MANTINO, Giacobbe (Jacob ben Shemuel, Giacobbe giudeo)
Nacque da Shemuel, probabilmente nel 1490. Poche e frammentarie sono le notizie sulle sue origini; la famiglia si trasferì in Italia da Tortosa, città spagnola sede di una delle più ricche e prospere comunità ebraiche, in seguito alla cacciata degli ebrei dalla Spagna (1492).
Sono scarsissime anche le informazioni riguardanti il periodo degli studi di medicina, svolti dal M. a Bologna e a Padova, e sconosciuta è l'università in cui conseguì la laurea. Comunque gli fu attribuito il titolo di "doctor artium et medicinae" nel frontespizio della Paraphrasis… de partibus et generatione animalium di Averroè, opera da lui tradotta dall'ebraico ed edita a Roma da M. Silber nel 1521 con una dedica al papa Leone X.
Oltre a esercitare la professione medica, il M. si distinse per le grandi qualità di umanista, traduttore nonché commentatore di opere di carattere scientifico e filosofico. Egli può essere inserito a pieno titolo tra gli intellettuali ebrei che fra il XV e il XVI secolo si occuparono di tradurre in latino opere filosofiche dall'ebraico (nei secoli XI e XII, invece, molti furono gli esempi di traduzioni dall'arabo in ebraico dei commenti filosofici di autori orientali come quello di Averroè ad Aristotele).
Nel 1523 furono edite a Bologna da B. Faelli le sue versioni latine dell'Epithoma totius Methaphisices [sic] Aristotelis in quattuor secatum tractatus di Averroè (dedicata al giovane Ercole Gonzaga, allievo di P. Pomponazzi, celebrato dal M. come protettore della filosofia) e dei Libri quarti meteorologicon summula… ex verbis Aristo[telis] et Aver[rois] expositione compacta di Samuel Ibn Tibbon.
Il M. rimase a Bologna fino al 1528, dove raggiunse uno status sociale assai elevato grazie alla notorietà acquisita per la propria erudizione e le capacità di medico e professore, in un tempo in cui il gusto rinnovato per le lingue classiche vedeva una rinascita dello studio dell'ebraico.
Prova del prestigio raggiunto è il breve del 7 febbr. 1528 indirizzato da Clemente VII al cardinale legato della città Innocenzo Cibo, col quale al M. fu concessa "unam lecturam ordinariam in medicina in isto gimnasio bononiense" (Münster, p. 312) dietro un compenso, stabilito dal reggimento di Bologna, di 400 lire.
Se alcuni (Ravà) hanno visto in questo breve e nelle successive decisioni del Senato cittadino la testimonianza di una partecipazione attiva del M. alla vita accademica bolognese, altri (Münster) al contrario l'hanno messa in dubbio, considerando che, secondo i documenti accademici, egli riscosse solo la prima rata dello stipendio. Va anche aggiunto che le rigide regole dell'istituzione accademica bolognese prevedevano che una cattedra non potesse essere assegnata a ebrei, ai quali era vietato anche laurearsi, stando a una decisione del Collegio dei medici. Sembra dunque che la nomina, derivante dall'opportunità di non contraddire la volontà papale, sia rimasta sulla carta e non abbia avuto mai valore effettivo.
In seguito ai problemi politici che viveva in quegli anni lo Stato della Chiesa, nel 1528 il M. si trasferì per un breve periodo a Verona, dove incontrò il favore del vescovo della città, Gian Matteo Giberti, ed entrò in contatto con il suo circolo di intellettuali e scienziati, di cui faceva parte anche J. van Campen, già professore di ebraico a Lovanio.
Nel novembre del 1528 il M. era a Venezia, secondo quanto risulta da una delibera del Consiglio dei dieci nella quale gli si concedeva di portare la berretta nera al posto di quella gialla (imposta come segno di riconoscimento per gli ebrei), pur restando per lui l'obbligo di risiedere all'interno del ghetto. Artefice e mediatore di questa richiesta era stato il maresciallo di Francia T. Trivulzio, presso il quale il M. trovò particolare protezione. Nel corso della sua permanenza a Venezia, continuò a esercitare la professione medica soprattutto presso le famiglie dei maggiorenti veneziani e le ambasciate straniere. Fra i suoi clienti c'era il doge Andrea Gritti, al quale egli dedicò la sua traduzione latina della Quarta fen primi libri de universali ratione medendi di Avicenna, pubblicata la prima volta nel 1530 presso L. Giunti il Vecchio e riedita nel 1532 a Ettlingen da V. Kobian.
Si trattava del quarto trattato del primo libro del Canone (Al-Kanun fial-Tibb), il testo che rappresentò per l'Europa la principale guida medica dal XII al XVI secolo e che, con l'avvento della stampa, fu tra i primi ad avere un gran numero di edizioni. Con il proponimento di portare a termine la traduzione di tutta l'opera, il M. - spronato dall'amico medico e botanico portoghese J. Rodríguez, meglio conosciuto con il nome di Amato Lusitano - intese compiere un'operazione di chiarificazione su molti punti oscuri della tradizionale versione latina del testo. In seguito, infatti, il M. si dedicò alla traduzione della prima "fen" del primo libro del Canone, pubblicata nel 1540 (s.l.) e nel 1547 a Padova da B. Bindoni.
