin dal novembre 1365 sono documentati vari incarichi da lui ricevuti da questo papa, non solo attinenti al governo della sua diocesi. Tra il 1366 e il 1367 fu infatti impiegato dal cardinale legato, Egidio de Albornoz, nell'opera di reformatio del Regno di Napoli. Nel giugno 1370 fu nominato da Urbano V visitatore apostolico dei monasteri greci del Regno. Nel marzo 1373 papa Gregorio XI lo incaricò delle trattative matrimoniali tra un proprio parente e Iacobella (Bella), unica figlia del conte di Fondi, Onorato Caetani.
Nel maggio successivo fu inviato come nunzio apostolico in Toscana, dove venne accreditato a Firenze, Pisa, Lucca, Arezzo e Siena. Il 23 luglio gli fu affidata una lettera pontificia, da leggere eventualmente "in aliquo magno consilio et gentium multarum congregatione". Il 19 agosto fu incaricato di una corrispondenza segreta col conte Amedeo VI di Savoia. L'intensa e riservata attività diplomatica proseguì nel mese di settembre. Il 12 ottobre era probabilmente a Firenze, poiché il papa, nell'informarlo della pace tra Venezia e Padova, gli raccomandava di vigilare sulla politica della città toscana. A novembre era a Siena e a Pisa, presso Pietro Gambacorta, dove si trovava ancora a metà dicembre, quando venne incaricato di trasmettere le disposizioni pontificie ai rettori del Patrimonio di S. Pietro e del Ducato di Spoleto, Nicolò Orsini e Gomez Albornoz. Contemporaneamente fu accreditato anche a Genova.
Nell'aprile del 1374 la Curia avignonese gli inviò copia della documentazione relativa alla Lunigiana, questione della quale doveva trattare con le città toscane. In maggio Gregorio XI, nell'ipotesi che Firenze e il re d'Ungheria inviassero i loro ambasciatori alla Curia pontificia, lo lasciò libero di seguirli ad Avignone o di tornare nella sua sede episcopale di Otranto. Nel febbraio 1375, ancora in Toscana, si occupava della pace tra Siena e Arezzo e per tutto il corso dell'anno proseguì la sua intensa attività politica e diplomatica.
Il 18 genn. 1376 fu premiato con il titolo di patriarca di Costantinopoli e il mantenimento dell'amministrazione della diocesi di Otranto. Aveva ormai raggiunto nella Curia pontificia una posizione tale da potere essere considerato, tra i prelati italiani, come uno fra i possibili successori di Gregorio XI. Lo conferma il fatto che l'8 apr. 1378, subito dopo l'elezione a Roma in conclave di Bartolomeo Prignano (Urbano VI) - che non faceva parte del Collegio cardinalizio - poiché era necessario ottenere l'accettazione dell'interessato, senza che trapelasse all'esterno il suo nome, G. (con l'abate di Montecassino, il romano Pietro Tartaro, Tommaso Ammannati, Agapito Colonna e i vescovi di Asti, Francesco Morozzo, e di Nocera, Luca Gentili) fu uno dei sei prelati italiani convocati insieme col Prignano dal cardinale Giacomo Orsini, per dare copertura al nome del pontefice eletto. G. poté forse credere per qualche ora, in quell'occasione, di essere stato eletto papa, nell'attesa che, terminato il pranzo dei cardinali elettori e rotto il segreto, il prescelto fosse introdotto alla loro presenza, mentre a tavola con l'arcivescovo di Marsiglia, uno dei guardiani del conclave, i prelati convocati in S. Pietro facevano previsioni sull'elezione.
Ebbe successivamente un ruolo di primo piano nella contestazione della regolarità e validità della tumultuosa elezione di Urbano VI e contribuì notevolmente alla organizzazione dello scisma, forse non solo per la posizione che aveva acquisito in Curia, ma anche per i rapporti che, per la sua stessa origine, aveva avuto con Onorato Caetani, uno dei protagonisti di quelle vicende. G. seguì infatti ad Anagni i cardinali dissidenti e il 9 ag. 1378, alla loro presenza, fu il celebrante in quella cattedrale della messa dello Spirito Santo, alla quale seguì la lettura della dichiarazione cardinalizia che denunciava l'illegittimità dell'elezione di Urbano VI e dava così avvio allo scisma. Durante la messa pronunciò un sermone, parte in latino e parte in volgare, che prese spunto da un passo biblico relativo alla successione di Salomone al re David (il sermone fu pubblicato in Thesaurus novus anecdotorum, a cura di E. Martène - U. Durand, II, Paris 1717, coll. 1075-1081).
