COMETTI, Giacomo
Nacque a Torino il 23 ottobre del 1863 da Antonio, scultore in marmo, e da Luigia Versino. Per la precoce morte del padre (avvenuta nel 1870) andò a bottega da Odoardo Tabacchi e Davide Calandra, frequentando poi l'Accademia Albertina, dove si diplomò nel 1891. Divenuto quivi allievo di Leonardo Bistolfi, con il quale collaborò specialmente nell'esecuzione di monumenti funerari, fu dallo stesso incoraggiato a dedicarsi all'ebanisteria, orientato verso il gusto modernista che stava appena diffondendosi in Italia e reso partecipe delle problematiche per un'arte nuova, a Torino in quegli anni assai vivacemente dibattute. Nel 1894, all'esposizione di Anversa, ottenne un premio di scultura; ma nel 1900, alla grande esposizione di Parigi, fu premiato come ebanista per mobili decorati con pannelli del Bistolfi; nel 1902 ottenne un diploma d'onore alla Esposizione internazionale di arti decorative di Torino. Da questo momento il C. si dedicò totalmente alla progettazione e d'esecuzione di mobili e arredi, che si distinguevano e per la forbitezza artigianale (intagli scultorei, legature a incastro) e per l'intelligente formula non destinata a una clientela di lusso, ma a una borghesia colta e aperta alle novità internazionali; produceva in piccole serie per le quali utilizzava, con autonoma personalità, i modelli austro-scozzesi (Mackintosh) e soprattutto quelli del belga Van de Velde. Mentre imprendeva a insegnare nelle scuole d'arte, il C. fondava una bottega artigiana, specializzata dapprima nel mobile a intaglio e progressivamente in un tipo di mobile liscio, elegante e funzionale con cui egli sarebbe passato, dopo il 1925, dal gusto modernista di fase liberty a un sobrio e sostenuto novecentismo.
Nel 1903-04 il C. collaborò con l'architetto Annibale Rigotti nel predisporre lo arredamento della villa Falcioni di Domodossola, progettando anche i serramenti e piccoli oggetti metallici; e così fece per la casa Agosti di Torino. Nel 1906 fu a un tempo espositore e membro della giuria nelle mostre celebrative del traforo del Sempione a Milano; nel 1911 realizzò la sala piemontese all'Esposizione torinese per il cinquantenario dell'Unità d'Italia. La sua attività si intensificò nel dopoguerra, anche con la partecipazione dei due figli, nati dal matrimonio con Angela Magnani, Paola e Angelo (premorto al padre: 1910-1934), e ottenne continui riconoscimenti. Nel 1923 il C. ebbe il gran premio d'onore alla prima biennale di arti decorative di Monza. Nei due anni successivi si impegnò soprattutto a preparare l'arredamento di casa Gualino, d'intesa con Felice Casorati. Nel 1934 eseguì il salone di casa Romano, sempre a Torino.
Morì a Torino, in piena attività, il 1° gennaio del 1938.
Il C. non soltanto rappresenta un caso di ebanista educato all'arte, culturalmente preparato e aggiornato, dal grande rigore tecnico e dall'eletto impegno esecutivo; ma fu intelligente ideatore di un tipo di arredo insieme semplice e raffinato, disponibile per limitate serie, pur restando nell'ambito artigianale, che rispondeva a un concetto di società mediamente benestante e dai gusti evoluti. Nella stagione liberty la produzione del C. testimonia della singolare civiltà di questo stile in mano ai suoi cultori più sensibili e avanzati.
Fonti e Bibl.: Oltre ai catal. delle mostre citate nel corso della voce si veda: E. Thovez, Un artista decoratore: G. C., in L'Arte decorativa moderna, I (1902), pp. 8-18; Vagabundulus, L'arte di G. C., in L'Artista moderno, III (1904), 3, pp. 33-39; A. Melani, Raccolta di mobili moderni d'arte italiana, Milano s. d.[ma 1910], ad Indicem; R. Bossaglia, Ebanisti ital. d'età liberty, in Kalòs, I (1970), pp. 1-14; M. Rosci, G. C., in Mostra del Liberty italiano, Milano 1972, pp. 226 ss.; Id., in E. Bairati-R. Boscaglia-M. Rosci, L'Italia liberty, Milano 1973, pp. 156-164; R. Binaghi, in Torino 1920-1936, Torino 1976, pp. 85 s.;A. Pansera, Storia e cronaca della Triennale, Milano 1978, pp. 20, 144 (ill.); S. Zatti, G. C., in La Metafisica, gli anni Venti (catal.), Bologna 1980, II, pp. 160 s.; M. F.Giubile, G. C., in Il Liberty italiano e ticinese (catal. della mostra a Lugano), Lugano-Roma 1991, p. 182.