CASSANI, Giacomo
Nacque il 18 marzo 1818 (alcuni ritengono l'8, altri il 12 marzo) a Renazzo di Cento (Ferrara), in diocesi di Bologna, dai contadini poveri Domenico e Maria Lenzi. Studiò nel seminario Clementino di Cento, ove ebbe come professore di filosofia don Alessandro Rusconi, compromessosi nei moti del 1831 e noto per i sentimenti liberali. Ordinato sacerdote, si dedicò all'insegnamento privato e alla predicazione nel Centese, soprattutto a Renazzo e a Corpo di Reno.
"Nel 1846 si entusiasmò dei programma giobertiano che in seguito definì 'seducente utopia'" (Berselli, Aspetti, p. 85). Nel 1847-48 collaborò al periodico liberal-radicale L'Italiano, assumendo posizioni chiaramente liberali. Pubblicò a Modena, nel nov. 1846, l'opuscolo Parole sul possesso di Pio IX, e, nel settembre 1848, a Bologna, Non più misteri, osservazioni sugli schiarimenti del generale Giovanni Durando, nel quale sostenne che "l'Italia nella sua guerra d'indipendenza ebbe un esercito valoroso; le mancò un generale". Volle far parte della guardia civica di Cento, nonostante che non gli fosse consentito dallo stato sacerdotale. A Renazzo fondò il Circolo popolare, nella cui sede, commentando le opinioni espresse sulla stampa periodica, discusse la sovranità temporale dei papi e la scomunica. Nelle elezioni del gennaio 1849 per la Costituente romana, il C. fu portato candidato. Non venne eletto, ma il suo comportamento (aveva compiuto un'attiva opera di propaganda tra il popolo) gli procurò poi la censura ecclesiastica: il 18 marzo 1849 dall'arcivescovo di Bologna cardinale Oppizzoni fu sospeso dalla celebrazione della messa., dalla confessione e dalla predicazione. Sottomessosi all'autorità religiosa, compiuti i prescritti esercizi spirituali, nel gennaio 1850 il C. ebbe l'assoluzione. ma non mutò indirizzo di pensiero. Infatti, dopo avere aderito nel 1859 alla rivoluzione nazionale, quando "la partenza degli austriaci e la fine del potere pontificio a Bologna aprirono un periodo di aspra tensione fra il clero e i liberali fra il governo e la chiesa", il C. fu tra i pochi sacerdoti "liberali e conciliatoristi" (Berselli, ibid., p. 84). Nel marzo 1860 diede alle stampe a Bologna un nuovo opuscolo, Sulla posizione e i doveri del clero delle Romagne, che suscitò vasto interesse e numerosi commenti, sia da parte dei liberali sia dei cattolici conservatori.
Il C., constatando che di fronte agli avvenimenti politici il clero romagnolo per la delicatezza della sua posizione si era astenuto "dall'esercizio di qualunque diritto politico", lo sollecitava a continuare in quell'atteggiamento: obbedienza ad un governo di fatto, in attesa che si risolvesse la questione di diritto sorta tra il papa e il re a causa dell'annessione delle province pontificie. Il C., dunque, proponeva una soluzione di "compromesso", capace "di risolvere in via concreta... il problema di una pacifica convivenza nel nuovo ordine" (Berselli, ibid., p. 86).
Abbandonò questa posizione in una serie di articoli, pubblicati nell'aprile-maggio 1860, in appendice al foglio governativo Monitore di Bologna, schierandosi decisamente a favore della rivoluzione nazionale "voluta dalla Provvidenza", in aperta polemica con i cattolici conservatori, in particolare con l'Armonia e con la Civiltà cattolica, a proposito della "vera indipendenza del Papa", ma continuando, tuttavia, a sostenere più "la ricognizione di fatto", che "la questione di diritto". Su questo piano rimase isolato, anche tra gli stessi sacerdoti liberali delle Romagne. In occasione della visita di Vittorio Emanuele II a Bologna, nel maggio 1860, oltre a recarsi con pochi altri sacerdoti liberali a ricevere il sovrano in S. Petronio, al fine di rendere possibile "un generoso ravvicinamento tra popolo e clero", come ebbe a scrivere nel Monitore di Bologna (11maggio 1860), il C. gli dedicò l'opuscolo, composto nell'ottobre 1859, Le vere speranze degli Italiani (Bologna 1860).
