CORNER, Giacomo
Nacque il 29 nov. 1556da Giovanni di Marco, del ramo di S. Paternian, e da Cecilia di Girolamo Corner.
Dei suoi fratelli - Marco, Girolamo, Nicolò, Fantino - solo il secondo (1558-1619) riuscì nella carriera politica e militare: fu infatti sopracomito di galera, provveditore a Marano, governatore di galera, capitano della guardia di Candia, governatore delle "sforzade", membro del Senato e del Consiglio dei dieci, capitano a Raspo e provveditore in Armata. Figura di secondo piano, invece, quella del padre, che non arrivò a ricoprire incarichi di rilievo - fu savio "agli Ordeni", "Sopra camere", provveditore al Sal, senatore- e anche economicamente godette di una fortuna relativamente modesta: la redecima del 1582 gli attribuisce un'ottantina di "campi" a Camponogara e 200 "campi" vallivi e per niente redditizi a Piasenza. Il C. sposò il 28 apr. 1586 Chiara Morosini di Pietro di Giovanni, da cui ebbe tre figli: Marco (1591-1618), Girolamo (1598-1659) che finirà prima in carcere e poi impiccato come ribelle, Pietro (1604-1661) nato a Candia durante il servizio del padre come capitano dell'isola, e che sarà conte a Sebenico e senatore.
Le modeste entrate paterne non impedirono al C. di approfittare della possibilità offerta ai giovani patrizi di entrare in Maggior Consiglio prima del compimento dei venticinque anni, dietro versamento di un congruo deposito nelle casse pubbliche. Ma anticipata così al 24 dic. 1576 la data del suo primo ingresso nel maggior consesso veneziano, la sua effettiva partecipazione alla vita politica si realizzò poi in modo alquanto graduale: fu ufficiale al Frumento nel 1578, provveditore sopra Conti nel 1582, provveditore alla Legna l'anno successivo. Il 2 dic. 1584venne ballottato senza successo per la Quarantia civil nova, in cui riuscirà ad entrare solo nel 1587. Ancora provveditore sopra Conti tra il 1589 e il 1590, nel 1592 ottenne il suo primo incarico di rilievo come avogadore di Comun, carica a cui sarà rieletto nel 1595, e dal 1596 al 1598 fu provveditore all'isola di Zante.
Il C. si accinse a sostenere questo reggimento con particolare zelo: constatata dai dispacci dei predecessori l'urgenza di taluni lavori di restauro nell'isola, prima di partire chiese con un memoriale al Senato i mezzi per provvedervi opportunamente, particolarmente per le postazioni difensive e i luoghi fortificati, in modo da poter resistere ad eventuali attacchi turchi. Ma non da costoro vennero poi al C. le maggiori preoccupazioni, bensì dai corsari, particolarmente attivi sulle rotte che facevano capo a Zante. Incalzanti erano le raccomandazioni del Senato al C. perché con "vigilantia e prontezza" si adoperasse "per l'estirpation di corsari e sicurezza della navigatione et sudditi nostri", disarmando e sequestrando le navi trovate con merci depredate ed esigendo da quelle sospettate di darsi alla guerra di corsa il rilascio di pegni a garanzia delle merci veneziane. Ciò che il C. non esitava a mettere in atto, requisendo al corsaro Ugo Whitbrook un vascello siciliano carico di grani - si era in un momento di grave carestia - benché l'inglese rivendicasse la legittimità della sua rapina sostenendo "ch'era buona presa, e [fatta] fuora del Golfo de Venetia". Particolarmente apprezzate erano poi a Venezia le "fruttuose trattationi" intraprese dal C. col sangiacco della Morea, volte a rafforzare la reciproca collaborazione nella lotta ai corsari. Meno felici invece i rapporti del C. con uno dei suoi due collaboratori, il consigliere Nicolò Falier, con il quale erano insorte gravi divergenze in merito alle rispettive competenze in materia giudiziaria, e presto giunte a un punto tale da costringere il Senato ad intervenire per restaurare "quella unione et buona intelligenza che conviene alla pubblica dignità", riaffermando la superiore autorità del C. e richiamando il Falier all'obbedienza e al "rispetto che conviene haversi nella persona del provveditore".
