CASTELVETRO, Giacomo
Nacque a Modena il 25 marzo 1546 da Niccolò, banchiere, che era fratello maggiore del celebre Ludovico, e da Liberata Tassoni. Nella sua casa le idee della Riforma protestante dovettero penetrare in modo segreto, per tramiti mal decifrabili, annidandosi nel profondo delle coscienze. Duramente ferito dalle censure di Ludovico, Annibal Caro non aveva esitato a replicare trattandolo da "empio, nemico di Dio e degli uomini"; di eguale parere fu il tribunale dell'Inquisizione romana, che nel novembre 1560 lo condannò con durissima sentenza, che non ebbe seguito solo perché l'imputato s'era dato tempestivamente alla fuga. Il 28 marzo del '64, in gran segreto, nascosti "sopra un mulo, in due ceste", il C. e il fratello maggiore Lelio lasciarono Modena per raggiungere a Ginevra l'ammirato zio. Per sei anni il giovinetto visse al suo fianco, dividendone le tumultuose traversie e seguendolo a Lione (donde nell'autunno del '67 vennero scacciati dall'insorgere della seconda guerra di religione) e a Basilea (dove al cadere del '68 lo vediamo iscritto all'università). Là rimase per attendere agli studi e non seguì pertanto Ludovico a Vienna (dove questi nel '70 dedicò all'imperatore Massimiliano il suo immane commento alla Poetica d'Aristotele); né più lo rivide, perché lo zio, ch'era diretto a raggiungerlo, toccò a Chiavenna l'ultima tappa del suo vagabondaggio e vi si spense il 21 febbr. 1571.
Rimasto solo, il C., dopo le esequie, ritornò a Basilea, con animo di impratichirsi nel commercio librario; scarsi sussidi poteva offrirgli la famiglia, se il testamento paterno del 7 genn. 1571 gli riserba non più di 7 scudi al mese, perché "al presente è vagabondo", e stabilisce che potrà godere la sua parte di eredità solo se verrà ad aprir casa in Modena. Nel '72 lo troviamo a Rótteln nel Baden, dove s'è ritirato per imparare il tedesco, ma donde carteggia in tema di filologia latina con Basilio Amerbach, quello stesso che nel febbraio successivo, insieme con Johann Jakob Grynaeus, lo raccomandava alle Chiese degli esuli a Londra. Sbarcato in Inghilterra, vi cercò lavoro come precettore e ben presto venne assunto quale maestro d'italiano e di buone creanze da sir Roger North, che gli affidò il compito di rifinire l'educazione del suo primogenito John, allora poco più che ventenne. Col suo pupillo il C. partì nell'estate del 1575 alla volta dell'Italia; il maestro avrebbe tutelato il discepolo dalle insidie delle male femmine e dei ciurmatori; questi, con la sua nazionalità e il suo rango, avrebbe fatto da scudo al suo mentore contro le vessazioni inquisitorie. Per la via di Strasburgo, Basilea, Chiavenna, Bergamo e Brescia, nel dicembre i due giunsero a Padova; come il viaggio seguitasse non ci è dato sapere, ma certo si è che nel novembre del '77 il North rimpatriò da solo, perché da parecchi mesi il C. lo aveva lasciato e, con arrischiata mossa, era tornato a Modena. Non si erano intiepidite le sue convinzioni religiose, ma il bisogno s'era fatto stringente: il 7 febbr. 1576 s'era spento suo padre, dopo aver confermato con un secondo testamento (15 genn. 1574) le disposizioni drastiche del primo. Per raccogliere l'eredità il rimpatrio era necessario e in patria lo chiamavano anche le preziose carte di Ludovico, ch'erano state raccolte da un altro zio, Giovanni Maria.
