BONCOMPAGNI, Giacomo
Nacque a Bologna l'8 maggio 1548, figlio naturale di Ugo, il futuro pontefice Gregorio XIII, allora semplice chierico, e "de Madalena da Carpi dona soluta", come lo stesso Ugo attestò nel primo atto di legittimazione del figlio il 5 luglio di quel medesimo anno (Arch. Segr. Vat., Boncompagni, prot. V, n. 5 bis).
Il padre del B. seppe affrontare con notevole disinvoltura l'imbarazzante situazione, che tanto più diventava tale quanto più progrediva la sua carriera ecclesiastica: si prese cura del figlio facendolo allevare dignitosamente a Trento e poi indirizzandolo agli studi, sino a fargli frequentare l'università di Padova e, divenuto papa, non nascose in nessun modo la propria paternità, che anzi confermò nel febbraio 1576 con un nuovo documento di legittimazione, in occasione del matrimonio del giovane con Costanza Sforza. Assai più preoccupati di lui si mostrarono però in proposito parecchi contemporanei e poiché il B. divenne un personaggio di primo piano nel mondo politico del tempo, la definizione dei suoi rapporti col papa nei documenti diede luogo alle più curiose esercitazioni dei privati e dei governi. Tali preoccupazioni furono non meno curiosamente raccolte da vari biografi di Gregorio XIII e, ancora nel 1918, la Civiltà Cattolica si premurava di chiamare il B. "nipote di Gregorio XIII" (La "Vertuosa Compagnia de i Musici di Roma", XLIX [1918], n. 2, p. 516).
Gregorio XIII, già dieci giorni dopo essere asceso al soglio pontificio, nominò il B. prefetto di Castel S. Angelo con breve del 23 maggio 1572 e con la giustificazione di tale ufficio il 29 maggio seguente lo chiamò dallo Studio di Padova a Roma, dove il B. s'iscrisse ai corsi del Collegio Germanico-ungarico, per proseguire e completare gli studi.
Personalmente incline a ripetere nei riguardi del figlio, come del resto degli altri parenti, gli atteggiamenti munifici di tanti suoi predecessori cinquecenteschi, il papa trovò tuttavia un fermo ostacolo nell'ambiente di Curia, specialmente nei numerosi gesuiti e teatini che egli aveva ereditato dal pontificato di Pio V, i quali tutti si facevano intransigenti assertori dell'austerità tridentina e non si stancavano di proporre al gioviale e condiscendente pontefice bolognese le virtù personali del predecessore. Così Gregorio XIII dovette rinunziare alla maggior parte dei grandi disegni che forse nutriva per il figlio, e che questi per conto suo nutriva certamente, e dovette accontentarsi, specialmente nei primi tre anni del pontificato, quando in vista del giubileo del 1575 sembrava più sconveniente una plateale manifestazione di nepotismo, di accumulare sul B. cariche e benefici in fin dei conti secondari: così, con breve del 17 apr. 1573, 10 creò generale della Chiesa, in sostituzione di Marcantonio Colonna, ma subito lo allontanò da Roma, dove probabilmente la presenza del B. risultava sgradita ai suoi più rigidi consiglieri, e lo inviò ad Ancona sotto pretesto di provvedere al rafforzamento delle difese della città in vista di una qualche possibile sorpresa turca, che si temeva in seguito allo scioglimento della lega con la Repubblica di Venezia e con la Spagna. Non impedì, tuttavia, che le potenze cristiane e le città dello Stato della Chiesa si dimostrassero larghe di cariche e di titoli verso il figlio: così la città di Roma, che concesse al B. e alla sua discendenza la cittadinanza onoraria nel febbraio 1573; così la Repubblica veneta, che lo ascrisse nella sua nobiltà; così Filippo II, che il 1º ag. 1575 gli attribuì la carica onorifica di capitano generale delle genti d'arme spagnole nello Stato di Milano. A queste cariche e a questi onori, altri se ne aggiunsero negli anni successivi, sempre al di fuori dell'iniziativa, almeno esplicita, del pontefice. Lo stesso Filippo II, il 22 ag. 1578 concesse al B. il feudo di Casale Maggiore con titolo di marchese e nello stesso anno lo elesse nel Consiglio di stato di Milano, per poi crearlo cavaliere di Calatrava, con una ricca commenda e la carica di gran cancelliere dell'Ordine, nel 1582; Orvieto, nel 1578, lo ascrisse nella nobiltià cittadina.
