RANGONI, Giacomino
– Figlio di Guglielmo e di una Guiglia, della quale non è noto il casato, Rangoni nacque nei primi anni del XIII secolo ed è documentato per la prima volta il 28 aprile 1215, quando la madre stipulò a suo nome un contratto dotale per le future nozze con Bartolomea di Salinguerra Torelli (rappresentato dal dominus Bernardino domini Pii).
L’ammontare della dote (1000 lire bolognesi) fu garantito con beni di pari valore in Marzaglia (uno dei possedimenti dei Rangoni).
Nulla sappiamo del periodo giovanile di Giacomino, che in quanto miles collaborò forse a Modena con l’attività amministrativa dei podestà imperiali. Inserito nel gruppo dei collaboratori imperiali Rangoni fu chiamato nel 1234 a ricoprire l’incarico di podestà di Todi, quando la città era ancora schierata per Federico II. Tre anni più tardi (1237) ebbe modo di assumere il governo di Siena (ove nel 1225 e nel 1232 era già stato podestà suo fratello Gerardo Guilielmi Rangonis de Mutina). Nella città toscana si adoperò, insieme con il conte Guglielmo Aldobrandeschi di San Fiora, per ottenere da papa Gregorio IX la remissione della scomunica irrogata contro la città (che nel 1236, insieme coi milites di Grosseto, aveva attaccato le proprietà del suddetto conte, fedele vassallo papale).
Alcuni anni più tardi (1245) Rangoni resse per un anno la città di Foligno, mantenendosi sempre fedele alla causa imperiale (pur indebolita, ormai, dal processo di Lione e dalla scomunica contro Federico II lanciata nell’ottobre del 1245 da Innocenzo IV). L’anno successivo la situazione della pars Imperii non migliorò, anzi il 31 ottobre 1246 il figlio di Federico II, re Enzo o Enrico, obbligò Rangoni - col nipote Guglielmo probabilmente figlio di Gerardo - a seguirlo verso i territori lombardi dell’Oltre Ticino insieme a 25 milites de parte sua per contrastare la discesa di un possibile esercito papale, da inviarsi in subsidium Lombardorum (Cronache Modenesi, 1888, p. 47). Nessun esercito papale tuttavvia passò le Alpi; Rangoni (col nipote) rientrò il 22 aprile 1247 con re Enzo a Parma insieme ai 25 cavalieri, ma una volta giunti in città questi ultimi guidati da Rangoni recesserunt sine licentia dicti regis, passando al partito papale (ibidem). Pochi mesi dopo (giugno 1247) Rangoni occupò con le sue milizie, ormai guelfe, il castello di Savignano, che i Bolognesi gli concessero in signoria; dopo la presa del castrum di Nonantola, infine, la classe dirigente di Bologna gli affidò di nuovo la difesa di quella fortezza.
Dopo aver sconfitto re Enzo a Fossalta (maggio 1249), i Bolognesi posero subito l’assedio a Modena, che si arrese al cardinal Ottaviano Ubaldini, legato papale in Lombardia. Nelle trattative coi Grasolfi (i ghibellini modenesi, intrinseci) che seguirono (11 novembre 1249), Rangoni fu scelto come rappresentante dei Modenesi estrinseci, gli Aigoni, insieme con Guido di Rodeglia e Dosio da Ganaceto. Con la pace del 23 dicembre 1249, sancita dall’Ubaldini, l’interdetto cessò, furono eletti due podestà (uno per pars) e il 31 dicembre Rangoni, cum gaudio et honore, rientrò da Reggio nella città natale (Chronicon Mutinense, 1919, p. 27). Due settimane dopo, insieme coi Rodeglia, e nel palazzo nuovo del Comune di Modena, presente il cardinal Ottaviano e il Consiglio generale della città, Giacomino stipulò un accordo di pace coi da Gorzano, una famiglia ghibellina che controllava un castello a Maranello (non lontano da Marzaglia).
Per otto anni mancano notizie di Rangoni, che nel gennaio 1258 fu chiamato a ricoprire la carica di podestà di Rimini, trovandosi a fronteggiare l’esito, negativo per il Comune e corredato da scomunica e interdetto – a seguito della sentenza emessa dal vescovo di Modena delegato papale (4 marzo 1258) –, di un annoso processo intentato dall’arcivescovo di Ravenna per i diritti giurisdizionali su un antico possesso della sede metropolitica. L’appello proposto da Rangoni fu senza esito (15 marzo). Qualche miglior successo ebbe la successiva tappa del suo cursus honorum, la podesteria di Bologna del 1259: ne resta una importante lettera (agosto 1259), di alto profilo retorico, inviata al conte Azzo da Bagnacavallo, podestà di Ravenna, in replica a una precedente richiesta di garanzie per il libero acquisto e trasporto in Bologna di grano comperato nei territori del conte, nella diocesi di Ravenna, o altrove.