Urbano VI lo scomunicò e gli lanciò l'anatema, il 6 e il 29 di novembre, come uno dei principali responsabili dello scisma che aveva avuto luogo a Fondi il 20 settembre con l'elezione del nuovo papa, o antipapa, Clemente VII. Il 16 dicembre, come evidente riconoscimento del ruolo da lui avuto, fu il primo dei nuovi cardinali nominati dall'antipapa, con il titolo presbiterale di S. Prisca. La condanna pronunciata da Urbano VI contro di lui fu aggravata il 28 giugno 1379. Sappiamo che si adoperò per la diffusione dell'obbedienza clementista nella Romania. La perdita dell'amministrazione di Otranto, rimasta al nuovo patriarca di Costantinopoli, fu compensata con la commenda, nella stessa diocesi di Otranto, del monastero greco di S. Nicola di Casole, che G. ottenne dal suo papa il 13 apr. 1379.
Alla partenza dall'Italia di Clemente VII, costretto dalle reazioni popolari ad abbandonare Napoli, G. rimase come suo legato apostolico nel Regno, a fianco della regina Giovanna I d'Angiò, la quale era stata deposta da Urbano VI perché scismatica. Nel luglio 1381, quando Napoli fu conquistata da Carlo III d'Angiò Durazzo, che aveva ricevuto da Urbano VI l'investitura del Regno, G. fu catturato dai vincitori a Castelnuovo, insieme con la regina. Il 18 sett. 1381, nella chiesa napoletana di S. Chiara, fu costretto dal cardinale Gentile di Sangro, legato del pontefice Urbano VI, a un'umiliante e solenne cerimonia di abiura, alla quale fu sottoposto anche un altro cardinale, Leonardo de Giffoni, con qualche altro clementista di spicco, quale il vescovo Masello Brancaccio e il laico Stefano Migliarisi, un giurista catanese che era stato secretarius di papa Urbano ed era reggente a Napoli della Vicaria. Alla presenza del nuovo re furono pubblicamente bruciati il cappello e le vesti cardinalizie e con gli altri scismatici G. fu costretto a rinnegare Clemente VII. Secondo una testimonianza, si sarebbe però distinto dagli altri per l'intrepido coraggio col quale avrebbe mantenuto nelle avverse circostanze la sua fedeltà a Clemente VII.
Il cardinale Gentile di Sangro lasciò Napoli il 13 febbr. 1382 e condusse probabilmente con sé G. e gli altri prigionieri (che forse però erano già stati trasferiti nel castello di Aversa, ai primi di gennaio). Sarebbero rimasti comunque in carcere fino al 1386, a quanto pare frequentemente trasferiti da una località all'altra del Regno napoletano, per effetto probabilmente delle travagliate vicende politiche e militari. Successivamente anche G. sarebbe stato liberato, forse in conseguenza delle drammatiche vicende del pontificato di Urbano VI (assediato, dal gennaio 1385, dal re di Napoli nel castello di Nocera) che coinvolsero anche il cardinale di Sangro, fatto arrestare dal papa perché accusato di complotto antipapale e di complicità con il re. Avrebbe quindi trovato accoglienza ad Avignone, dove nell'estate del 1386 era comunque ricomparso il suo compagno di prigionia Stefano Migliarisi, il quale testimoniò contro Urbano VI. La sua liberazione potrebbe del resto avere avuto luogo anche in occasione dei successi ottenuti a Napoli dal partito filoangioino e filoavignonese, guidato da Tommaso Sanseverino, che nel luglio 1387 prese il controllo anche della capitale del Regno, costringendo Margherita e Ladislao di Durazzo a fuggire a Gaeta.
G. sarebbe morto ad Avignone qualche tempo dopo, in una data imprecisata, tra il 1387 e il 1393. Secondo altre testimonianze, sarebbe invece morto in cattività, come un martire, mantenendo la sua fedeltà a Clemente VII. Secondo C.D. Poso G. sarebbe da identificare con il Giacomo (II) abate di S. Nicola di Casole di cui si ricorda, in un'annotazione in greco posta in margine al Typicon dell'abbazia, la data di morte, che sarebbe avvenuta nella stessa abbazia il 1° marzo del 1392.
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