COLONNA, Giacomo (Iacopo)
Figlio di Niccolò di Stefano e di Clarissa Conti, signore di Palestrina insieme con il fratello Stefano, viene ricordato dalle fonti a noi note nel secondo e nel terzo decennio del sec. XV. Fedele ai patti giurati con la Chiesa, contrastò per quanto poteva l'autorità del re di Napoli Ladislao, che allora aveva imposto il suo controllo su Roma e sul suo distretto. Nel maggio del 1414 il sovrano ordinò al conte di Belcastro, suo rappresentante in Roma, di marciare con le truppe che aveva ai suoi ordini contro il C., "quia noluit obedire mandatis dicti domini regis". Le operazioni iniziarono il 14 di maggio, e in breve il feudatario romano fu messo alle strette: il 12luglio cavalcò con i suoi fedeli verso Roma e, entrato nella città, si recò al palazzo di S. Crisogono in Trastevere, dove aveva stabilito la sua residenza il conte di Belcastro, che Ladislao aveva nel frattempo nominato viceré. Incontratosi col conte, giurò nelle sue mani fedeltà al re. Si ritirò quindi a Palestrina, mentre in Roma veniva resa di pubblica ragione la notizia della sua sottomissione e del perdono che il sovrano di Napoli gli aveva concesso. Il 9 settembre - secondo la testimonianza di Antonio di Pietro dello Schiavo, che assistette di persona all'avvenimento - il C. fece nuovamente il suo ingresso in Roma alla testa dei suoi e in compagnia di Battista Savelli e di Muzio Attendolo Sforza e si recò in Campidoglio per abboccarsi con i domini Urbis, BuccioStinchi e Paoluccio Pietro Mattei. Ladislao era morto improvvisamente nel corso dell'estate (6 agosto) e con ogni probabilità i Colonna avevano pensato di poter sfruttare questa circostanza, che lasciava Roma abbandonata a se stessa, per imporre con l'appoggio del condottiero romagnolo la loro signoria sulla città. Tentarono dunque il colpo di forza, ma i Romani resistettero validamente: le bande del C. e dello, Sforza si scontrarono con le milizie municipali in piazza in Piscinula e in piazza Claudia al grido di "Viva lo Sforza!". Furono battuti e costretti a ripiegare su S. Giovanni in Laterano: accampatisi davanti alla basilica, passarono la notte all'addiaccio e "sine pane et vino, quia dicti domini Romani noluerunt cis facere grasciam". Uscito da Roma per porta S. Giovanni con i suoi uomini ed i suoi aderenti, il C. tentò nuovamente di attaccare la città attraverso la portica di S. Pietro, che rimase in suo possesso per un giorno. L'assalto, tuttavia, fallì e l'11 il C. fu costretto a ritirarsi - "in nomine diaboli", come commenta il cronista - nella sua roccaforte di Castelnuovo di Porto.
Durante il vuoto di potere che si venne a creare in Roma in seguito all'assenza dei papi e al collasso del regime angioino nel Regno, il C. continuò ad avere un ruolo di una certa importanza nella vita politica cittadina. Il 10 ag. 1415 fu accusato dalla pubblica voce di aver fatto assassinare Lorenzo Macarani a causa dell'attività da questo svolta quand'era stato podestà di nomina romana di Tivoli. Il 39 dic. 1416 rientrò di nuovo in Roma, questa volta accompagnato da Iacopo Caetani e da Ludovico Colonna, con lo scopo di rovesciare il severo regime instaurato nella città dal card. Iacopo Isolani, che era stato confermato dal concilio di Costanza vicario pontificio in Roma nello spirituale e nel temporale. Poiché sapeva di non potersi impadronire dell'Urbe con le scarse truppe che i baroni romani erano in grado di raccogliere e fornire, egli cercò l'appoggio e l'alleanza di Braccio da Montone. Appunto a lui e a Battista Savelli risalgono le più pesanti responsabilità al riguardo della conquista di Roma compiuta dal condottiero nell'estate del 1417. Corse voce che il C. si fosse messo in contatto anche con Pantipapa Benedetto XIII, allora in Aragona, nel tentativo di guadagnare un ulteriore appoggio all'iniziativa. Costretti ad abbandonare Roma e a ritirarsi di fronte alla, preponderanza delle truppe messe in campo dallo Sforza, allora al servizio della regina Giovanna II di Napoli, il C. l'11 settembre si trovava ad Amelia insieme con Braccio da Montone. Battista Savelli, Berardo da Camerino ed Angelo Broglio detto Tartaglia da Lavello. Dichiarato "rebellum sancte matris Ecclesie et domine Regine et etiam Populi Romani", scomunicato dal card. Isolani, sul finire del mese dovette fronteggiare un attacco guidato dallo Sforza, attacco che ebbe, tra gli altri obiettivi, anche Palestrina.
