CANTELMO, Giacomo
Nato a Napoli il 13 giugno 1640 da Fabrizio, duca di Popoli e principe di Pettorano, il C. divenne una delle figure di maggior spicco tra gli arcivescovi di Napoli del XVII secolo. La famiglia, della più elevata nobiltà di seggio, l'esperienza diplomatica, i tratti imperiosi del carattere, la volontà di controllo della Chiesa napoletana ne fecero il rappresentante emblematico di quella sintesi tra mentalità nobiliare e zelo ecclesiastico in cui si risolveva a Napoli una personalità attiva di arcivescovo.
Per le notizie sulla sua formazione e i primi anni di carriera bisogna accontentarsi di ciò che ne scrivono i biografi e cronachisti della diocesi napoletana: l'educazione privata in casa, come era costume, quindi il trasferimento nei collegi di Roma e di Bologna a perfezionare un'istruzione risultata poi specialmente severa nel settore linguistico (greco ed ebraico), che era un po' la scoperta del tempo, specialmente a Napoli. La prelatura a Roma, sotto i pontificati di Clemente X e di Innocenzo XI, non è molto più documentata, fino al momento in cui al C. non venne conferito un incarico ufficiale, quello di inquisitore a Malta (4 giugno 1678). Nel 1683 ottenne il titolo di arcivescovo di Cesarea in partibus e di referendario di entrambe le Segnature. Dopo quell'anno le missioni diplomatiche del C. si susseguirono l'una all'altra senza interruzione. Il 18 apr. 1685 fu nominato nunzio in Svizzera: nelle credenziali del 12 maggio è qualificato con i titoli di arcivescovo, prelato domestico e assistente al soglio. Partì da Lucerna nel dicembre del 1687 con il nuovo incarico di nunzio straordinario in Polonia: doveva intervenire alla Dieta di Grodna e agire in modo che la nobiltà polacca e il re Giovanni Sobieski proseguissero nella primavera successiva la campagna antiturca che avevano tepidamente condotto nel 1687.
Questa missione è stata molto ben documentata dalla recente pubblicazione della relativa corrispondenza diplomatica (Korespondencja arcbpa Cantelmiego, in Sacrum Poloniae Millennium, III, Roma 1956, pp. 51ss.). Benché la scelta del C. fosse dipesa dal suo trovarsi abbastanza vicino geograficamente, i giudizi del card. Cybo (segretario di Stato) e del card. Pallavicini (nunzio ordinario) concordavano sul "merito e sperimentato valore" diplomatico di lui (ibid., pp. 54, 73).Zelo e valore che erano destinati ad infrangersi, prima contro l'asprezza delle fazioni interne alla Dieta che impedirono financo l'inizio dei lavori, e poi contro la cattiva volontà dell'elusivo sovrano, ben lieto di accettare i consistenti aiuti finanziari di Roma, ma tutt'altro che disposto a seguire la strategia di guerra suggerita dal Cantelmo. Dopo aver trascorso la primavera nell'infruttuoso tentativo di spingere alla preparazione della campagna ("ed io medesimo - scriveva il 26 maggio 1688 - benché allevato nella vita di Chiesa non haverei ricusato pericolo alcuno sotto gl'auspicij della M.tà Sua e mi sarei dato l'honore di servire nel campo che si fusse tentata qualche attione degna del suo gran nome" [p. 146]), impiegò l'estate a seguire il re che si spostava lentamente senza mai dar segno di voler avvicinarsi al campo: solo in settembre poté ritenere possibile la realizzazione dell'obiettivo minimo consistente nell'assedio o almeno nel blocco di Kaminiek (lettere del 5e 21 settembre), ma i primi freddi e la voglia delle truppe di tornarsene a casa marcarono il completo insuccesso delle pressioni pontificie. Il misto di delusione, amarezza e disprezzo che emerge dalla corrispondenza di Polonia nei mesi autunnali lascia successivamente il posto a problemi politici meno eccezionali. Le lettere dell'89 sono in numero troppo esiguo per permettere di capire verso quali obiettivi si indirizzasse nell'anno seguente la missione del Cantelmo.
