CURLO, Giacomo (Iacopo)
Nacque probabilmente a Genova, da Antonio, all'inizio del sec. XV.
Il C. si defini sempre genovese: pare quindi superflua la disputa che ha a lungo diviso i compilatori di genealogie liguri i quali, con argomentazioni diverse, lo fanno ora nativo di La Spezia, ora di Ventimiglia, ora di Taggia. I Curlo compaiono infatti in queste ed in altre località delle Riviere liguri; ma poiché un Antonio Curlo citato in vari documenti della prima metà del Quattrocento è detto semplicemente cittadino genovese, senza alcun cenno alla provenienza, si può pensare che la famiglia Curlo si fosse ormai fissata a Genova. Pare invece opportuno avvertire che taluni dati biografici discordanti fanno supporre l'esistenza quasi contemporanea di due Giacomo Curlo, entrambi figli di Antonio, cancellieri e cittadini genovesi, fino ad ora confusi in uno solo. Se, come pare probabile, si può identificare il padre del C. con l'Antonio Curlo "domicellus Ianuensis" che nel 1425 rivolge una supplica a Martino V, il C. nacque da Antonio e da Benedetta Centurione. Antonio infatti chiede al papa che i proventi dei dieci "luoghi" del Banco di S. Giorgio lasciati ai poveri dal cognato Giuliano Centurione vengano invece devoluti a Benedetta per sopperire all'indigenza ed alle necessità della famiglia. Si potrebbe mettere in relazione con le ristrettezze familiari anche l'attività di copista del C. a Firenze.
La prima notizia sicura sul C. è la sua presenza a Firenze il 1° ott. 1423, quando termina di copiare per Cosimo de' Medici un Cicerone (l'attuale ms. 50.18 della Bibl. Laurenziana di Firenze).
Analizzando questo ed un altro manoscritto del '25 dovuto alla penna del C., l'Ullman lo dice discepolo di Giovanni Aretino per talune caratteristiche grafiche comuni ai due copisti. Ora, poiché la maggior parte dei manoscritti datati dovuti a Giovanni e scritti in gran parte per Cosimo si collocano tra il 1410 ed il '17, il C. avrebbe dovuto raggiungere Firenze prima del '23 per apprendere l'arte del calamo dall'Aretino che lo avrebbe anche inserito nel novero dei copisti che operavano per i Medici. La consuetudine con l'Aretino pare del resto confermata dal contenuto del colophon del Cicerone, identico, fuorché per la sottoscrizione dell'amanuense, a quelli dovuti a Giovanni.
Sempre per Cosimo de' Medici il 17 sett. 1425 il C. termina un De oratore (l'attuale ms. 50.32 della Bibl. Laurenziana), copiato però a Roma, dove lo spinse forse il desiderio di mettere la propria abilità scrittoria al servizio della Curia papale con l'appoggio dell'arcivescovo genovese Pileo de Marini. In una lettera dell'aprile '25 indirizzata al presule, il C. lo ringrazia per la benevolenza che gli è stata dimostrata alludendo ad una certa familiarità tra l'arcivescovo ed il proprio padre (ed è questo il motivo per cui si può identificare quest'ultimo nel domicellus) e si firma "litterarum apostolicarum abbreviator". È questa la sola testimonianza su questa sua presunta attività alla Curia pontificia, che dovrebbe essere stata di breve durata, perché la sottoscrizione di un Lattanzio (l'attuale MS. 222 della Bibl. Provincial di Toledo) copiato da un esemplare appartenuto allo Zambeccari il 18 maggio 1428 fa pensare che egli si trovasse già a Milano o a Genova, in quanto fa cenno alla pace testé stipulata tra Venezia ed il duca di Milano, in quel tempo anche signore di Genova.