Invitato dal provicario, monsignor Ratta, a presentarsi per ricevere comunicazioni "strettamente personali", il C. rispose all'invito per iscritto, rivolgendo al superiore "alcune rispettose osservazioni". Dichiarando che non avrebbe accettato "comunicazioni verbali, massime dei superiori", pregava il provicario di scrivere l'eventuale richiesta di servizi o l'ingiunzione di ordini. In questo caso, monsignor Ratta avrebbe dovuto "motivarli, perocché ho per sistema e per immutabile risoluzione di prestare sempre un ossequio ragionevole e valermi della legislazione attuale, che accorda la libera manifestazione del pensiero ed il pubblico resoconto delle proprie azioni e particolare condotta". Con questa risposta il C. assunse una posizione di netta indipendenza nei confronti della Curia sulle questioni contingenti di carattere politico, conservando, tuttavia, una condotta di vita irreprensibile e continuando ad esercitare il ministero sacerdotale.
Trasferitosi in quei mesi da Cento a Bologna, ottenne, la facoltà di predicare la quaresima nella chiesa di S. Gerolamo dell'Arcoveggio. L'8 agosto, nella Montagnola, in occasione della celebrazione delle gloriose giornate del 1848, presiedette la cerimonia religiosa. Il 13 ott. 1860 venne nominato professore ordinario di diritto canonico nell'università di Bologna. Naturalmente la nomina fu valutata negativamente dalla Curia bolognese, che la imputava unicamente alla "sfacciata propaganda nell'impugnare specialmente il governo temporale della S. Sede" condotta dal Cassani. In effetti, con gli opuscoli La gran questione romana e la sua soluzione e Il Papa e la pace cogli Italiani (Bologna 1861), il C. "proponeva... una nuova Costituzione della Chiesa e considerava tale riforma una condizione indispensabile perché potesse cessare la lotta fra il Papa e gli Italiani ... Intendeva moderare l'autorità suprema del Pontefice, non per distruggerla, ma per renderla più piena" (Berselli, ibid., p. 93), tramite "un consesso di Vescovi".
Con queste idee, il C. non ebbe difficoltà ad aderire, tra i primi., al movimento di Carlo Passaglia; a firmare la petizione a Pio IX e a collaborare assiduamente, su molteplici temi di attualità relativi ai rapporti tra Stato e Chiesa, al Mediatore. Nel periodico il C. vide uno strumento idoneo per "saggiamente osare", per confutare la Cisviltà cattolica, per sostenere la formula "Stato indipendente, Chiesa indipendente", rispetto all'altra "libera Chiesa in libero Stato".
Dopo aver raccolto nell'opuscolo Non vi può essere Italia senza Roma capitale (Milano 1865) gli articoli pubblicati nel periodico Il Regolatore amministrativo, nel 1871 fondò il periodico di studi religiosi e sociali Il Rinnovamento cattolico, uscito dal 10 genn. 1871 ogni dieci giorni e dal gennaio 1874 fino al dicembre 1875 in fascicoli mensili, con l'intento di portare "nel momento supremo in cui si agitano le più gravi questioni fra Chiesa e Stato, fra il Pontificato e l'Italia" un contributo all'"armonia fra la religiosa e la politica società, fonte certa della rigenerazione morale della patria e di sua conseguente grandezza".