Sino a che non fu esaurito il giubileo il B. non ottenne altro dal padre, se non qualche missione rappresentativa, come, nel 1574, l'incarico di rappresentare personalmente il pontefice presso Enrico III di Valois, durante il soggiorno del sovrano a Ferrara. Chiuso l'anno giubilare, cadevano molte preoccupazioni della Curia verso le manifestazioni di munificenza del pontefice; Gregorio XIII, inoltre, grazie appunto al giubileo, disponeva ora di somme assai più larghe per poter affrontare e risolvere definitivamente il problema della sistemazione del figlio. Cominciò col trattarne il matrimonio con uno dei più bei partiti romani, quello di Costanza Sforza, dei conti di Santa Fiora, la quale portava una dote di 50.000 scudi: il matrimonio, celebrato a Roma nel febbraio 1576 (i festeggiamenti furono subito dopo, con altrettanta pompa, ripetuti in Bologna), rimase memorabile per l'ostentazione di sfarzo alla quale diede luogo in Vaticano. Sebbene un incidente abbastanza grave di cui il B. era stato protagonista (nell'agosto 1576 aveva tratto dalle carceri di Tor di Nona un familiare accusato di omicidio) avesse indignato assai il pontefice contro il B., sino a ordinargli il confino a Perugia - provvedimento però assai presto revocato -, Gregorio XIII proseguì instancabile l'opera di edificazione della fortuna del figlio, cui il 28 dic. 1576 affidò la carica di governatore di Fermo (rinnovatagli poi, scaduto il regolare quinquennio, il 3 apr. 1581), con la redditizia facoltà di provvedere alla tratta del grano dal Regno di Napoli alla Marca. Ma questo non era che un espediente per aumentare le rendite del B., che a torto il Pastor giudica modeste.
In realtà il pontefice era decisamente orientato a creare uno Stato al figlio. Di qui i suoi tentativi, nel febbraio 1577, di inserirsi nella crisi politica determinata dalla questione di Saluzzo. L'episodio, ignorato dal Pastor e dai biografi di Gregorio XIII, è riferito dagli ambasciatori mantovani alla corte di Francia. Qui Gregorio XIII inviò un segretario a proporre l'acquisto del marchesato per 600.000 scudi: il pontefice si dichiarava disposto a ignorare tutte le questioni relative ai diritti sabaudi e gonzagheschi e ad accettarne per il figlio l'investitura dal re di Francia; inoltre, per rendere più facile la trattativa, faceva consegnare al re dal suo inviato un sussidio di 40.000 scudi per la lotta contro gli eretici. Il tentativo fallì perché Enrico III sapeva troppo bene di quanta importanza fosse il possesso di Saluzzo per la sua politica italiana: l'episodio dimostra però sin dove fosse disposto a spingersi il pontefice a beneficio del figlio.
Gregorio fu dunque costretto a ripiegare su più modesti obiettivi: il 5 ag. 1577 acquistò il marchesato di Vignola, con i feudi minori di Montefestino e Savignano, per 70.000 scudi d'oro ferraresi da Alfonso II d'Este e il 12 sett. 1579, da Francesco Maria della Rovere, il ducato di Sora e relative dipendenze per la somma di 100.000 scudi d'oro, ottenendone da Filippo II, il 23 dicembre dello stesso anno, l'investitura per il figlio; questi poi il 5 maggio 1583 ottenne per 243.000 ducati da Alfonso d'Avalos d'Aquino anche i feudi di Aquino e Arpino.
Il B. diveniva così uno dei più ricchi e prestigiosi membri dell'aristocrazia romana, anche se nessuno dei suoi feudi era situato nel territorio pontificio. A questo però non fece riscontro una corrisondente influenza politica, sebbene Gregorio XIII si confidasse volentieri con lui sulle iniziative politiche della Chiesa, e il B. approfittasse in più di una occasione dell'affetto del papa per influenzarne le decisioni in favore di Filippo II: vi si opponevano, come al solito, gli esponenti di Curia, semmai assai più disposti a tollerare le elargizioni di Gregorio XIII verso i suoi consanguinei che non a sopportare le piaghe politiche del nepotismo. Così al B., uomo colto, principe sfarzoso, dotato di una notevole fortuna personale, mecenate generoso, toccarono soprattutto funzioni rappresentative, che in qualche caso si rivelarono assai comode alla Curia per la stessa ambiguità del personaggio. Nel febbraio 1581, per esempio, allorché giunsero a Roma gli inviati dello zar Ivan IV a riallacciare i rapporti interrotti da cinquanta anni, non volendo dispiacere al re di Polonia con una accoglienza ufficiale ai rappresentanti del suo più fiero nemico, la Curia affidò al B. il compito di dare con la sua splendida ospitalità una maggiore rilevanza all'accoglienza privata che fu riservata ai Moscoviti.