A questo punto della biografia si inseriscono alcuni dati sconcertanti: nell'agosto 1428 l'arcivescovo milanese Bartolomeo Capra, in qualità di governatore di Genova, e il Consiglio degli anziani raccomandano al re di Cipro il "discretus adolescens Iacobus Curlus, civis noster dilectus" intenzionato a raggiungere l'isola; nel '36 o '37 un Giacomo Curlo di Antonio viene aggregato al Collegio dei notai di Genova; prima dell'aprile del '37 consegue l'emancipazione dal padre, nell'aprile sposa Teodora del fu Leone de Cesaris alla quale i fratelli danno la cospicua dote di 1500 lire di genovesi e, nel contratto nuziale, è detto cancelliere. Ora la qualifica di adolescente nel '28 sembra poco consona alla carica di abbreviatore ricoperta più di dieci anni prima; inoltre il C. viene nominato cancelliere onorario solo nel maggio 1446 in sostituzione del Facio trasferitosi a Napoli. Bisogna qpindi supporre o che il Curlo, amanuense a Roma nel '25 sia una persona diversa, dal funzionario della Curia papale ed in questo caso potrebbe riferirsi al copista la raccomandazione per Cipro o, come pare più probabile, che un suo omonimo notaio sia attivo a Genova nel periodo in cui mancano notizie su di lui. A quest'ultimo si devono quindi attribuire la maggior parte delle cariche e delle missioni fino ad ora assegnate al copista. È così incerto se sia il nostro o il suo omonimo che nel gennaio 1441 viene inviato come legato dei doge Tommaso Fregoso presso la regina di Napoli. Se si tratta dei copista, che in precedenza non ha ricoperto alcun incarico pubblico, la missione pare quasi un premio elargitogli dal doge, munifico e colto mecenate, amante delle lettere e dei bei libri che avrebbe potuto far ricorso alla sua abilità di amanuense.
Risalgono senz'altro a questi anni trascorsi a Genova la consuetudine con taluni membri della famiglia dogale e con altri personaggi a questa legati, soprattutto letterati, a cominciare da Antonio Cassarino, dal 1439 pubblico lettore a Genova. 2 probabile che il C. abbia appreso da lui il greco e seguito le dotte lezioni dell'umanista siciliano, di cui si professa in seguito discepolo ed estimatore, con cui instaurò un sincero e durevole rapporto d'amicizia, testimoniato da un nutrito scambio epistolare e da varie traduzioni di Plutarco che il Cassarino dedicò all'amico. Risale a questo periodo anche la consuetudine con Giovanni Aurispa e l'amiciziá con Bartolomeo Facio ed Antonio Panormita.
Nel 1445 il C. si trovava già a Napoli: il 1° maggio 1445 il sovrano Alfonso, definendolo "familiaris noster", gli concedeva la provvigione annua di 300 ducati che gli veniva confermata l'anno dopo come scrittore del re.
Ignoriamo i motivi del trasferimento, avvenuto in un momento difficile per il C. il quale dice di essere stato accolto come un naufrago da Alfonso: ciò è forse da mettere in relazione con le disgrazie che si abbatterono sui fautori dei Fregoso o più probabilmente con il desiderio di sistemarsi e di farsi valere presso un sovrano universalmente conosciuto come protettore delle lettere e dei letterati, presso cui godeva di grande prestigio il Panormita ed era da poco approdato il Facio. I due favorirono senz'altro l'inserimento a corte del C. per il quale l'esperienza napoletana fu indimenticabile. Nella prefazione-dedica dei suoi Epitoma Donati in Terentium ricorda con nostalgia la liberalità e la cultura di Alfonso, l'alto livello intellettuale e la dottrina dei suoi cortigiani, lo spazio quotidiano dedicato alla lettura ed al commento di un testo, alla presenza del sovrano e dei suoi dignitari, in quell'"ora del libro" decantata anche da altri umanisti. Con altrettanta nostalgia il Facio ricorda le dotte dispute con l'amico ed il comune soggiorno a Pozzuoli, durante il quale i due ascoltavano i versi che Francesco Raimo improvvisava per loro.
Alla corte napoletana il C. fu quindi ben accolto, non solo per l'appoggio dei due potenti amici o per la fama di copista, ma anche per la dottrina e l'entusiasmo con cui si inserì nell'opera di revisione che dal 1445 il Panormita ed il Facio stavano apportando al testo di Livio e che sfocerà nella violenta polemica tra il Panormita ed il Valla. Ad un certo momento quest'ultimo indicà il suo più accanito avversario proprio nel C. che, non contento dell'apporto personale nel lavoro di emendazione, aveva sollecitato talune proposte di correzioni al Cassarino che, ancora a Genova, meditava però di trasferirsi anche lui a Napoli. Nel lavoro di revisione l'apporto del C. non è però fondamentale (ed infatti nelle Invettive il Valla non parla più di lui) ed egli finì per dedicarsi soprattutto all'attività a lui più consona, quella di copista, come attesta un mandato di pagamento in suo favore del settembre 1446.
