BUSENELLO, Giacomo
Figlio di Pietro e di Antonia Viscardi, nacque a Venezia nel 1682. Apparteneva ad una delle più cospicue casate di cittadini originari ed egli stesso ricorda più volte con orgoglio il fedele ed onorevole servizio reso dai suoi avi alla Repubblica. Dal padre, che nel 1698 raggiunse l'ambita carica di cancellier grande, fu condotto ancora in giovane età presso la residenza di Milano, dove poté fare un'esperienza indispensabile per la sua futura attività diplomatica, cui lo spingevano le tradizioni familiari. Il suo tirocinio iniziò presto: tra il marzo ed il maggio del 1707 seguì come segretario gli ambasciatori straordinari in Inghilterra Niccolò Erizzo ed Alvise Pisani e sempre con la stessa mansione accompagnò altri patrizi veneziani nei reggimenti in Dalmazia ed in Levante, partecipando anche ad una o forse a tutte due le legazioni di Carlo Ruzzini a Costantinopoli (agosto 1705-settembre 1706 e maggio 1719-ottobre 1720). Dal 30 luglio 1716, frattanto, era segretario del Senato.
Nel maggio del 1723 finalmente la prima responsabilità autonoma: la designazione a residente a Napoli. Condusse con sé il giovane nipote Pietro, già assunto alla cancelleria ducale e più tardi, nel 1746, segretario del Consiglio dei dieci.
Non era facile il compito che lo attendeva: la fine della guerra di successione spagnola aveva portato sul trono di Napoli quella casa d'Austria che già premeva minacciosamente ai confini settentrionali e dalmatici di Venezia, tentando di scalzarne il secolare predominio in Adriatico. Ed appunto in prevalenza su temi economici si accentrò l'interesse del B., che intavolò lunghe e pazienti trattative per indurre i rappresentanti del governo di Vienna a riconfermare i privilegi goduti dai sudditi veneti sotto il dominio spagnolo ed esercitò soprattutto un'attenta sorveglianza sulle nuove iniziative commerciali austriache, con particolare riguardo ai tentativi di potenziare i porti di Trieste e Fiume e di avviare accordi con il Portogallo e gli Stati barbareschi. Precise notizie fornì anche sui movimenti delle squadre corsare e sulle vicende interne del Regno, con una spiccata sensibilità ai problemi finanziari della nuova amministrazione.
La salute precaria e le eccessive spese imposte dalla carica lo indussero a chiedere il trasferimento ad una sede meno digagiata e così nel marzo del 1726 fu destinato a Milano, dove era ancora vivo il ricordo del padre.
La residenza nella capitale lombarda, dove giunse il 13 maggio dopo un viaggio assai difficoltoso, era di rilevante importanza: si trattava di mantenere rapporti di buon vicinato con uno Stato immediatamente a ridosso di Venezia e che dalla rinnovata e dinamica amministrazione austriaca traeva stimolo per una politica di sprezzante superiorità nei confronti di un paese ormai relegato ai margini del grande gioco politico internazionale, quale era e voleva essere in quel momento la Repubblica veneta. Senza dubbio positivi i risultati della sua legazione: al di là delle puntuali informazioni sulle vicende della politica europea e della soddisfacente soluzione di alcune fastidiose controversie di frontiera, merita di essere sottolineata la sua opera per rendere difficile la concorrenza delle manifatture lombarde a quelle venete ed in questo senso, parallelamente alle notizie sull'attività della compagnia di Trieste e sulla questione dell'appalto del sale, esercitò anche un'azione di vero e proprio sabotaggio industriale: infatti nel gennaio del 1727 giunse a distruggere, con un segreto maneggio, i macchinari di una nuova fabbrica di specchi sorta a Milano con l'aiuto di tre operai veneziani ed in palese rivalità con l'analoga produzione di Murano. La sua sensibilità ai problemi economici in generale è testimoniata anche dai molti particolari riferiti sui problemi fiscali della burocrazia austriaca in Lombardia. Della rischiosa impresa anticoncorrenza e dei fruttuosi negoziati intesi ad ottenere favorevoli condizioni al passaggio in territorio veneto di truppe tedesche dirette a Milano, si mostrò grato il Senato, concedendogli in più riprese gratifiche per sopperire alle molte spese di rappresentanza.
Nonostante questi lusinghieri apprezzamenti, trascorso il periodo minimo di legazione previsto dalle leggi, sin dal maggio 1728 cominciò a sollecitare il richiamo. La morte del fratello Giovan Francesco, che ricopriva la carica di segretario del Consiglio dei dieci, avvenuta nel marzo dell'anno successivo, le difficoltà finanziarie in cui si dibatteva, in parte anche a causa dei forti debiti contratti dal padre ed infine l'aggravarsi delle sue condizioni di salute, resero sempre più pressanti le sue istanze, sinché nel giugno del 1732 il governo lo sostituì, permettendogli alcuni anni di tranquillo soggiorno sulle lagune. A coronamento di una già brillante carriera, giunse nel giugno del 1736 la nomina a residente a Londra.
Dalla metropoli inglese, ottimo punto di osservazione dello scacchiere politico mondiale, assicurò al Senato veneto molte notizie di prima mano sulle intricate trattative che si svolgevano tra le varie cancellerie per avviare a soluzione il problema della successione polacca, ma anche in questa sede una parte non secondaria dei suoi dispacci era costituita da interessanti notazioni sulla vita politica interna del Regno. La vivace attività del Parlamento, la relativa libertà di parola e di stampa che tanto lo colpiva, l'abilità del Walpole, le questioni finanziarie e gli aspetti più appariscenti della impetuosa espansione economica del paese lo trovarono testimone attento e curioso persino di notizie di cronaca spicciola, tanto che non mancò di riferire su progetti di illuminazione a gas di Londra e sulle discussioni intorno alle lotterie.
Questa missione in un paese tradizionalmente legato da rapporti di amicizia con Venezia, senza gravi problemi sul tappeto e che sembrava dunque destinata a procurargli solo soddisfazioni, si concluse invece in modo brusco ed inatteso: indignata per l'accoglienza quasi ufficiale riservata dalla Repubblica veneta al figlio maggiore del pretendente al trono, la corte inglese il 4 luglio 1737 ordinò al B. di rientrare immediatamente in patria. Riusciti vani i tentativi di giustificazione, egli dovette lasciare l'Inghilterra e l'8 luglio raggiunse Calais; trascorsi poi alcuni mesi a Parigi presso l'ambasciata veneziana, nel novembre dello stesso anno tornò a Venezia, ove esercitò ancora dal 3 sett. 1739 al settembre 1743 la carica di segretario del Consiglio dei dieci. Ignota è la data della sua morte. Il testamento, con la modestia dei beni lasciati in eredità ai nipoti Pietro e Marcantonio (il B. non era sposato), ci conferma le strettezze di cui si lamentava più volte nel corso delle sue missioni.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Senato,Dispacci ambasciatori,Napoli, filze 120, 121, 122; Milano, filze 175, 176, 177, 178; Inghilterra, filza 102; Expulsis papalistis, filza 15; Segretario alle voci,Elezioni del Senato, reg. 21, 22, 23; Sezione notarile,testamenti G. Francesco Zantoderi, busta 1097, f. 270; Venezia, CivicoMuseo Correr, G. Tassini, Cittadini venez., Venezia 1888, pp. 257-258; I libri commem. della Repubblica di Venezia, a cura di R. Predelli, VIII, Venezia 1914, pp. 29, 125.