TREDICI, Giacinto
– Nacque a Milano il 23 maggio 1880, quarto di otto figli, da Luigi, piccolo imprenditore, e da Rachele Raimondi.
Il 23 novembre 1902 fu ordinato sacerdote dal cardinale Andrea Ferrari. Negli anni scolastici 1902-03 e 1903-04, fu maestro dei prefetti nel collegio Rotondi di Gorla Minore e nello stesso collegio insegnò anche religione. Dal novembre del 1904 al novembre del 1910 insegnò filosofia al seminario di Monza. Dal 1910 al 1924 insegnò teologia nel seminario maggiore diocesano di Milano. Durante gli anni d’insegnamento collaborò con padre Agostino Gemelli e con gli altri studiosi che diedero vita alla filosofia neoscolastica in Italia.
Assieme a Gemelli, Francesco Olgiati, Amato Masnovo ed Emilio Chiocchetti, Tredici fece parte del gruppo dei fondatori della Rivista di filosofia neoscolastica. Nel 1909 pubblicò il Breve corso di storia della filosofia (Firenze), che ebbe 14 edizioni tra il 1909 e il 1940 e anche una traduzione in spagnolo, e che fu adottato come testo in molti seminari diocesani in Italia e in America Latina. In una serie di articoli sulla Rivista di filosofia neoscolastica, tra il 1909 e il 1919, difese le tesi della criteriologia del cardinale Désiré Mercier dell’Università di Lovanio in Belgio, che cercavano di conciliare il tomismo con la filosofia cartesiana, nonostante fossero fortemente criticate da Masnovo e dagli altri filosofi neoscolastici italiani.
Dal 5 all’11 aprile 1911, insieme a Gemelli, Tredici partecipò a Bologna al IV Congresso internazionale di filosofia organizzato dalla Società filosofica italiana, presieduto da Federigo Enriques, che vide la partecipazione di insigni filosofi italiani (Benedetto Croce, Bernardino Varisco) e stranieri (come Henri Bergson ed Étienne-Émile-Marie Boutroux da Parigi, Maurice De Wulf da Lovanio), e di illustri scienziati (come Émile Durkheim, Hans Driesch e Henri Poincaré) sul tema del rapporto tra scienza e filosofia. Tra il 1910 e il 1915 partecipò, sulle pagine della Rivista di filosofia neoscolastica, a un prolungato confronto a distanza con Varisco, del quale criticò la visione filosofica complessiva, ritenendola panteistica. Un’antologia dei suoi scritti filosofici fu pubblicata in Saggi filosofici e altri scritti (Brescia 1958).
Durante il periodo dell’insegnamento, entrò più volte in conflitto con La Civiltà cattolica, l’autorevole rivista dei gesuiti italiani. Nel 1909, in occasione di una recensione al suo manuale di filosofia, fu criticato dalla rivista per aver ammesso l’errore delle congregazioni vaticane del S. Uffizio e dell’Indice di aver condannato il Dialogo sopra i due massimi sistemi di Galileo Galilei. Nel 1914, come direttore della rivista La Scuola cattolica, ospitò un articolo apertamente critico nei confronti della Civiltà cattolica, che nel febbraio dello stesso anno aveva espresso gravi riserve sul movimento sindacale di ispirazione cristiana, accusato di concedere troppo al principio marxista della lotta di classe.
Nel 1924 lasciò l’insegnamento e fu nominato dall’arcivescovo di Milano, cardinale Eugenio Tosi, parroco di S. Maria in Suffragio, popolosa parrocchia della media periferia milanese, in una zona di rapida espansione urbanistica e con gravi problemi sociali. Nel 1930 venne nominato vicario generale della diocesi dal cardinale Alfredo Ildefonso Schuster. Il 1° luglio 1931 inaugurò la stazione centrale di Milano con il ministro delle Comunicazioni Costanzo Ciano. All’inaugurazione avrebbe voluto partecipare lo stesso Benito Mussolini, per celebrare una delle grandi realizzazioni del fascismo, che però rinunciò per non essere umiliato da Schuster, che aveva fatto sapere che non sarebbe stato presente a benedire l’opera per protesta contro il regime, che non rispettava il Concordato sulla questione dell’Azione cattolica (AC).
Il 21 dicembre 1933 Tredici fu nominato vescovo di Brescia da Pio XI, dopo oltre otto mesi di sede vacante, essendo il precedente vescovo, monsignor Giacinto Gaggia, morto il 15 aprile. La Chiesa bresciana desiderava come vescovo l’ausiliare di Gaggia monsignor Emilio Bongiorni, mentre i fascisti e le autorità si opponevano, ritenendolo antifascista e sostenendo invece la candidatura di monsignor Domenico Menna, vescovo di Mantova, inoltre anche monsignor Angelo Roncalli, il futuro Giovanni XXIII «avrebbe gradito la nomina a vescovo di Brescia» (Lovatti, 2009, p. 35).