Tornato a Venezia, il C. fu eletto ancora avogador di Comun nel 1600, dei tre "scansadori alle spese superflue" nel 1601, e dei tre "conservadori delle leze" nel 1603; ma solo con la nomina a savio di Terraferma per il secondo semestre del 1602 poté accedere definitivamente ai livelli più alti della vita politica.
In questa veste, il C. fu protagonista di un episodio del contrasto politico tra "vecchi" e "giovani" in atto da tempo nel patriziato, e riaccesosi questa volta attorno alla questione se cedere o meno alle richieste di risarcimento del valore di un vascello di bandiera francese e carico di merci napoletane, che i sopracomiti veneziani avevano sottratto ai corsari - di cui era stato preda - e poi venduto trattenendo per sé la somma realizzata. Il C. era intervenuto nel dibattito, richiamando il Collegio ad una visione realistica della situazione internazionale: bisognava guardare agli "accidenti del mondo, et alla conditione de tempi, et accomodarsi a quelle risolutioni che portava seco la necessità presente". Meglio dunque restituire tutto subito e di propria iniziativa - tanto più che non si trattava che di rispettare le leggi del Consolato del mare, "fondamento di tutta la marineria" - piuttosto che farlo in seguito per forza. Ma era quel realismo troppo vicino all'accettazione passiva dello stato di fatto che portava direttamente alla completa subordinazione alla Spagna, e che i "giovani" meno apprezzavano: benché la mediazione di Leonardo Donà facesse poi decidere il Collegio nel senso auspicato dal C., Nicolò Contarini ne giudicò comunque duramente il discorso, perché fatto con "artifitio indegno di senatore", volto ad ingannare il Collegio adombrando con "termini forensi" la sostanza politica della questione.
Ma è questo l'unico episodio in cui il C. si trovi in posizioni di contrasto con quelle dei "giovani". Da Candia, dov'era stato inviato come capitano della guardia per il 1604, egli inviò il 23 maggio una lettera privata ad Antonio Querini, esponente del gruppo sarpiano, in cui approvava pienamente l'operato suo e di Nicolò Contarini per il mantenimento del nuovo dazio sull'uva passa a Zante e Cefalonia, che era stato rimesso in discussione per le vivacissime proteste degli Inglesi, il cui commercio ne era stato fortemente danneggiato; e stavolta il consiglio del C. era di resistere ad ogni pressione.
Tornato a Venezia, per due volte, nel 1606 e 1607, fu eletto savio di Terraferma e partecipò dunque direttamente, nel gruppo guidato da Leonardo Donà, alla difesa delle prerogative giurisdizionali della Repubblica durante l'interdetto: "prestantissimo et facondissimo oratore", dice di lui Girolamo Priuli, "sostenne con molto valore le pubbliche ragioni in diverse occorrenze". Comincia in questi anni per il C. un impegno politico intensissimo. Ormai ininterrottamente membro del Senato, fu ancora quattro volte savio di Terraferma tra il 1609 e il 1617, e sette volte savio del Consiglio tra il 1612 e il 1620; ma al servizio nel Collegio si intrecciano fittamente numerosi altri incarichi: successivamente giudice "di rispetto" del banco Pisani (1607), provveditore alla Giustizia vecchia (1608 e 1616), provveditore all'Armar (1609), savio alla Mercanzia (1611 e 1612), provveditore sopra i Feudi (1612 e 1619), savio all'Eresia (1613 e 1616), sopraprovveditore alle Pompe "di rispetto" (1613), depositario in Zecca (1614), provveditore sopra il Danaro pubblico (1614), provveditore al Sai (1614), depositario al Sai (1615), governatore del Banco della piazza (1617), inquisitore sull'operato dei dogi Giovanni Bembo e Nicolò Donà, correttore delle leggi di palazzo ed elettore del doge Antonio Priuli (1618), governatore delle Entrate (1618), provveditore alle Fortezze (1619).