Verso la fine del 1689 il C. venne richiamato e spedito in tutta fretta ad Augusta presso la Dieta tedesca che doveva incoronare nuovo re dei Romani l'arciduca Giuseppe: una scelta pontificia che contava sul piglio militaresco e la spregiudicatezza del diplomatico, dal momento che si trattava non solo di far valere gli interessi cattolici nel capitolato, ma di contrattare la conversione della casa di Hannover in cambio del nono elettorato. Il C. vi si trattenne dal 6 gennaio alla metà di febbraio 1690. Nel corso di quella missione, e precisamente il 13 febbraio, ottenne il titolo cardinalizio dei SS. Pietro e Marcellino. Tornato a Roma, vi ebbe quasi immediatamente la legazia di Urbino: carica provvisoria, evidentemente, perché alla prima occasione (la morte dell'arcivescovo di Capua) il C. cominciò a realizzare l'obiettivo del suo ritorno nel Regno di Napoli. Rimase a Capua (una sede cardinalizia assai importante) dall'8 ott. 1690 al 4 maggio 1691, giusto il tempo di veder morire papa Alessandro VIII e contribuire all'elezione del cardinale Pignatelli, arcivescovo di Napoli (12 luglio). Fin dal 23 luglio egli ottenne dal nuovo pontefice la sede napoletana; ne prese possesso in agosto e il 7 novembre fece l'ingresso solenne in cattedrale.
In coincidenza con la sua venuta, la quieta atmosfera religiosa dell'epoca del Pignatelli mutò sensibilmente: già da qualche anno la Curia romana era infatti preoccupata per la diffusione a Napoli di correnti filosofiche e scientifiche influenzate dal cartesianismo e dall'atomismo, e, prima ancora che il C. si spostasse dalla sede estiva di Massalubrense, la Congregazione del S. Uffizio decise di aprire l'affaire che va sotto il nome di "processo degli ateisti" e che avrebbe caratterizzato negativamente tutto il periodo del suo governo.
La ormai ampia bibliografia su questo tema non esime dal tracciare un breve riepilogo degli avvenimenti per via delle contrastanti interpretazioni che ne sono state offerte. Nell'estate del '91il nuovo delegato del S. Uffizio a Napoli aveva dato corso a una denuncia presentata tre anni addietro a carico di alcuni giovani "letterati" seguaci dell'atomismo, sotto l'accusa di libertinismo e di irreligione. L'obiettivo era calcolato, ché in effetti venivano colpiti esponenti minori o minimi di quella corrente, affinché i maggiori avvertissero il pericolo. I promotori dell'attacco alla nuova cultura (alcuni con qualche resipiscenza) avevano tuttavia sottovalutato sia la reazione sempre vivacissima dei seggi nobili e popolare di Napoli ad ogni aperto procedere del S. Uffizio che potesse evocare lo spettro dell'Inquisizione di tipo spagnolo, sia lo spessore dello strato cittadino interessato alla svolta filosofico-scientifica di fine secolo e il suo grado di integrazione con il potere vicereale, l'alta burocrazia e la nobiltà. L'arresto degli accusati riaprì la questione della legittimità del S. Uffizio a Napoli, generò una protesta unanime dei seggi (unanimità considerata sempre temibile dagli Spagnoli) e pose in termini di urto frontale il problema del rapporto tra Chiesa e filosofia moderna.
Dal momento in cui il viceré dovette imporre l'allontanamento del delegato del S. Uffizio da Napoli e il passaggio del processo alla corte arcivescovile, intervenne il C. con la ormai collaudata durezza. Dopo un primo colloquio con il viceré, accampante ragioni di ordine pubblico, propose subito di fargli sentire a Madrid tutto il peso della Curia romana (lettera al segretario di Stato, Massa, 26 sett. 1691, Arch. Segreto Vaticano, S. S., Cardinali, 56, ff. 69-70). Ma una volta giunta dalla Spagna l'approvazione per l'operato del viceré (primavera 1692), il C. fece riprendere inflessibilmente la procedura sino a giungere alla condanna a dieci anni e all'abiura pubblica di una parte degli imputati (febbraio 1693): l'arcivescovo voleva infatti dimostrare che il Tribunale diocesano non era meno duro del S. Uffizio e che non vi era alleanza tra cultura e potere civile che potesse sottrarsi al controllo ecclesiastico. I metodi e la puntigliosità dell'atteggiamento vanno attribuiti al C., anche se egli si faceva esecutore di una strategia romana iniziata prima del '91 e tendente ad una ripresa di controllo sul Regno di Napoli cui non era estranea la crisi evidente della monarchia spagnola. Fatto sta che agli inizi del '93 si ebbe una levata di scudi generale e violenta contro l'arcivescovo che portò all'espulsione del suo "fiscale" Emilio Cavalieri e che avrebbe assunto proporzioni maggiori se viceré e Consiglio collaterale non avessero dirottato la protesta dei seggi verso Roma, suggerendo una trattativa diretta tra rappresentanti napoletani e Congregazione del S. Uffizio. Questa infatti si aprì e si trascinò lungamente tra aspre memorie e contromemorie, tentativi di accordo e irrigidimenti. I negoziatori furono da un lato l'avvocato napoletano Pietro Di Fusco e dall'altro il cardinale napoletano Casanate, ma i protagonisti dietro le quinte erano più numerosi: il papa, il C., la corte madrilena, il viceré, i seggi, l'ambasciatore della corte spagnola a Roma.