Tredici fu consacrato vescovo da Schuster il 6 gennaio 1934 nel duomo di Milano. Fece il suo ingresso nella diocesi di Brescia il 3 febbraio. Nel marzo del 1938 fu inquisito dal S. Uffizio per aver concesso il funerale religioso a Gabriele D’Annunzio, celebrato a Gardone Riviera (Brescia) il 3 marzo 1938, alla presenza di Mussolini e del duca di Bergamo Adalberto di Savoia.
Tredici fu con Schuster fortemente critico delle leggi antiebraiche. Fin dal 1937 aveva disposto, sul bollettino ufficiale della diocesi, la pubblicazione integrale dell’enciclica di Pio XI Mit Brennender Sorge che condannava il razzismo nazista. Nel 1938 pubblicò con evidenza sullo stesso bollettino la lettera della Sacra congregazione dei seminari Assurdità del razzismo. Il 6 novembre 1938 Schuster, invitato da Tredici alle celebrazioni per il quarto centenario della nascita di san Carlo Borromeo, pronunciò a Rovato (Brescia), di fronte alle autorità e a una grande folla, un’omelia in cui criticava apertamente il nazismo e il razzismo, definito «eresia antiromana» (Lovatti, 2009, p. 59). L’omelia fu pubblicata integralmente sul bollettino della diocesi di Brescia e costituì il primo atto ufficiale di critica alle leggi razziali da parte dei vescovi in Italia.
Nel periodo della Repubblica sociale italiana e della Resistenza, pur interloquendo con le autorità fasciste e naziste (si incontrò anche con Erich Priebke il 19 luglio 1944) per intercedere a favore di sacerdoti e militanti dell’AC arrestati per attività antipatriottica, Tredici consentì ai suoi più stretti collaboratori di partecipare attivamente alla Resistenza. Quasi tutti i componenti del consiglio di presidenza dei giovani di AC vi presero parte, entrando in clandestinità, ma non furono sostituiti dal vescovo nelle loro cariche perché ciò non apparisse come una sconfessione. Nel giugno del 1944 nominò cappellano delle formazioni partigiane padre Luigi Rinaldini, appena liberato dopo sei mesi di reclusione nelle carceri fasciste, con la qualifica ufficiale di «curato di tutte le parrocchie della diocesi» (ibid., p. 130). La nomina, molto sofferta per il timore di possibili ritorsioni, avvenne sotto la sua responsabilità, senza attendere l’autorizzazione pontificia richiesta, tramite la nunziatura di Berna, da Schuster per i vescovi lombardi, che pervenne solo il 24 novembre 1944. Il 25 e 26 aprile 1945, fuggite tutte le autorità fasciste, Tredici fu di fatto anche la suprema autorità civile della città e si adoperò per evitare inutili spargimenti di sangue.
Nel corso della consultazione indetta nel 1946 da Pio XII in vista della proclamazione del dogma dell’Assunzione di Maria, Tredici fu tra i pochissimi vescovi al mondo (su milleseicentottatuno consultati) a esprimere contrarietà alla proclamazione del dogma, affermando: «Non vedo la necessità di un nuovo dogma, che renderebbe più difficile il dialogo con gli ortodossi e i protestanti» (ibid., p. 305). Tale presa di posizione era molto minoritaria poiché prima del Concilio Vaticano II i cristiani non cattolici erano considerati eretici dalla Chiesa.
Durante il suo episcopato Tredici portò a conclusione le canonizzazioni di Maria Crocifissa di Rosa, Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, avviò il procedimento per Giovanni Battista Piamarta e attuò tre visite pastorali (1934-40, 1943-51 e 1954-62) nelle quali si recò nelle quattrocentoventi parrocchie della sua vasta diocesi. Scrisse complessivamente ventinove lettere pastorali tra il 1934 e il 1964. Quelle fino al 1958 furono pubblicate nel volume Lettere pastorali 1934-58 (Brescia 1958). A conclusione della seconda visita pastorale indisse il XXVII sinodo diocesano, che si svolse il 14 e 15 ottobre 1952. Per la prima volta in Italia una relazione a un sinodo diocesano fu affidata a un laico, in deroga alle disposizioni del codice di diritto canonico del 1917, allora in vigore, che prevedeva la partecipazione dei soli sacerdoti ai sinodi. Ugo Pozzi, che era stato presidente diocesano dei giovani di AC, tenne una lunga relazione sulla riorganizzazione degli oratori nella diocesi. Si trattò di una svolta significativa, che prefigurò un diverso ruolo dei laici nella Chiesa, successivamente accolto dal Concilio Vaticano II e dal magistero di Giovanni XXIII e Paolo VI.