Dopo la morte del cardinale Alessandro Sforza, investito da Gregorio XIII di pieni poteri per la lotta contro il brigantaggio che infestava lo Stato della Chiesa, il comando di questa importante attività fu affidato congiuntamente al B. e a Latino Orsini, i quali lo esercitarono dal 1581 al 1583, sostituiti poi da un nuovo commissario generale, Giulio Ongarese. Probabilmente il papa fu indotto a privare il figlio del comando dai pericoli stessi della carica, nella quale comunque il B. fu ben lontano dal raggiungere risultati decisivi, che soltanto la spietata energia del successore di Gregorio seppe ottenere.
La posizione personale del B. non fu in sostanza diminuita dai pontificati successivi. Alla morte di Gregorio, il 10 apr. 1585, il Collegio dei cardinali gli affidò il compito di provvedere al mantenimento della pace nello Stato della Chiesa durante il periodo della sede vacante: il B. ebbe perciò alle proprie dipendenze un piccolo esercito di duemila fanti e di quattro compagnie di cavalleria leggera, con i quali fece fronte al pericolo di torbidi e alla minaccia dei banditi. Un ruolo importante ebbe pure durante il conclave, esercitando anzi sui cardinali gregoriani una influenza maggiore del cugino, il cardinal nepote Filippo Boncompagni. Questi infatti si era subito dichiarato - anche a nome dell'intero partito gregoriano, forte di sedici voti in conclave - in favore di Alessandro Farnese; aveva tuttavia commesso la grave scorrettezza di non discutere la cosa con gli altri cardinali creati da Gregorio XIII e il risentimento di costoro si polarizzò intorno al B., il quale, prima che il conclave si chiudesse, si prodigò presso di loro perché sostenessero il cardinale Medici. Il che quelli fecero effettivamente in conclave, seguendo il Medici quando questi, vista improbabile la propria elezione, riversò i voti dei suoi aderenti sul cardinale Peretti, eletto col nome di Sisto V.
Probabilmente l'episodio giovò al B. per ottenere dal nuovo pontefice la conferma della carica di governatore generale delle milizie pontificie, il che avvenne con un breve del 25 apr. 1585. Perdette invece il governo di Fermo, nel quale gli successe, il 22 giugno di quel medesimo anno, lo zio Boncompagno Boncompagni. Uguale protezione il B. ottenne da Gregorio XIV, personalmente troppo grato a Gregorio XIII, che lo aveva chiamato nel Sacro collegio, per arrecare danno al figlio di lui, e da Clemente VIII, il quale accordò al B con breve del 6 luglio 1600, la conferma di tutti i privilegi di cui sino ad allora aveva goduto. Ma ormai il B. non prendeva più parte, nemmeno nella limitata misura di un tempo, alla vita politica dello Stato pontificio, anzi finì per abbandonare Roma, dividendosi tra il suo feudo di Sora e Milano, dove partecipava alle sedute del Consiglio segreto e aveva agio di spiegare tutta la propria magnificenza, essendo lì del tutto intatto il suo prestigio e conservandovi tutte le cariche concessegli da Filippo II, laddove a Roma ormai sarebbe stato un personaggio secondario. Nel 1611 si ritirò definitivamente a Sora, rinunziando praticamente a tutte le sue attività e compiti di rappresentanza. Del resto negli anni successivi alla morte di Gregorio XIII si era andato sempre più accentuatamente dedicando alla cura del patrimonio familiare, a proteggere artisti e letterati, a sollecitare la glorificazione storiografica del padre.