Il 31 maggio 1446, il C. fu nominato dal doge Raffaele Adorno cancelliere onorario al posto del Facio che si era stabilito a Napoli, senza alcuno stipendio, ma con gli onori e le dignità connesse con la carica, in attesa di ricoprire qualche "scrivania" o qualche incarico pubblico remunerato.
Subito il Cassarino si congratulò con l'amico, di cui esalta il senso civico, perché egli avrebbe anteposto agli onori ed alle prebende presso un re potentissimo il servizio a favore della propria città. Non crediamo che il C. abbia intrapreso dopo questa data quella brillante carriera politico-diplomatica che gli è stata attribuita, perché le missioni a Firenze e a Milano tra il 1447 e il '50 paiono più consone al suo omonimo, divenuto notaio e cancelliere di Tommaso Fregoso signore di Sarzana e quindi, particolarmente in auge dopo il ritorno della potente famiglia al dogato. Siamo anche in dubbio se sia davvero il copista quel Giacomo Curlo, definito segretario del doge di Genova, al quale, in procinto di raggiungere Genova, vengono consegnati a Napoli nel giugno 1451 settanta ducati per acquistare ed offrire in dono un, cavallo al capitano di Genova Nicolò Fregoso.
Dopo la nomina a cancelliere, pur senza perdere i contatti con l'ambiente napoletano, il C. ritornò comunque a Genova dove sperava di trovare una buona sistemazione; ma finì poi per trasferirsi definitivamente a Napoli, sollecitato a ciò anche dal Facio che si rammaricava con lui per la scarsità di valenti copisti nella città partenopea.
Il C. divenne quindi scrittore della biblioteca che il sovrano andava costituendo ed i manoscritti superstiti, scritti da lui per volere di Alfonso, quali un Vegezio (attuale ms. Lat. 274 della Bibl. Bodleiana di Oxford), un Giustino (attuale ms. Lat. 4956 della Bibl. Nationale di Parigi), un Officium della Vergine (attuale ms. I. B. della Bibl. nazionale di Napoli), la Retorica di Giorgio da Trebisonda (ora conservato alla Bibl. del seminario di Siracusa), attestano il suo determinante contributo alla formazione della "regia, libreria".
I documenti pubblicati dal De Marinis mostrano che il C. riceveva spesso forniture di pergamena, fermagli per la legatura dei manoscritti, fascicoli copiati da altri amanuensi per essere sottoposti al suo esame ed alla sua revisione. Nell'aprile 1455 copiò in pulcherrimis litteris anche la lunga lettera-discorso indirizzata al sovrano aragonese da Poggio Bracciolini che il C. aveva conosciuto quasi dieci anni prima a Roma ancora in qualità di segretario apostolico: ed è proprio il C. che, dopo aver messo l'unianista fiorentino in relazione con il Facio, gli suggerì di dedicare al sovrano la sua versione della Ciropedia.Come scrittore il C. percepiva uno stipendio annuo di trecento ducati; ma la cifra non era sufficiente a togliergli le preoccupazioni economiche dovute al mantenimento di una numerosa famiglia (ebbe tre figlie e due maschi) e al pagamento della dote della primogenita anticipata da un nipote. Nel, 1455 il favore del re sembrò venirgli meno e il C., rimpiangendo di non essere ritornato a Genova e di non aver dato ascolto ai parenti, si rivolse al Panormita perché intercedesse per lui presso il re, essendogli stato tolto "il pane e il nasturcio per vivere" in luogo di un nuovo incarico che gli era stato promesso. Sia o no intervenuto il Panormita, nel novembre dello stesso anno il C. fu incaricato di una missione a Genova dove si trattenne almeno fino al febbraio successivo per tornare poi, a Napoli ove, oltre il pagamento dell'abituale provvigione, gli vennero elargiti altri cento ducati nel settembre 1457.
Ma gravi problemi di natura familiare continuarono ad angustiarlo: alla fine del '56 aveva perduto un figlio in tenera età, mentre un altro, Gerolamo, di quindici anni, era fuggito prima a Palermo, in seguito a Venezia, dopo che il padre aveva tentato in tutti i modi, con le buone e con le cattive, di sottrarlo alla passione per il gioco ed alle cattive compagnie, per avviarlo invece alla professione di copista per la quale sembrava possedere una naturale inclinazione.