Sul concilio Vaticano, il C., per quanto attiene alla definizione dogmatica dell'infallibilità pontificia, sottolineò che il comportamento dei vescovi oppositori non fu quale avrebbe dovuto essere: invece di andarsene avrebbero dovuto votare contro; per quanto invece attiene ai rapporti tra Stato e Chiesa, osservò acutamente che "l'episcopato cattolico... imbevuto delle teorie politiche-religiose, che si compendiano sotto il nome di religione dello stato e di Chiesa ufficiale... teneva fermo al sistema 1 per quanto illogico dei Concordati. E siccome il sistema dei concordati religiosi-politici non può sussistere se non data parità politica fra i contraenti, quindi ne veniva l'altra conseguenza che il Papa dovesse essere anche principe temporale, onde a pari trattare coi sovrani, siccome suolsi nei trattati internazionali". Imputate le carenze del concilio ai "maneggi" dei gesuiti, poiché con la legge delle guarentigie, anche se "incompleta e bisognosa di mende", si era posto un "grosso ostacolo 'fra le ruote del gran carro clericale e sanfedista'", il C., con una serie di articoli, ritornò sul tema dei rapporti tra Stato e Chiesa, sostenendo che "le due grandi istituzioni sono preordinate a camminare parallelamente ciascuna al proprio fine, senza collidersi, senza urtarsi, ciascuna anzi intendendo al miglioramento dell'individuo".
Gli scritti apparsi nel Rinnovamento cattolico vennero raccolti, nel 1872, nei tre tomi Delle principali questioni politichereligiose (Bologna) dedicati, il primo ai rapporti tra Chiesa e Stato; il secondo, al primato del pontefice e al valore giuridico del concilio Vaticano; il terzo, alla proprietà ecclesiastica. La Congregazione dell'Indice, nonostante le proteste del C., convinto di pubblicare "verità dispiacevoli", ma "in fatto di ortodossia", non incriminabili, condannò l'opera e il periodico il 23 sett. 1872.
Cessato Il Rinnovamento cattolico, il C. diede vita al quindicinale La Riforma disciplinare cattolica, uscito dal gennaio 1876 al dicembre 1878 e, in seguito, dall'aprile 1879 al giugno 1881, al bimestrale Chiesa e Stato. Ne La Riforma affrontò le questioni di attualità, quali, il matrimonio civile, il potere temporale, le immunità ecclesiastiche, proclamando la sua "rigorosa ortodossia" e di non volere "che savie riforme disciplinari". In Chiesa e Stato, il C., rilevata "quanta differenza passi tra il passato e il presente Pontificato" (quello di Leone XIII), dichiarò di "avere una fede inconcussa in questo avvenire che ci attende". Sospese, per l'età ormai avanzata, le iniziative editoriali, il C. collaborò, dal 1883, alla Rassegna nazionale.
Il C. curò con prevalente attenzione i temi di politica religiosa ed ecclesiastica, ma non mancò di interessarsi di altri campi, intervenendo spesso con proposte ed osservazioni su temi di interesse pubblico, collegati per lo più con lo sviluppo socio-economico dell'area centese. In questo ambito, assumono speciale rilievo la polemica sostenuta con Antonio Mangilli, negli anni 1877-78, sull'origine delle due partecipanze di Cento e di Pieve, e la questione delle decime di Cento, tra il comune e la Curia di Bologna, sollevata dallo stesso C., eletto nel 1890 consigliere comunale di Cento, e protrattasi per oltre un decennio.
Come docente universitario, dopo avere tenuto la cattedra di diritto canonico per quindici anni, fu trasferito nel 1875 alla cattedra di storia del diritto, che tenne fino al 1886. Insegnò per vari anni anche geografia e storia, statistica e introduzione alle scienze giuridiche, a conferma dei suoi vasti interessi di studio. Collocato a riposo su sua richiesta nel 1886, l'anno dopo fu eletto presidente del Collegio giuridico. Ebbe, inoltre, incarichi di amministrazione nel Collegio jacobs, nella Congregazione di carità e nel Monte di pietà di Bologna. Venne nominato cavaliere, nel 1860, grande ufficiale, nel 1867, e, nel 1887, commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro.
Morì a Bologna il 2 giugno 1899.
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