Nel 1954, diversamente dalla grande maggioranza dei vescovi italiani, Tredici disapprovò apertamente la scelta della Curia romana di costringere alle dimissioni Mario Rossi, presidente centrale dei giovani di AC. La vicenda delle dimissioni di Rossi, che portò anche all’allontanamento di monsignor Giovanni Battista Montini (il futuro Paolo VI) dalla segreteria di Stato vaticana, può essere considerata il momento più indicativo della prolungata opposizione di Tredici all’orientamento assunto dal presidente nazionale dell’AC, Luigi Gedda, in tema di rapporti tra Democrazia cristiana (DC) e Chiesa cattolica. In particolare, Tredici non condivideva la visione di Gedda e del cardinale Giuseppe Siri, leader della Conferenza episcopale italiana e poi presidente della stessa dal 1959 al 1965, secondo cui i dirigenti democristiani avrebbero dovuto semplicemente attuare la linea politica dettata dalla gerarchia, tramite l’AC, senza alcun significativo margine di autonomia e responsabilità dei laici impegnati in politica. Ma oltre a questa divergenza fondamentale, che permaneva da anni (almeno dal 1948), ciò che spinse Tredici a prendere apertamente posizione a favore dei giovani di AC e a dissentire apertamente non solo con Gedda, ma con i più autorevoli collaboratori di Pio XII è l’ipocrita attribuzione alla linea Rossi di «deviazioni dottrinali», mentre le divergenze, oltre che politiche, attenevano al ruolo dei laici nella Chiesa e nella società e alle modalità organizzative del movimento giovanile di AC. Il 1° maggio 1954 Tredici scrisse al cardinale Adeodato Piazza, presidente della Commissione episcopale per l’AC, e dopo aver assicurato che i giovani bresciani di AC non erano mai venuti meno ai doveri d’obbedienza all’autorità ecclesiastica, affermò che le dimissioni di Rossi avevano dato occasione a «un disagio certo spiacevole, specialmente nei riguardi del Presidente Generale dell’Azione Cattolica. È sembrato infatti che egli voglia imprimere all’Azione Cattolica un suo indirizzo personale, e che per questo tenda ad eliminare le persone che abbiano un indirizzo diverso» (ibid., p. 232). Il 24 maggio 1954 il presidente diocesano di AC Dino Filtri, con l’appoggio di Tredici, chiese a Piazza la destituzione di Gedda. Infine Tredici si recò a Roma e il 12 giugno 1954, in un lungo incontro durato tutta la mattina, si lamentò personalmente con Piazza per la gestione del caso Rossi.
Questa vicenda esemplifica l’orientamento di Tredici: egli aveva sempre sostenuto i giovani di AC, anche quando avevano assunto un indirizzo palesemente contrario alle direttive romane, perché riteneva che le divergenze non riguardassero fondamentali questioni di fede o di morale, ma attenessero a un ambito politico e organizzativo nel quale l’autonomia e la responsabilità dei fedeli laici erano un valore da salvaguardare. Sempre in questa prospettiva, a differenza della maggior parte dei vescovi, nel periodo tra il 1959 e il 1962 Tredici non contrastò gli esponenti della DC locale che erano a favore del centro-sinistra.
Il 12 dicembre 1954 Tredici, nella basilica di S. Pietro in Vaticano, assieme al cardinale Eugène Tisserand, decano del Sacro collegio, consacrò vescovo Giovanni Battista Montini, arcivescovo eletto di Milano. Tredici fu elevato da Giovanni XXIII alla dignità personale di arcivescovo il 15 dicembre 1958.
Partecipò quindi alle prime due sessioni del Concilio Vaticano II (1962 e 1963) e, in sintonia con il cardinale Montini, ne condivise le istanze di rinnovamento ecclesiale. Il 23 novembre 1962, in occasione del suo 60° di sacerdozio, papa Giovanni XXIII, che lo conosceva bene e lo stimava molto, gli concesse il privilegio di presiedere la celebrazione eucaristica a cui parteciparono duemilacentocinquantasette padri conciliari.
Morì a Brescia il 19 agosto 1964 e venne seppellito nel duomo nuovo della città. Il Consiglio comunale di Brescia, il 18 maggio 1964, deliberò all’unanimità di conferirgli la cittadinanza onoraria. Nel testo della delibera, con riferimento al periodo della guerra, si legge: «L’arcivescovo Giacinto Tredici fu l’equilibrato difensore del popolo a lui affidato, il prudente attentissimo difensore degli inermi, dei poveri, dei deboli contro la vendetta straniera, il portatore di una parola ispirata solo alla bontà, alla comprensione, al sentimento di fraterna collaborazione».
Fonti e Bibl.: M. Lovatti, G. T., vescovo di Brescia in anni difficili, Brescia 2009; Id., G. T. e la nascita della filosofia neoscolastica in Italia, in Voci dall’Ottocento, a cura di I. Pozzoni, Villasanta 2010; M. Lovatti, Testimoni di libertà. Chiesa bresciana e Repubblica Sociale Italiana (1943-1945), Brescia 2015.