Alle attività economiche e finanziarie il B. si era rivolto assai per tempo, praticamente sin dal suo arrivo a Roma. Numerosi documenti dell'archivio di famiglia mostrano come egli, soprattutto nei suoi primi anni romani, si occupasse attivamente della compera e della vendita degli uffici di Curia e del commercio di terreni. Successivamente riservò il suo appoggio a iniziative industriali o finanziarie nei feudi di Vignola e del Regno. Il 22 nov. 1576 acquistò dalla vedova di Paolo di Castro una miniera di allume nella regione della Tolfa; il 27 apr. 1579 prestò una cauzione di 25.000 ducati in favore di Bernardo Olgiati, esponente dell'importante casa bancaria, perché aprisse un banco a Napoli, mentre un altro documento dei rapporti del B. con questo gruppo di banchieri è la Rilevanza di BenedettoOlgiati a favore diGiacomo Boncompagni,per sicurtà già fattagliper scudi10 mila, datata in Napoli il 28 genn. 1600 (Arch. Segr. Vat., Boncompagni, prot. 617, n. 8). Il 16 maggio 1583 acquistò una cartiera nel territorio di Sora, da Francesco Angelico, per 1.500 ducati e, nello stesso feudo, creò una società per l'introduzione dell'arte della lana. Nel 1589, infine, accordò importanti privilegi ad alcuni banchieri ebrei perché aprissero un banco in Vignola.
Della protezione accordata dal B. ai letterati fanno fede le numerose opere a stampa a lui dedicate e quelle manoscritte, nell'archivio della famiglia: G. B. Salviati gli dedicò un Discorso sulle cose di Fiandra (Arch. Segr. Vat., Boncompagni, cod. F, n. 27), Aldo Manuzio la ristampa veneziana del 1575 dei Commentari di Cesare, G. Todini una Relazione dell'impresa di Portogallonel 1580, ora nella Biblioteca di Stato di Monaco F. Albergati i manoscritti del Trattato di politica e discorsosul modo diconoscere la verità e far buona scelta di ministri, D. Mora un Parere... sopra l'ordine diguerreggiare la potenza del Turco, Bologna 1572, E. du Pérac, infine, una raccolta di incisioni in rame, pubblicata in Roma nel 1577 col titolo I vestigi dell'antichità di Roma. Nella Biblioteca del B., ora confluita nella Biblioteca Apostolica Vaticana, rimangono anche i manoscritti delle opere di Scipione di Castro, il quale fu al servizio del B. in qualità di segretario nel periodo della sua maggiore attività; la biblioteca fu ordinata e arricchita dallo storico Carlo Sigonio, il quale fu ospite del B. durante il suo soggiorno romano, e dedicò al suo anfitrione il De regno Italiae, Venetiis 1591; il B., poi, alla morte del Sigonio fece acquisto anche della biblioteca di lui. Tra i protetti dei B. fu Pierluigi da Palestrina, il quale, anche se qualche biografo esclude che fosse al servizio diretto del duca, gli dedicò comunque il primo libro dei madrigali a cinque voci ed il secondo libro dei mottetti a quattro voci. Al B., tra gli infiniti altri, si rivolse infine Torquato Tasso dal carcere-ospedale ferrarese di S. Anna.
Dopo la morte del padre il B. intraprese la raccolta di documenti relativi al pontificato, con una ricerca attenta anche delle testimonianze dei contemporanei. Su questa raccolta di documenti si fondò essenzialmente la compilazione degli Annali di Gregorio XIIIpontefice massimo di G. P. Maffei, opera fondamentale su questo papa, direttamente promossa e sostenuta dal Boncompagni. Tale raccolta di materiali diede anche l'avvio alla formazione dell'archivio della famiglia, passato poi nell'Archivio Segreto Vaticano.
Il B. morì a Sora il 18 ag. 1612, come riferisce lo Scudicini; il 26 giugno dello stesso anno, secondo il Litta.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vat., Boncompagni, prot. I d., p. IV n. 25, Mem. della fam. Boncompagniscritte da Scudicini fino aGregorio XIII; T. Tasso, Lettere, a cura di G. Guasti, II, Firenze 1853, pp. 80-93, 568 s.; M. de Montaigne, Giorn. di viaggio inItalia, a cura di E. Camesasca, Milano 1956, passim; A. Cametti, Palestrina, Milano 1925, pp. 221 s.; A. Segre, Emanuele Filiberto di Savoiae G. Gonzaga(1559-1580), Modena 1929, p. 184; L. von Pastor, Storia dei papi, IX, Roma 1929, passim; X, ibid. 1928, passim; A. Saitta, Avvertimenti di don Scipione di Castro aM. A. Colonna quando andò viceré di Sicilia, Roma 1956, p. 15; J. Delumeau, Vie économiqueet sociale de Romedans la secondemoitié du XVIesiècle, Paris 1957-1959, passim; L. von Ranke, Storia dei papi, Firenze 1959, pp. 315 s., 324; P. Litta, Le fam.celebri italiane,s.v. Boncompagni di Bologna, tav. II.