Il primo documento che attesti la presenza del C. a Modena è del 26 agosto 1577; l'anno dopo, tra l'aprile e il maggio, lo troviamo intento a trascrivere scritture inedite di Ludovico; allora forse invalse l'uso di designarlo come Giacomo il Vecchio per distinguerlo da un omonimo e oscuro cugino (1553-1593), figlio di Giov. Maria. Benché stesse quieto, l'Inquisizione gli teneva gli occhi addosso: bastò che si facesse avanti il solito denunciante anonimo, accusandolo di aver scritto ai fratelli, dalla terra d'esilio, invitandoli a raggiungerlo oltralpe, dove si praticava la fede vera, perché subito venisse arrestato e processato. Si salvò, come tanti, con una ritrattazione estorta e insincera: non abbiamo gli atti del suo processo, ma certo dovette piegarsi all'abiura, perché un documento molto più tardo parla di lui come di un "relasso", ricaduto cioè negli errori un tempo ripudiati. Ferito nel profondo, convinto orinai che quella non fosse più terra ospitale per una libera coscienza, si preparò a un nuovo espatrio: il 19 marzo 1579 vendette le sue terre per disporre di denaro liquido; il 18 novembre firmò il testamento; poche settimane dopo varcò le Alpi e, dopo una sosta di qualche mese a Basilea, rimise piede in Inghilterra, dove lo attirava una vaga speranza di venire assunto quale maestro d'italiano da Giacomo Stuart, re di Scozia.
Sulle prime ebbe a Londra accoglienze scoraggianti: taluni lo sospettavano di essere un pericoloso antitrinitario, altri, all'estremo opposto, un gesuita travestito. Presto tuttavia trovò autorevoli protettori in Francis Walsingham e in Philip Sidney, e finì per restare a Londra una dozzina d'anni, in posizione distinta fra i non pochi italiani che nei palazzi inglesi venivano accolti quali maestri di lingua, di buone maniere e di sottigliezza politica, ricercati e vezzeggiati sull'onda della moda e dell'ascendente culturale del nostro tardo Rinascimento, anche se molti lodatori del severo costume antico vedevano in loro dei corruttori diabolici.
In quegli anni l'opera svolta dal C. per, la diffusione della cultura italiana in Inghilterra ebbe un rilievo senza eguali. Valendosi soprattutto dell'opera di John Wolf, un tipografo intraprendente che aveva imparato il mestiere a Firenze nell'officina dei Giunti e che dall'81 aperse a Londra un'attiva bottega, specializzandosi in testi italiani esecrati per immoralità e avidamente ricercati dai lettori (Machiavelli, Aretino), l'esule curò e promosse edizioni del Pastor fido del Guarini e dell'Aminta tassesca (1591), dell'Historiadella China di Juan Gonzales de Mendoza (1587), del trattato di crittografia del Della Porta (1591), financo di saggi di giovani poeti sconosciuti, come la Solymeidos di Scipione Gentili (1584), ch'è una versione del canto I della Liberata tassesca, e la Columbeidos del ventenne romano Giulio Cesare Stella (1585).
Sebbene esule per causa di fede e corrispondente con insigni personaggi della diaspora ereticale come Francesco Betti e Camillo Sozzini, rimase estraneo alle dispute teologiche; un catalogo di stranieri residenti lo registra nell'82 come "attending no church", tanto meno alla rissosa Chiesa italiana. Non esitava invece, almeno dall'84, a inviare sotto falso nome informazioni politiche alla Segreteria estense.
Da Londra si allontanò solo saltuariamente per esigenze di lavoro: ad esempio, nel settembre dell'86 lo troviamo a Francoforte per la grande fiera libraria, ma anche per incontrarvi un altro esule italiano anglicizzato, Orazio Pallavicino, banchiere e agente segreto. Forse anche il C. cominciava a mettere al servizio della nuova patria la vocazione italiana per l'intrigo e la sua larga esperienza cosmopolita. Da Francoforte passò a Basilea, dove ai primi dell'87 si accasò con una matura vedova bolognese, Isotta de' Canonici.
Primo marito di costei era stato un distinto medico e filosofo svizzero, Thomas Liebler (1524-1583), noto sotto il nome grecizzato di "Erastus", che s'era laureato a Bologna, soggiornandovi per un decennio dal '44 in poi e prendendovi moglie; più tardi Erasto divenne professore a Heidelberg, ma nell'80 ne era stato clamorosamente espulso per le sue idee tolleranti in fatto di sanzioni ecclesiastiche e aveva trovato rifugio a Basilea (dove la cognata Lavinia aveva impalmato nel '69 il Grynaeus), occupandovi la cattedra di filosofia morale. Entrato in possesso, iure hereditario, delle carte dello scomparso, il C. ne fece stampare a Londra (1589), con la falsa data di Poschiavo, il battagliero trattato sull'invalidità della scomunica e l'anno dopo procurò a Francoforte la pubblicazione dei suoi Varia opuscula medica.