Il testo esemplifica bene la varietà delle modulazioni retoriche e politiche (moral suasion, inviti alla moderazione, velate minacce di intervento armata manu, promesse di amore che augeatur in aeternum, che in una corrispondenza d’ordinaria amministrazione tra funzionari omologhi potevano essere messe in campo. Le richieste di Rangoni e dei Bolognesi furono approvate a maggioranza dal Comune di Ravenna, per un anno, col corredo del divieto di rappresaglie, e comunicate a Gerardo del Carretto, giudice e vicario di Rangoni (17 settembre)
Nell’anno 1260 fu Firenze a offrire la podesteria a Rangoni, che organizzò subito un’offensiva contro Siena, rifugio dei ghibellini banditi (fra i quali Farinata degli Uberti). Il 19 aprile Rangoni, preceduto dal carroccio, guidò l’esercito, organizzato in 12 schiere, ciascuna provvista di un capitano (per un totale di 30.000 uomini tra cavalieri, fanti, balestrieri, arcatori e pedoni). Dopo la facile conquista di Casole e di Menzano, a inizi di maggio l’esercito fiorentino marciò verso Badia a Isola e Monteriggioni, avvicinandosi a Siena dalla parte di porta Camollia; ma dopo qualche breve e pur sanguinoso scontro si ritirò. Dopo l’estate la guerra riprese, in reazione agli attacchi di Siena e dei fuorusciti Fiorentini guidati dall’Uberti contro Montalcino e Montepulciano. Rangoni guidò di persona un esercito di 3.000 cavalieri e 30.000 fanti. Il 4 settembre, nei pressi di Montaperti, sotto l’urto delle cavallerie ghibelline, la battaglia si trasformò in una pesante disfatta dei guelfi fiorentini, che subirono gravissime perdite; fu il celeberrimo "grande scempio / che fece l’Arbia colorata in rosso" (If., X, 85).
Le conseguenze per Rangoni furono inevitabili; al rientro dei ghibellini a Firenze egli abbandonò la podesteria e raggiunse Modena ove (essendo podestà nel 1261 il guelfo parmense Scurta della Porta) in quanto honorabilis civis mutinensis, olim potestas Florentie, ottenne un rimborso di ben 1100 lire di fiorini piccoli per il mancato salario degli ultimi mesi del 1260 e di 776 lire modenesi pro rebus amissis in Firenze e durante la battaglia, con diritto personale di rappresaglia contro i Fiorentini e i loro beni (Del Vecchio - Casanova, 1894, p. 287).
Il suo prestigio in Modena restava indiscusso, e in quanto leader (con Manfredo della Rosa) degli Aigoni, la fazione guelfa, nel febbraio 1264 intervenne in Ferrara al momento della morte di Azzo VII d’Este in appoggio all’elezione del nipote di costui, Obizzo. Da quest’ultimo (oltre che dal conte veronese Ludovico di San Bonifacio, un altro guelfo eminente, fuoruscito a Mantova) ebbe un pronto ricambio a fine 1264, quando chiese e ottenne un appoggio militare per l’espulsione da Modena dei Grasolfi ghibellini (14 dicembre). Dopo alcune settimane di governo di un ‘comitato di salute pubblica’ (composto da Guglielmo, nipote di Rangoni, da un Boschetti – la casata del vescovo –, un da Rodeglia e un da Nonantola: tutti guelfissimi), si tornò al regime podestarile (semestrale).
Oltre a influire indirettamente in Modena, Rangoni fu direttamente coinvolto, nello stesso anno, nel rivolgimento guelfo in Reggio: il 6 marzo 1264 il podestà Marco Gradenigo, sospetto di filo-ghibellinismo, fu cacciato e la podesteria fu offerta a Giacomino. Nella confusa situazione degli anni successivi (1265-69), egli continuò a operare per il rafforzamento delle posizioni guelfe nelle due città emiliane, sino a diventare nel 1269 (contro la prassi statutaria) podestà proprio di Modena, e tra maggio e luglio guidò i guelfi all’assedio di alcuni castelli ghibellini del contado. A Reggio invece, per richiesta del Comune locale, nel 1269 re Carlo I d’Angiò inviò come podestà Oddo Oddi di Perugia.
