CAVALLI, Giacomo
Nato a Verona nel 1678 da famiglia ebrea, fu avviato dai genitori allo studio delle lettere ebraiche e latine, progredendo tanto rapidamente da venire incaricato, all'età di tredici anni, dell'insegnamento di esse ai correligionari di Verona. Per approfondire la conoscenza della storia del popolo eletto il C. imparò in seguito anche la lingua caldaica e si dedicò allo studio dei commentari biblici dei rabbini. Da ciò, come egli stesso racconta (Roma, Bibl. nazionale, Varia 80, p. 10), "primo coepi eorum nugas ridere, ac fastidire...; tum suspecta eorundem fides fuit, cum futiles contrariasque ab ipsis interpretationibus, sacris sententiis accomodari animadverti. Denique doli mali reos reprehendi, ubi divinis oraculis vim a nebulonibus fieri cognovi...". Così, nel 1694, si convertì al cattolicesimo (il C. attribuì sempre tale avvenimento alla potenza irresistibile della grazia divina secondo la dottrina di s. Agostino, di cui egli fu seguace), entrando nel seminario di Padova, ove allora, per volontà del vescovo cardinal Barbarigo, molto coltivati erano gli studi orientalistici. Qui aiutò validamente i condiscepoli nello studio della lingua ebraica, compilandone una sintetica grammatica. Riuscì anche, in questo periodo, a convertire un suo fratello, che fu avviato poi al sacerdozio.
Intorno al 1697 il C. si trasferì a Venezia, ove, dopo aver studiato teologia nel seminario, si stabilì per diversi anni come insegnante di lettere ebraiche. Già intorno al 1703 cominciò a progettare la composizione di un'opera riguardante "le istituzioni della lingua santa",che superasse le grammatiche allora esistenti che trovava insufficienti o troppo complicate (il C. riteneva di poter far meglio del Thesaurus grammaticus linguae sanctae haebreae, Basileae 1663, di Johann Buxtorf, delle Institutiones linguae hebraicae, Lugduni 1649, di Giorgio Mayr, e delle Hebraicae institutiones, Lugduni 1526, di Sante Pagnini), e poco dopo ne iniziò la stesura. Compì anche un lungo viaggio nell'Europa settentrionale, approfondendo la conoscenza delle materie bibliche. Nel 1711 si recò a Roma, dove la sua dottrina fu ben presto conosciuta negli ambienti della Curia, tanto che lo stesso Clemente XI lo ebbe in grande stima, colmandolo di onori e benefici e concedendogli la facoltà di insegnare privatamente e pubblicamente: il C. poté allora far venire da Venezia la moglie e i figli. Nel marzo 1721 monsignor D. A. Passionei, dopo aver iniziato lo studio dell'ebraico, trovò la sua grammatica tanto chiara che ne propose al papa la stampa per gli alunni di Propaganda Fide. La decisione di Clemente XI fu favorevole, ma la sua improvvisa morte (18 marzo 1721) ne impedì la realizzazione, che venne rimandata sine die. Il C. non si perse d'animo e, nonostante le cure domestiche e i gravosi incarichi che doveva svolgere come agente di Giovanni V re del Portogallo, continuò a lavorare alla sua opera, migliorando la grammatica ebraica, cui aggiunse le istituzioni di lingua caldaica (Dik-Duk, sive utriusque grammaticae Hebraicae, scilicet atque Chaldaicae accuratae disquisitiones...); quindi si volse alla composizione di un monumentale lessico ebraico-caldaico-latino, che forniva di ogni vocabolo presente nella Bibbia i significati letterale, storico, allegorico, anagogico e - talvolta - anche simbolico e mistico, cosicché non di rado un vocabolo dava origine a un sintetico, ma completo, trattato esegetico (Pandectae Biblicae sive Index generalis Hebraeo-Chaldaico-Latino-Biblicus ...).
L'opera, completata dopo il 1740, in oltre trenta volumi in folio (ora irreperibili) avrebbe dovuto comprendere più di 80.000 voci:fatta conoscere ai più eminenti orientalisti e teologi presenti a Roma (tra gli altri gli agostiniani Bellelli, Berti, Gatti e Zazzeri), incontrò un favore generale, particolarmente caldo fra i seguaci della scuola agostiniana per gli orientamenti teologici del C. (si vedano in Varia 80, pp. 139-191, 193-282, 301-364 le tre "voci" De praedestinatione, De iudicio universali, De Deo uno et trino);ma, forse per il costo eccessivo della stampa o forse per essere egli un laico di origine ebrea, essa non venne mai pubblicata.
Soltanto un'anticipazione delle Pandectae biblicae vide la luce a Roma nel 1730 con il titolo La vera fede portata in trionfo... nella spiegazione dell'incomprensibile misterio della SS.ma Trinità al sempre misero, cieco, ed ostinato Ebraismo in forma di disputa tra l'Ebreo, ed il Cristiano, finalmente decisa a favore della Verità; cioè, che non può darsi Dio, se non Uno in essenza, e Trino in persone.
Dedicato a Clemente XII, questo opuscolo si propone di respingere anzitutto le accuse di politeismo mosse ai cristiani, quindi di provare la Trinità ricorrendo alle testimonianze bibliche e alle interpretazioni dei padri della Chiesa e degli stessi rabbini: tra tutte è preferita l'autorità di s. Agostino. All'obiezione fondamentale circa l'oscurità dei passi biblici riguardanti la Trinità, il C. risponde adducendo la corruzione del popolo ebreo portato spesso all'idolatria, specialmente dopo la lunga permanenza in Egitto; i profeti conobbero quindi il mistero trinitario, ma non lo rivelarono pienamente per lasciarne il compito al messia. Alla fine della disputa l'ebreo si professa convinto.
L'opera del C. ebbe una notevole fortuna, venendo tradotta in spagnolo dal padre Diego de Hurrate: La verdadera Fé triumphante en la explicación de el incomprehensible Mysterio de la SS. Trinidad al siempre ciego, miserable, y obstinado Ebraismo..., Roma 1731. Ancora nel 1751 fu ripubblicata in traduzione portoghese.
II C. morì a Roma il 30 ott. 1758.
Fonti e Bibl.: Roma, Bibl. naz., Fondi minori 675, Varia 80; Ibid., ibid. 1026, S. Lorenzo in Lucina 30 (entrambi i codici contengono notizie ed estratti delle Pandectae biblicae e cenni biografici sul C.); F. A. Zaccaria, Annali letterari d'Italia, III, 2, Modena 1764, pp. 505 s.; G. A. Moschini, Della lett. venez. del sec. XVIII fino a' nostri giorni...,I, Venezia 1806, p. 118; G. Dandolo, La caduta della Repubbl. di Venezia ed i suoi ultimi cinquant'anni, App.,Venezia 1857, p. 122; H. Hurter, Nomenclator literarius, IV, col. 1370.