Su questa fase, dal punto di vista del C., la miglior fonte (oltre la corrispondenza diplomatica) è l'Archivio stor. dioces. di Napoli, ove sono conservati non solo l'incartamento originale del processo (Fondo S. Ufficio, fasci 761, 764/C, 787/D), ma anche la corrispondenza in arrivo da parte di mons. F. Bernino, assessore del S. Uffizio a Roma (1692-94). Dal complesso della documentazione emerge che Roma era fermamente decisa a non concedere l'abolizione del tribunale delegato del S. Uffizio ai napoletani, per timore di dare la stura ad analoghe richieste altrove; che ogni genere di pressioni si incrociavano sul Di Fusco, alcune per tener viva, altre per chiudere rapidamente la questione, su un fondo di rigidezza ecclesiastica anche sul piano culturale: mentre nel '93 si metteva all'Indice il Parere di Leonardo di Capua, nel '94 il C. si muoveva a Napoli pesantemente, suggerendo che il terremoto di quell'anno era una punizione divina per la presenza di ateisti e proponendosi di punire il clero influenzato dalle nuove correnti atomistiche (lettere al segretario di Stato del 21 e 28 settembre, Arch. Segreto Vaticano, S. S.,Cardinali, 59, ff. 239, 241).
Di fatto un accordo era impossibile e le parti rimasero sulle rispettive posizioni, tanto che nel '95 il S. Uffizio ricorse ad un colpo di mano (la pubblicazione di istruzioni al delegato senza exequatur) per marcare la propria volontà di rimanere nel Regno di Napoli, provocando così un nuovo sussulto giurisdizionalistico. Proprio in questa occasione di ulteriore contrasto con il viceré, il C. ebbe a lamentarsi di essere considerato il principale responsabile del conflitto sul S. Uffizio "quando sono stato mero essecutore degli ordini di Sua Santità, e della Santa Suprema Inquisizione, che m'hanno con tanta giustizia, a carità paterna comandato l'uso de' rimedij salutari, et atti a scoprire la pravità degli errori per preservarne questo numeroso Popolo..." (lett. al segretario di Stato del 25 luglio 1695, ibid., 60, ff. 129-30). Ora, non sembra di grande importanza il problema di una minuziosa distribuzione di responsabilità tra Roma e Napoli, benché sia ancora da accertare il peso degli interessi politici nella vicenda. La lettera pone tuttavia la questione dell'inserimento del "processo agli ateisti" in seno alla politica diocesana del C. e in rapporto al suo atteggiamento pastorale.
I problemi della diocesi napoletana, come è scritto nell'opera recente del De Maio, si potevano ricondurre "alla pratica mancanza di confine degli spazi di giurisdizione della Curia, della nunziatura e del governo civile, con la conseguente logorante tensione" (p. 9). Gli altri problemi erano questi: scarsa disciplina e cultura teologica del clero secolare e regolare, religiosità devozionalistica, quando non superstiziosa, predicazione basata sulla minaccia del castigo divino, enormi interessi economici e giurisdizionali del clero, perpetuamente e aggressivamente difesi anche quando essi favorivano il tragico avvilimento civile della metropoli (diritto d'asilo, diritto all'isola, chierici selvaggi ecc.). Questa era la realtà con cui aveva a che fare il C. quando aprì la visita pastorale della diocesi nella primavera del 1692. Una visita (quella del C. durò con vari intervalli sino al 1701) investiva centinaia di chiese, congregazioni, conventi, cappelle, su piani diversi: era un censimento demografico, un inventario delle reliquie, degli arredi, dei beni, un controllo sul decoro, sulla puntuale esecuzione dei legati, sul rispetto delle regole, sulla disciplina conventuale e solo in ultimo sulla vita religiosa. Per questo, nei 13 volumi (più uno relativo ad alcuni monasteri) conservati nell'Arch. dioces. si trova una miniera di notizie sulle strutture ecclesiastiche, ma poco o nulla sugli orientamenti pastorali. Si sa dai memorialisti che ciascuna visita era preceduta da un ciclo di predicazione tenuta dai fratelli delle apostoliche missioni, di cui il C. faceva parte e a cui aveva affidato "la guida delle grandi istituzioni per la formazione del clero" (De Maio, p. 102). Dai documenti emergono tuttavia gli ostacoli che egli dovette incontrare: frequenti furono i sequestri, le multe, gli interdetti e particolarmente aspri i conflitti con alcuni monasteri femminili (cfr. lettere al segretario di Stato degli anni '94-'95, Arch. Segreto Vaticano, S. S., Cardinali, 59-60, passim).
