CAPECE, Giacomo (Iacobus Capicius de Neapoli, Capice, Capici)
Questo nobile napoletano era figlio dell'omonimo siniscalco di Federico II. Le sue vicende sono però molto meno note di quelle dei fratelli Marino e Corrado. Non sappiamo neanche quale fosse la parte toccatagli dei feudi paterni di Atripalda, Montefredane e Baiano. È noto soltanto che aveva in possesso beni feudali a Napoli, i quali dopo la confisca del 1268 furono concessi a nobili francesi.
Come i fratelli, il C. sembra essere stato sempre uno dei fautori di Manfredi, il quale gli conferì l'ufficio di giustiziere di Abruzzo, anche se non è noto in quale anno precisamente reggesse quella provincia. Ma probabilmente esercitava la carica nei primi anni dopo l'incoronazione di Manfredi, quando non si era ancora completamente spenta nella provincia la resistenza contro lo Svevo. Come giustiziere il C. procedette a nome di Manfredi contro il barone Ruggiero di Pizzo sospetto di alto tradimento; questi aveva già servito Federico II come podestà e capitano in Umbria, Friuli e Toscana, ma non era disposto a conservare la fedeltà al figlio dell'imperatore. Ruggiero si sottrasse all'arresto con la fuga - tornò nel Regno nelle file dell'esercito di Carlo d'Angiò - e il C. fece sequestrare per la Corona i beni dei baroni che si erano fatti garanti per lui.
Un'altra circostanza lascia intravedere la familiarità del C. con l'ambiente della corte reale: nel dicembre del 1261 a Termoli figura come testimone, insieme con Giovanni da Procida, Gozzolino della Marra, Niccolò Rufolo e quattro notai regi, nel documento con cui Federico di Pagliara, nipote del conte Gualterio di Manoppello, dichiarava di aver ricevuto la dote della futura sposa Isabella Maletta, nipote del conte camerario Manfredi Maletta.
Partecipò alla battaglia di Benevento nel febbraio del 1266 a fianco di Manfredi. Non è noto dove abbia trascorso i primi due anni dopo la conquista angioina, ma probabilmente seguì i fratelli Corrado e Marino in esilio. Nell'estate del 1268 partecipò ai moti fomentati dai ghibellini a favore di Corradino, ma non sono noti i particolari della sua attività né il luogo di essa. È da supporre tuttavia che egli, come il fratello Marino, agisse nelle città campane per la causa di Corradino. Dopo lo sfacelo della rivolta il C. fu catturato e decapitato nello stesso anno, con l'accusa di alto tradimento, probabilmente nell'ottobre, sulla via Capuana davanti alle porte di Napoli. Non sembrano essere nati figli dal suo matrimonio con Giacoma Tornuparda.
Fonti e Bibl.: Montevergine, Archivio dell'Abbazia, Perg. 2113 (1261 dic. 10); S. Malaspina, Rerum Sicularum Historia, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., VIII, Mediolani 1726, col. 857; B. Capasso, Historia diplomatica regni Siciliae..., Napoli1874, pp. 198a. n; R. Filangieri, I registri della cancelleria angioina, I, Napoli 1950, p. 274; VIII, ibid. 1957, p. 46; P. Colluccio, Compendio de le istorie del regno di Napoli (1539), a cura di A. Saviotti, Bari 1929, pp. 162 s.; K. Hampe, Geschichte Konradins von Hohenstaufen, a cura di H. Kämpf, Leipzig 1942, p. 320;H. Arndt, Studien zur inneren Regierungsgesch. Manfreds, Heidelberg 1911, p. 100; F. Scandone, Storia di Avellino, II, 2, Napoli 1950, p. 113 n. (con identificazione erronea); P. F. Palumbo, Contributi alla storia dell'età di Manfredi, Roma 1959, pp. 232 ss., 239, 273 s., 280.