Intanto era tornato di attualità il vecchio progetto scozzese: nell'agosto del '92 il C. è a Edimburgo a postulare l'incarico di maestro d'italiano del re e della sua consorte Anna di Danimarca. Stavolta ebbe successo, perché là lo troviamo nel maggio del '93, intento a compiere esperimenti di alchimia, e là il 7 marzo 1594 la povera Isotta dettò, in punto di morte, le sue ultime volontà. Rimasto vedovo, certo valendosi di autorevoli commendatizie della regina, il C. si trasferì quell'anno stesso in Danimarca: lo cogliamo nell'ottobre in viaggio nell'isola di Seeland e, per tutto il '95, sistemato nell'"umida e fredda" Copenaghen, intento a raccogliere una collezione di scritture politiche italiane inedite, a tentare esperimenti di frutticultura, a frequentare la corte. Neppure là fece lungo soggiorno, perché al cadere di gennaio del '96 eccolo in Svezia al servizio del principe Carlo, il futuro usurpatore della corona. Tra Stoccolma e Nyköping resse a quel duro clima per due anni e mezzo, allettato fors'anche dalla duplice paga, perché una lista di agenti segreti inglesi del gennaio 1598 registra il suo nome fra i confidenti di sir Robert Cecil. Nel maggio di quell'anno trovò la scusa buona per partirsene: quella di venire in Italia a fare incetta di cose belle e rare. Per strada se la prese con comodo, impiegando nove mesi nel viaggio; il suo Album amicorum, che inizia da tale anno, rivela che visitò le città anseatiche e sostò in Francia, in Svizzera e in Germania; nel marzo del '99 lo si incontra a Stoccarda, interessato in affari librari; solo al cadere dell'anno eccolo finalmente a Venezia, dimentico al tutto della Svezia e del suo principe, impiegato in "Marzaria" nella fiorente officina editoriale del senese Giovan Battista Ciotti.
Per dodici anni quella fu la sua nuova vita, in una città libera e cosmopolita, intento a un lavoro che gli era congeniale: curò così le edizioni più disparate, dalle rime del Grillo o del Marino fino agli scritti politici (allestiti ma non pubblicati) del Campanella. L'Inquisizione non lo perdeva di vista, il nunzio lo definiva nel 1609 "di mente pessima e poco catolico",ma la sua cauta condotta e il fatto che fosse tra i protetti dell'ambasciata inglese gli risparmiarono grossi fastidi; non venne molestato neppure quando suo fratello Lelio, il 7 dic. 1609, come eretico relasso, venne bruciato vivo a Mantova. A detta del Sarpi invece, che ne scriveva nell'agosto 1610 a Francesco Castrino, il C. era un uomo onesto, ma un po' troppo imprudente, anche perché spiato di continuo. Sullo scorcio di quell'anno infatti un Giampaolo da Lucca, carcerato nel S. Uffizio di Venezia, lo denunciò corre eretico. Venne ricercato a lungo, benché vivesse sotto gli occhi di tutti in casa del Ciotti. Fu catturato infine il 4 sett. 1611 e subito fu chiaro che era in pericolo mortale (il suo accusatore, il 7 ottobre, venne affogato in laguna). Subito l'ambasciatore inglese, che era il dotto e brillante Dudley Carleton, si mosse con energia, dichiarando che l'uomo era al suo servizio ed era stato maestro del suo re (dal 1603 Giacomo di Scozia era divenuto re d'Inghilterra), il quale avrebbe considerato quell'arresto un affronto personale. Con gran scorno degli inquisitori, il Senato ordinò la pronta scarcerazione dell'imputato, col patto che lasciasse subito Venezia. Era restato in cella sei giorni soltanto. Il cardinale inquisitore Pompeo Arrigoni il 24 settembre diramò da Roma l'ordine di arrestarlo dovunque fosse stato possibile. Scosso per la drammatica esperienza subita e per il rischio mortale, il C. trovò un primo rifugio a Chiavenna, dove erano serbate antiche carte dello zio; vi rimase in raccoglimento studioso fino al maggio del 1612, poi mosse alla volta di Parigi, dove sostò tra l'agosto e il novembre, e finalmente raggiunse il suo unico porto sicuro, l'ultimo del suo burrascoso pellegrinaggio: l'Inghilterra.