Anziano ormai (doveva essere sui settanta), Rangoni non demordeva. Nel 1270 si distinse nella giostra celebrata a Modena in occasione della visita di Baldovino II, imperatore di Costantinopoli; nel primo semestre 1271 fu podestà di Cremona.
Conosciamo in questo caso lo staff che lo affiancava: capitano del Popolo era il pistoiese Corrado da Montemagno; giudici, Pietro Petenario per le cause civili, e Gherardino Ardenghi ad officium maleficiorum; massari, come d’uso in molte città, due ecclesiastici (un umiliato e un monaco).
Nella seconda metà dell’anno invece collaborò col Comune di Carpi ottenendone un compenso perché extitit auxiliarius in anno presenti (Tiraboschi, 1824, p. 142), collaborazione rinnovata anche qualche anno più tardi (100 lire gli furono versate il 9 gennaio 1276); si trattò forse, come vuole il Tiraboschi (ibid.), di un qualche intervento nelle liti tra le famiglie modenesi per il controllo dell’arcipretura di Carpi. L’ultima podesteria di Rangoni fu a Parma, nel primo semestre 1278, e lasciò traccia duratura con l’inizio della ricostruzione de lapidibus et quadrellis dei due ponti lignei sull’omonimo fiume (il ponte di Galeria e il ponte «della signora Egidia»). Gli interventi per la costruzione e per le possibili riparazioni erano previsti due volte all’anno.
Giacomino Rangoni morì tra il 23 luglio e il 30 agosto 1278.
Scompariva con lui un tipico podestà professionale, ‘prodotto’ fra i più innovativi della cultura politica italiana del pieno Duecento: fegatoso uomo di parte ma anche diplomatico, leader militare non sempre fortunato, aristocratico ben consapevole delle prerogative del proprio ceto ma ben in grado di intendere il ‘bene comune’ di una città.
Fonti e Bibl.: Chronicon Senense, italice scriptum ab Andrea Dei, et ab Angelo Turae continuatum [...], in RIS, XV, Mediolani 1729, col. 25; Fragmenta Fulginatis Historiae, in Antiquitates Italicae Medii Aevi, IV, Mediolani 1741, coll. 138, 734; Paolino Pieri Fiorentino, Cronica della cose d’Italia dall’anno 1080 fino all’anno 1305, a cura di A.F. Adami, Roma 1755, pp. 29 s.; Codex diplomaticus Cremonae (715-1334), a cura di L. Astegiano, II, Augustae Taurinorum 1898, p. 193; Chronicon Parmense: ab anno MXXXVIII usque ad annum MCCCXXXVIII, a cura di G. Bonazzi, in RIS2, IX/9, Città di Castello 1902-1904, p. 34; Johannes de Bazano, Chronicon Mutinense, a cura di T. Casini, in RIS2, XV/4, Bologna 1919, pp. 25-28, 39.
L.V. Savioli, Annali Bolognesi, III/2, Bassano 1795, pp. 359 s.; G. Tiraboschi, Memorie Storiche Modenesi, II, Modena 1793, pp. 67-70, 72, 80; IV (1794), p. 53, doc. DCXCVIII; Id., Dizionario Topografico-Storico degli Stati Estensi, I (A-L), Modena 1824, p. 142; L. Tonini, Rimini nel secolo XIII, Rimini 1862, pp. 108, 214; C. Paoli, La battaglia di Montaperti: memoria storica, Siena 1869, pp. 20, 41; Cronache Modenesi di Alessandro Tassoni, di Giovanni da Bazzano e di Bonifazio Morano, a cura di L. Vischi - T. Sandonnini - O. Raselli, Modena 1888, pp. 46-52; A. Del Vecchio, E. Casanova, Le rappresaglie nei comuni medievali e specialmente in Firenze, Bologna 1894, pp. 287 s.; G. Ceci, Podestà, capitani e giudici di Todi nel secolo XIII, in Bollettino della regia Deputazione di Storia patria per l’Umbria, III (1897), p. 312; P. Vicini, I podestà di Modena (1156-1796), Roma 1913, pp. 132-135; R. Rölker, Nobiltà e comune a Modena. Potere e amministrazione nei secoli XII e XIII, trad. it., Modena 1997, pp. 117 s.; P. Bonacini, Dinamiche istituzionali e circolazione dei podestà a Modena nel secolo XIII, in Atti e Memorie dell'Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Modena, s. 8, IV (2000-2001, ma 2002), pp. 11,13, 26,54; Id., Istituzioni comunali, edilizia pubblica e podestà forestieri a Modena nel secolo XIII, in Le storie e la memoria. In onore di Arnold Esch, a cura di R. Delle Donne - A. Zorzi, Firenze 2002, p. 79.