La preoccupazione del C. si era, infatti, subito rivolta al miglioramento della qualità degli ordinandi ed alla disciplina delle monache: questi furono i motivi originali del sinodo diocesano tenutosi dal 29 maggio al 1º giugno 1694, che ribadì per il resto i canoni vigenti nella Chiesa napoletana da più di un secolo. Il clima del '94 si fece sentire nel sinodo in due sensi: da un lato con una rigidissima repressione della lettura di libri proibiti; dall'altro con il rifacimento e la pubblicazione di nuove regole per il seminario, tendenti a rendere più stretta la disciplina, migliore l'ordine degli studi e più efficace la preparazione del clero. Il C. si assicurava in questo modo non solo un ricambio di sacerdoti preparati per le parrocchie, ma tendeva a formare in seno al seminario un nucleo di uomini di cultura di osservanza curiale, e non certo con mentalità ristretta, se il migliore di loro, Carlo Majello, professava il cartesianismo. Atomismo e probabilismo dovevano restare invece fuori della porta del seminario, tanto che fu questo il momento in cui egli appoggiò il gesuita De Benedictis (polemista contro la filosofia moderna) nonostante l'urto con i gesuiti conseguente al fatto che aveva loro sottratto la formazione del clero.
Occorre tener conto di moventi non propriamente religiosi nella attività del cardinale degli anni successivi: una netta inversione di tendenza si nota nel 1696 nei rapporti tra Curia locale e nuovo viceré. Costui era il duca di Medinaceli, ex ambasciatore spagnolo a Roma, il quale si era adoperato per l'appianamento del conflitto, sul S. Uffizio, certo anche con lo scopo di essere inviato a Napoli. Ma ora il debito di riconoscenza del C. era più diretto, in quanto era stato aiutato a ottenere per il fratello il posto di capitano generale delle artiglierie. È la famiglia Cantelmo tutta intera che, in quel generale censimento di forze filospagnole o filoaustriache delineatosi a Napoli alla vigilia della morte di Carlo II, prende le parti spagnole. Troveremo così i seminaristi collaborare con proprie composizioni ai Componimenti per la recuperata salute del sovrano (Napoli 1697). Nel 1699 il C. indisse un sinodo provinciale, importante soprattutto per l'estensione ad altre diocesi dei canoni di quello napoletano. Nel frattempo continuò energicamente la visita e la strenua battaglia contro l'indisciplina delle monache. Nel 1700 si ebbe la morte di Innocenzo XII e quella di Carlo II di Spagna, due fatti che erano destinati a influire profondamente sugli ultimi anni di vita del Cantelmo. Mentre infatti gli veniva a mancare il solido appoggio del Pignatelli, a Napoli gli avvenimenti precipitavano con lo scoppio della congiura filoaustriaca del principe di Macchia. Il cardinale era troppo legato allo schieramento lealista per poter mantenere l'atteggiamento cauto che sarebbe stato preferito da Roma. Si precipitò invece a sollecitare l'investitura di Filippo V: "mi sento ispirato da S. Gennaro glorioso, ch'in questa occasione s'è compiaciuto di fare molti miracoli sotto i miei occhi", scriveva il 27 sett. 1701 al nuovo segretario di Stato (ibid., 66, f. 229). Poiché parte del clero regolare aveva mostrato simpatie filoaustriache, egli non esitò a cacciarne un buon numero dal Regno. E non bisogna dimenticare che sarà proprio il Majello a scrivere una storia della congiura in senso filospagnolo e filonobiliare (Napoli 1704). L'anno 1702 vide la venuta a Napoli di Filippo V e l'impegno del C. nell'accoglienza del sovrano; ma fu anche l'anno di un rovinoso terremoto e di una intensa attività delle "missioni", così care alla concezione pastorale dell'arcivescovo. Impegno politico, impegno religioso e impegno giurisdizionale andarono di pari passo sino alla fine: nel timore che a Roma si potesse prender partito contro di lui in una delle solite battaglie contro i conventi, egli arrivò il 12 sett. 1702 ad offrire le dimissioni: "...crederei, che fosse gran servitio di Dio di commetterne il presulato a personaggio dotato di zelo, e talento, di cui io mi riconosco affatto privo si per mancanza di spirito, si anco per la debolezza, che esperimento nella mia sanità..." (ibid., 67, f. 392). Era già chiaramente stanco e malato: l'11 dic. 1702 moriva.