La morte del Facio avvenuta nel '57 e la scomparsa di re Alfonso nel '58 lo privarono dei suoi più validi estimatori alla corte napoletariù, per i quali sempre aveva nutrito un affetto sincero. Per onorare l'amico portò a termine, facendola precedere da una lettera ad Arnaldo Fonolleda, la traduzione, dal greco del De rebus gestis ab Alexandro di Arriano lasciata incompiuta dal Facio; per compiacere il sovrano ridusse in forma di vocabolario gli Epitoma di Donato su Terenzio, terminati però dopo la morte di Alfonso e dedicati quindi a Ferrante. L'opera è preceduta da una prefazione di contenuto autobiografico, ricca di notizie anche sulla personalità del sovrano e sulle consuetudini della corte napoletana. In questa il C. ricorda l'invito rivoltogli da Alfonso a comporre ol vocabolario ed il suo obbligo ad esaudirlo per i molti benefici ricevuti: il sovrano lo aveva accolto come un naufrago, l'aveva consolato per la morte dei padre il giorno in cui, passando a cavallo per via Capuana, lo aveva visto vestito a lutto e si era fermato, promettendo di fare lui da padre al C. ed ai suoi figli; lo aveva poi aiutato a sistemare le figlie ed in molte altre circostanze, come del resto faceva con i letterati che in gran numero vivevano a corte. Il sovrano è infatti definito il "tutissimus portus ac singulare refugium" dei dotti in ogni campo dello scibile umano, tutti onorati, stipendiati, protetti. Purtroppo Alfonso è scomparso troppo presto e il C. esorta il successore, in cui sembrano rifulgere le stesse qualità, ad essere un buon governante ed a perseverare nella politica paterna nei confronti della cultura e delle lettere'. La prefazione si conclude con una difesa della propria opera conipilatoria che troverà certamente degli interessati denigratori, contro i quali il C. ricorda i precedenti illustri di Papias, di Uguccione di Pisa, di Giovanni Balbi. È questa, insieme con la traduzione di Arriano, l'unica opera superstite del C., il quale avrebbe composto anche un poemetto latino per celebrare la vittoria conseguita dai Genovesi sui Francesi che furono scacciati dalla città nel 1461. È possibile che abbia celebrato l'evento perché, mentre lo si riteneva scomparso a Napoli dove si perdono le sue tracce dopo il '59, ricompare invece a Genova negli ultimi anni della sua vita.
Nel settembre 1460 il C. rivolse una supplica al governatore francese ed agli Anziani di Genova, per essere esentato dal pagamento delle tasse arretrate e poter così vivere tranquillo in patria dove è appena approdato nudus ac naufragus dopo un'assenza di circa nove anni. L'anno dopo potrebbe aver composto il poemetto per salutare il ritorno al potere dei Fregoso e guadagnarsi così il favore dei nuovi governanti. Ed infatti nel febbraio 1462 il doge Ludovico lo riconosce, contro un altro aspirante, console dei Catalani in Genova con i proventi e gli emolumenti legati alla carica. In questa veste il C. nel settembre difese quattro mercanti catalani derubati da un patrono genovese; ma nel febbraio 1463 venne esautorato e sostituito da uno Spinola designato all'ufficio di console dei re Giovanni, nonostante le sue rimostranze. È questa l'ultima notizia sul Curlo.
Stimato per le doti umane e per la dottrina dal Cassarino, dal Facio, dal Panormita, in relazione anche con l'Aurispa ed il Bracciolini, il C. occupa un posto importante in campo paleografico perché è considerato uno degli inventori e dei propagatori della sdrittura umanistica. Oltre ai manoscritti già citati se ne conoscono altri dovuti alla sua penna, quali un Corpus Caesárianum a lui attribuito (l'attuale ms. 82 della Bibl. Durazzo di Genova), che sarebbe stato scritto tra il 1430 ed il '40, ed un Tito Livio (l'attuale ms. Vat. Lat. 11.463 della Bibl. Vaticana) copiato presumibilmente dopo il 1447 per il genovese Antoniotto Grillo, un giovane amante delle, lettere, prima suo allievo e poi amico. I suoi committenti più celebri rimangono, però Cosimo de' Medici ed Alfonso d'Aragona. Per i suoi rapporti con questi mecenati e con i maggiori umanisti dell'epoca, per la sua genialità come calligrafo, il C. rimane un personaggio di un certo rilievo nel mondo dell'Umanesimo, anche se deve essere ridimensionata la sua attività di diplomatico e di uomo politico al servizio di Genova.
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