L'elezione al soglio pontificio del card. Oddone Colonna, che assunse il nome di Martino V, cambiò radicalmente la posizione del C. nei confronti della Sede apostolica e della sua politica. Non appena venne a sapere che il nuovo papa era rientrato in Italia diretto a Firenze dove, a causa delle difficili condizioni dell'ordine pubblico in Roma, aveva deciso di stabilira temporaneamente la sua residenza, si affrettò ad andargli incontro. Lo raggiunse a Mantova e fu accolto assai onorevolmente. A causa della sua amicizia con Braccio da Montone, fu scelto da Martino V come consigliere pontificio quando avviò le trattative in vista di un accordo con il condottiero perugino; in queste, che furono tra le maggiori preoccupazioni temporali de nuovo pontefice, il C. dovette avere una parte rilevante se Luca Trinci, scrivendo l'8 nov. 1418 da Mantova, faceva sapere a Niccolò de' Conti che "N. S. ha remesso nele mani de monsignor de' Brancacci [il card. Rainaldo Brancaccio] e de Jacomo Colonna li fatti de s. Braccio" (in Cod. ... Orvieto, pp. 674 s.). Una bolla, data a Mantova il 9 dicembre di quello stesso anno, annullò il processo contro il C. avviato dal card. Isolani ed in seguito al quale tutti i beni e tutte le proprietà dei feudatario romano qano state confiscate dalla Sede apostolica. Nel documento si affermava, fra l'altro, che le accuse contro il C. erano destituite d'ogni fondamento ed opera di rivali invidiosi.
Creato dall'imperatore Sigismondo consigliere e familiare imperiale (22 giugno del 1423), nominato dalla regina Giovanna II conte e camerlengo del Regno di Napoli (dispaccio dell'inviato fiorentino del 5 ott. 1424), il C. continuò, durante tutto il pontificato di Martino V, ad essere ammesso alla confidenza dei papa e a svolgere un ruolo politico di una certa importanza, come è dimostrato dal fatto che il Comune di Rieti nel marzo del 1423. quando erano in corso le trattative per la sottomissione della città alla Sede apostolica, lo pregò di intercedere in suo favore presso il pontefice (nel corso del colloquio con gli inviati del Comune sabino, il C. promise di fare tutto il possibile, ma osservò realisticamente "che papa Martino al denaro non c'è rimedio"). Parte, sia pure di niinor importanza, ebbe anche nella linea politica portata avanti dalla sua famiglia nel Regno, soprattutto in relazione al tentativo di far diventare la contea di Celano - dove il C. aveva la maggior parte del suo bestiame - un'enclave dei Colonna al di fuori degli Stati di dominio pontificio.
Il C. morì nel 1431, prima di poter essere coinvolto nel conflitto che contrappose la sua famiglia al successore di Martino V, Eugenio IV.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vat., Reg. Vat. 352, f. 255; Reg. Vat. 355, f. 215; Ibid., Div. Cam. 7, f. 97; Commissioni di Rinaldo degli Albizzi per il Comune di Firenze, dal 1399 al 1433, a cura di G. Guasti, Firenze 1867-1873, III, p-211; L. Fumi. Braccio a Roma. Lettere di Braccio e del card. Isolani, Siena 1877, pp. 35 ss.; Id., Codice diplom. della città d'Orvieto., Firenze 1884, pp. 670-674; Regesta Imperii, XI, Die Urkunden Kaiser Sigmundus, a cura di W. Altmann, I, Innsbruck 1896, p. 393, n. 5561; Braccii Perusini Vita et Gesta ab a. 1368 usque, ad 1424auctore Ih. A. Campano, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XIX, 4, a cura di R. Valentini, pp. 120, 123 n.; Il Diario romanodiAntonio di Pietro dello Schiavo..., ibid., XXIV, 5, a cura di F. Isoldi, pp. 86 s., 91 s., 99, 107, 112; P. Petrini, Memorie prenestine, Roma 1795, p. 438; M. Michaeli, Memorie storiche della città di Rieti, III, Rieti 1898, p. 328; P. Partner, The Papal State under Martin V..., London 1958, pp. 40, 53, 86.