Nella relatio ad limina del 1700 (conservata nell'Arch. Segreto Vat., ma pubblicata in appendice al sinodo provinciale, pp. 158-163) aveva fatto un consuntivo della propria attività: a suo merito egli ascriveva il sinodo provinciale, il primo dopo 123 anni, le riparazioni alla cattedrale, la cura per le parrocchie, per il catechismo, per il seminario, le sacre missioni, la visita. Neppure una parola per il S. Uffizio.
Fonti e Bibl.: I nuclei fondamentali di documentazione si trovano nell'Arch. Segr. Vat. e nell'Arch. stor. dioces. di Napoli. In Arch. Segr. Vat., S. S., Malta, I, nn. 29 ss., e II, nn. 86, 93, si trova la corrispondenza dell'inquisitore con la segr. di Stato per il periodo del Cantelmo. La missione in Polonia è pubbl. in Korespondencia arcbpa Cantelmiego nuncjusza nadzwyczainego na sejm grodzieński w 1688r., a cura di Zb. Szostkiewicza, in Sacrum Poloniae Millennium, III, Roma 1956, pp. 51-278. Doc. della missione ad Augusta, in P. Hiltebrandt, Die kirchlichen Reunionsverhandlungen in der zweiten Hälfte des 17. Jahrhunderts, Rome 1922, app., nn. 15, 16, 17. Per il periodo urbinate: Arch. Segr. Vat., S. S.,Urbino, 13. La corrispondenza del C. con la segreteria di Stato, Ibid., S.S., Cardinali, 9, 55-67 (1690-1702). Importante è anche il materiale della nunziatura di Napoli: Ibid., S. S., Napoli, I, 108-121, 130abcd; II, 105a, 113, 341-344. Due lettere del 1684 e 1685, Ibid., S.S., Vescovi, 70-71. Altro materiale sul S. Uffizio, Ibid., S. S., Miscell., III, 18 e 23 bis; X, 23. Sulla diocesi nap., Ibid., Congr. vescovi e reg.,Registr. Ep., 135-147 (1690-1702). La relazione ad limina, Ibid., Congr. Concilio,Relat. Neap. (1691-1703).
Nell'Arch. stor. dioces. di Napoli, Fondo visite, visita del C., 13 voll. (1692-1701), e inoltre, Visitazio localis,et personalis ecclesiarum et monasteriorum monialium, vol. unico di ff. 129; Ibid., Carteggio Cantelmo, buste 1 e 2 (lettere da Roma e varie dall'interno, 1691-1702); Ibid., Sinodi: Acta secundi concilii proviicialis..., 1699, ff. 309; Concilium provinciale neapolitanum [vol.di ff. 169]; Ibid., Fondo S. Ufficio, 761/A, Spontanea comparitio U. I. D. Fran.i Pauli Manutii nec non processus originales contra U. I. D.s Hyacinthum de Cristofaro et Philippum Belli ubi etiam c.a Basilium Iannelli, 1688, ff. 566; cfr. anche voll. 760/B (informazione su G. Di Fusco) e 764/C, 787/D (su G. De Cristofaro). Altri docc. sul processo e le memorie presentate durante la trattativa sono a Napoli, Bibl. naz., vari manoscritti elencati in Amabile, Comparato (cit.). Gli echi madrileni del processo nell'Arch. gen. de Simancas, Secretarias provinciales,Nápoles,Varios; Secreteria de Estado,Negociación de Roma; Papeles de Estado de la correspondencia y negociación de Nápoles, su cui Osbat (cit.).