Considerato un personaggio di particolare prestigio nella comunità ebraica veneziana, nel 1530 il M. fu chiamato con altri correligionari a esprimersi sulla liceità del divorzio tra Caterina d'Aragona ed Enrico VIII re d'Inghilterra. Forte della lettura del passo del Levitico (18, 16) in cui si vietava il matrimonio con la vedova del fratello, l'inviato della Corona inglese R. Croke era giunto a Venezia alla ricerca della conferma della nullità del matrimonio da parte di dotti ebrei, con i quali entrò in contatto grazie alla mediazione del frate minore francescano Francesco Giorgio (Zorzi) Veneto. Fu proprio presso l'abitazione di quest'ultimo che il M., dopo due incontri con l'inviato del re, espresse il suo parere contrario appellandosi a Deuteronomio 25, 5, passo in cui il matrimonio con la vedova del fratello morto "senza lasciare figli" era invece espressamente imposto. Favorevole al divorzio si dichiarò E.M. Halfon, medico e cabalista, contro il quale il M. si era trovato in competizione anche per questioni interne alla comunità ebraica.
Halfon riuniva presso la sua abitazione i seguaci di Shĕlōmōh Molko (Molcho), marrano di origine portoghese noto per le sue predicazioni di carattere messianico contro cui il M. prese fermamente posizione al punto da denunciarlo al S. Uffizio. Il Molko riuscì a sottrarsi al processo grazie all'intervento di Clemente VII, presso il quale aveva trovato protezione, ma nel 1532 fu fatto condannare al rogo da Carlo V a Mantova.
Il M., giunto a Roma alla fine del 1533 dopo aver trascorso un periodo a Padova durante il quale pare si fosse dedicato anche ad attività di prestito, prese parte attivamente alla vita della comunità (lo si trova citato come membro del rabbinato con il titolo di "gaon", attribuito a sapienti di particolare rilievo) e continuò a esercitare la professione di medico ai più alti livelli: fu archiatra pontificio di Paolo III Farnese e insegnò medicina pratica presso l'Università tra il 1539 e il 1541. Nel 1539 fu edita dai fratelli Dorico la sua traduzione in latino del piccolo trattato di Averroè sopra il De Republica di Platone. Di quel periodo è anche l'amicizia con il celebre filologo J.A. Widmanstadt e con Marcantonio Contarini, oratore della Repubblica di Venezia presso la Curia.
Nel 1544 il M. tornò a Venezia, dove ottenne nuovamente i suoi privilegi (portare la berretta nera per due anni), questa volta grazie all'intervento dell'ambasciatore di Carlo V a Venezia, D. Hurtado de Mendoza.
Nel 1549 si trasferì a Damasco al seguito dell'ambasciatore veneziano (probabilmente P. Pizzimano, che ricoprì la carica dal 16 sett. 1549 al 18 giugno 1552) e lì morì poco tempo dopo.
Il 26 apr. 1550 il Senato di Venezia accordò agli Eredi di L. Giunti il privilegio di stampare per cinque anni le traduzioni del M., tra le quali la versione del commentario di Levi ben Gerson su Porfirio e Aristotele, l'opera di medicina Colliget (1553) e gli Aristotelis… commentarii… (1552) di Averroè.
Fonti e Bibl.: A. Nicolas, Bibliotheca Hispana…, Romae 1672, I, p. 467; J.J. Manget, Bibliotheca scriptorum medicorum veterum et recentiorum, Genevae 1731, II, p. 258; G.B. De Rossi, Diz. storico degli autori ebrei e delle loro opere, II, Parma 1802, pp. 36 s.; F.M. Renazzi, Storia dell'Università degli studi di Roma (1803), Bologna 1971, II, Parma 1802, II, p. 110; D. Kaufmann, Jacob M. Une page de l'histoire de la Renaissance, in Revue des études juives, XXVII (1893), pp. 30-60, 207-238 (appendice di fonti sul M.); V. Ravà, Di due documenti inediti relativi al medico e filosofo ebreo Jacob M., in Il Vessillo israelitico, LI (1903), pp. 310-313; I. Broydé, in The Jewish Encyclopedia, New York-London 1904, VIII, pp. 297 s.; G. Blustein, Storia degli ebrei in Roma dal 140 a.C. fino ad oggi, Roma 1921, pp. 106, 109, 113; L. Münster, Fu Jacob M. lettore effettivo dello Studio di Bologna?, in La Rassegna mensile di Israel, XX (1954), pp. 310-321; A. Milano, in Encyclopedia Iudaica, Jerusalem 1971, XI, col. 895; D. Carpi, Sulla permanenza a Padova nel 1533 del medico ebreo Jacob di Shemuel M., in Quaderni per la storia dell'Università di Padova, XVIII (1985), pp. 196-203; R. Hissette, Guillaume de Lune - Jacob Anatoli - Jacob Mantinus. À propos du commentaire moyen d'Averroès sur le "De interpretatione", in Bulletin de philosophie médiévale, XXXIII (1990), pp. 142-158; Id., Jacob Mantinus utilisateur de Nicoleto Vernia?, ibid., XLVII (2005), pp. 157-161.