Come savio all'Eresia, il C. ebbe ancora occasione di riconfermare la sua adesione alla linea sarpiana, opponendo un fermo rifiuto alle insistenze del nunzio Gessi perché fossero censurate alcune opere, sostenendo che "erano libri di historie et che non si sapeva che cosa vi fosse di male", e cedendo solo sul Manifesto di Marcantonio De Dominis, al cui processo al S. Ufficio il C. stesso aveva partecipato come giudice laico. "È mala congiuntura - riferisce dunque il nunzio al card. Borghese - che il signor Giacomo Cornaro al Sant'Officio e poi in Collegio habbia preso il negotiato perché è di quelli che poco amano le cose di Roma, e che molto applaude all'opinione di f. Paolo". Già dal 1609 del resto, dalle informazioni di fra' Fulgenzio Manfredi, il nunzio lo conosceva come lettore dei libri eretici circolanti nel gruppo sarpiano.
Morì a Venezia il 12 marzo 1620.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Miscell. codd., I, Storia veneta, 19:M. Barbaro Arbori de' patritii veneti, III, pp. 10, 103; Ibid.: Avogaria di Comun. Nascite, reg. 54. c. 66bisv; Ibid., Avogaria di Comun. Matrimoni, reg. 89, c. 62v; Ibid., Avogaria di Comun. Contratti di nozze, reg. 152, c. 253v; il testamento del figlio Girolamo, Ibid., Notarile, Testamenti. Francesco Beazian, b. 152, n. 75; per le decime pagate dal C., Ibid., Dieci savi alle decime. Quaderno trasporti, reg. 1490, c. 784; sulla condizione del padre Giovanni, Ibid., Dieci savi alle decime, b. 158, n. 940; Ibid., Segretario alle voci, Maggior Consiglio, regg. 7, 8, 11, 12; Ibid., Segretario alle voci, Pregadi, regg. 5-10; Ibid., Segretario alle voci, Maggior Consiglio, Elezioni al Senato e Zonta: reg. I; Ibid., Senato. Mar, filza 131, 6 giugno 1596; Ibid., Senato. Mar, regg. 56, 57, 64; Ibid., Senato. Mar, filza 164, 26 genn. 1604 m. v.; Ibid., Senato. Secreta, regg. 91, 96; Ibid., Senato. Dispacci ambasciatori, Inghilterra, filza 11, c. 117 s.; Ibid., Collegio, Esposizioni principi, reg. 18, c. 38v; Ibid., Collegio, Esposizioni Roma, reg. 13, cc. 150v-152v; reg. 18, cc. 124, 129,; il processo al De Dominis, Ibid., Sant'Ufficio, busta 71; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 829-830 (= 8908-8909), Raccolta de' consegi ossianomina di tutte le magistrature... della Repubblicadi Venezia..., XVII-XVIII, passim;Venezia, Bibl. d. Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, I, p. 194; Ibid., Cod. Cicogna 1993: Materie politiche 1602, c. 211v; la lettera del C. al Querini, Ibid., Cod. Cicogna 2509; una lettera del C. a Vincenzo Dandolo, Ibid., Cod. Cicogna 1720; Arch. Segr. Vaticano, Nunz. Venezia, filza 42f, 11 febbr. 1617; Calendar of State papers... relating to Englishaffairs existing in the archives... of Venice, X, a cura di H. F. Brown, London 1900, pp. 11s.: 351 ss.; XIV, a cura di A. B. Hinds, London 1908, p. 406; E. A. Cicogna, Delle Inscriz. Veneziane, V, Venezia 1842, pp. 615 s.; G. Capasso, Fra Paolo Sarpi e l'interdetto di Venezia, Firenze 1879, p. 115 n. 3; P. Savio, Per l'epist. di PaoloSarpi, in Aevum, X (1936), pp. 32 s.; C. P. De Magistris, Per la storia del componimento dellacontesa tra la Rep. veneta e Paolo V (1605-1607). Documenti, Torino 1941, pp. 115, 179; G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini. Ricerche sul patriziatovenez. agli inizi del Seicento, Venezia-Roma 1958, pp. 86-91, 103.