Nell'Arch. stor. del Seminario di Napoli, Ar. 5.1: Notizie degli affari del seminario, ff. 248v-249v; Ar. 5.20: Regole del seminario di Napoli.. corrette,et ampliate... dall'eminentiss. ... Giacomo cardinal Cantelmo, ff. n. n.
I due sinodi sono editi: Synodus dioecesana ab eminentiss. et reverendiss. Dom. D. Jacobo... Cardinali Cantelmo..., Romae 1694; Concilium provinciale neapolitanum..., Romae s.d. (1700), in appendice "Relatio status ecclesiae Neapolitanae" (relatio ad limina), pp. 158-163. V. inoltre F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, VI, Venetiis 1720, coll. 202-209; G. Sparano, Mem. istor. per illustrare gli atti della S. Napoletana Chiesa..., II, Napoli 1768, pp. 193-262; F. Becattini, Istoria dell'Inquisizione, Napoli 1784, pp. 216 s.; L. Parascandolo, Memorie storiche-critiche-diplomatiche della Chiesa di Napoli, IV, Napoli 1851, pp. 137-144; D. M. Zigarelli, Biografie dei vescovi e arcivescovi della Chiesa di Napoli, Napoli 1861, pp. 198-205; B. Candida Gonzaga, Memorie delle famiglie nobili delle provincie meridionali d'Italia, I, Napoli 1875, pp. 156-159; Innocentii PP XI epistolae ad principes, a cura di J. J. Berthier, II, Romae 1895, pp. 229, 368-377; L. Amabile, Il Santo Officio della Inquisizione in Napoli, II, Città di Castello 1892, pp. 54 ss.; L. Karttunen, Les nonciatures apostoliques permanentes de 1650 à 1800, Genève 1912, p. 237; L. von Pastor, Storia dei papi, XIVI 2, Roma 1932, pp. 170, 400, 419; F. Nicolini, La giovinezza di G. B. Vico, Bari 1932, pp. 82 s., 171 s., 183; C. Cappello, G. B. Vico e il processo contro "ateisti" napoletani, in Salesianum, VIII (1946), pp. 326-342; F. Nicolini, Di una asserita crisi religiosa giovanile di G. B. Vico, in Atti d. Acc. pontaniana, n.s., I (1947-48), pp. 1-4, 17; L. Marini, Pietro Giannone e il giannonismo, Bari 1950, pp. 51 ss.; R. De Maio, Le origini del seminario di Napoli, Napoli 1957, pp. 222, 231 s.; B. De Giovanni, Filosofia e diritto in F. D'Andrea, Milano 1958, passim; Silvino da Nadro, Sinodi diocesani italiani, Città del Vaticano 1960, pp. 320 s.; P. Sposato, Le "lettere provinciali" di Biagio Pascal..., Tivoli1960 (con lett. del C. in appendice); R. Colapietra, Vita pubblica e classi politiche del viceregno napoletano, Roma 1961, ad Indicem; F. Strazzullo, I diari dei cerimonieri della cattedrale di Napoli, Napoli 1961, pp. 42-48; P. Lopez, Riforma cattolica e vita religiosa e culturale a Napoli..., Napoli-Roma 1964, pp. 131-140 e passim; S. Mastellone, Pensiero politico e vita culturale a Napoli nella seconda metà del Seicento, Messina-Firenze1965, capp. V, VIII; B. De Giovanni, Cultura e vita civile in G. Valletta, in Saggi e ricerche sul Settecento, Napoli1968, pp. 1-47; V. I. Comparato, G. Valletta. Un intellettuale napoletano della fine del Seicento, Napoli 1970, cap. IV e passim; G. Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa di P. Giannone, Milano Napoli 1970, pp. 81 s., 88 s.; R. De Maio, Società e vita religiosa a Napoli nell'età moderna (1656-1799), Napoli 1971, pp. 25-27, 31, 34, 48, 99, 119;L. Osbat, Sulle fonti per la storia del Sant'Ufficio a Napoli alla fine del Seicento, in Ricerche di storia sociale e religiosa, I (1972), pp. 419-27; G. Galasso, Napoli spagnola dopo Masaniello, Napoli 1972, pp. 44; L. Osbat, L'Inquisizione a Napoli. Il processo agli ateisti, 1688-1697, Roma 1974, ad Ind.; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-eccles., VIII, p.6; P. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica, V, Patavii1952, pp. 16, 133, 141, 283.