Era ormai in là con gli anni e pieno di acciacchi; gusti e mode mutavano rapidamente; presto finì per sentirsi un superato. Un corso di italiano affidatogli a Cambridge nel secondo semestre del 1613 non ebbe seguito (ma vi mangiò agli ultimi d'ottobre delle fragole squisite); un secondo tentativo in tal senso, messo in atto ad Oxford ai primi del 1614, si risolse in un insuccesso. Buon per lui che un parvenu ricchissimo e influente, il segretario del principe di Galles Adam Newton, lo accogliesse in casa propria, dapprima nel palazzo londinese di Elthain Park e poi, dall'autunno del 1614, nella nuova e sontuosa residenza che s'era fatto da poco erigere a Charlton nel Kent. Visse così il suo solitario tramonto, ripagando l'ospitalità con la sua conversazione arguta e i ricordi di una vita avventurosa. In quell'ozio forzato, tra l'estate e l'autunno del 1614, compose e ricompose a più riprese un Brieve racconto di tutte le radici, di tutte l'erbe e di tutti i frutti, che crudi o cotti in Italia si mangiano, rievocazione nostalgica di una gastronomia rusticana e raffinata, dettata con stile ricco di spontaneità, che spesso tocca vibrazioni di tenerezza e di rimpianto per i due più cari beni perduti: l'Italia e la gioventù. Orti e giardini restano la sua passione: una delle sue ultime lettere è diretta da Londra il 19 dic. 1615 a un amico veneziano che dovrebbe procurargli semi rari; l'ultima sua testimonianza è del 2 marzo 1616 ed è un lamento per i molti malanni, la gotta che gli impedisce di camminare, la povertà.
Morì, probabilmente a Londra, poco dopo, certo in quell'anno, solo, com'era quasi sempre vissuto.
Opere: Varie lettere del C. sono pubblicate o richiamate nelle opere sotto elencate; il suo Album (1598-1615)è nel British Museum, cod. Harleian 3344;nello stesso fondo e presso il Trinity College di Cambridge sono finite le sue carte rimaste in casa Newton. La grande raccolta manoscritta di scritture politiche italiane adunata dal C. in Danimarca entrò più tardi nella biblioteca del cardinal Franz Dietrichstein vescovo di Olomouc (morto nel 1636)e con essa fu conservata a Mikulov (in tedesco Nikolsburg) in Moravia fino alla seconda guerra mondiale, quando fu dispersa; solo 9volumi superstiti furono acquistati nel 1963dalla Newberry Library di Chicago (The Newberry Library Bulletin, VI [1965], pp. 138-40). Il Brieve racconto sugli usi gastronomici italiani, conservato in sette codici pressoché sincroni, è pubblicato in L. Firpo, Gastronomia del Rinascimento, Torino 1973, pp. 131-176.
Fonti e Bibl.: P. Sarpi, Lettere ai protestanti, a cura di M. D. Busnelli, Bari 1931, I, pp. 193, 195, 200; II, pp. 96, 101, 147, 160, 166; G. Fontanini, Biblioteca dell'eloquenza italiana, a cura di A. Zeno, I, Venezia 1753, pp. 418-419; II, pp. 31-33; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, I, Modena 1781, pp. 431-434; A. Ploncher, Della vita e delle opere di Ludovico Castelvetro, Conegliano 1879, pp. 85-89; T. Sandonnini, Lodovico Castelvetro e la sua famiglia, Bologna 1882, pp. 236-268; S. E. Dimsey, G. C., in The Modern Language Review, XXIII(1928), pp. 424-431; H. Triesel, Die Handschriften des G. C. in der Dietrichstein'schen Fideikommiss-Bibliothek zu Nikolsburg, in Zeitschrift des deutschen Vereins für die Geschichte Mährens und Schlesien, XXXI(1929), pp. 129-164; K. T. Butler, An Italian's message to England in 1614: "Eat more fruit and vegetables", in Italian Studies, II (1938), pp. 1-18; E. Rosemberg, G. C., Italian publisher in Elisabethan London and his patrons, in The Huntington Library Quarterly, VI(1943), pp. 119-148; K. T. Butler, G. C. (1546-1616), in Italian Studies, V (1950), pp. 1-42; L. Stone, An Elizabethan: sir Horatio Pallavicino, Oxford 1956, p. 329; H. G. Dick, A Renaissance expatriate, G. C. the Elder., in Italian Quarterly, VII(1963), pp. 3-19; A. D. Scaglione, G. C. e i conclavi dei papi del Rinascimento, in Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance, XXVIII(1966), pp. 141-149; A. Rotondò, Studi e ricerche di storia ereticale ital., Torino 1974, pp. 236, 316-317.