GIGANTE, Giacinto
Pittore, nato a Napoli il 10 luglio 1806, morto ivi il 29 novembre 1876. Insieme con i fratelli Achille, Ercole ed Emilia, morti giovani senza lasciare durevoli tracce, ebbe i primi insegnamenti dell'arte dal padre Gaetano, che di tanto in tanto interrompeva la sua maniera di stanco continuatore dei decoratori napoletani del Settecento, con la riproduzione gustosa di feste popolari. Un quadretto di Giacinto nella collezione Talamo a Cava dei Tirreni risale al 1818, e forse non fu neppure il suo primo. Impiegatosi nel Reale ufficio topografico abituò l'occhio e la mano alla precisione e alla minuzia del disegno cartografico. Nello studio dello svizzero Wilhelm Huber, che saltuariamente frequentava, conobbe Antonio Snunck van Pitloo, che esercitò su lui molta influenza, e, dipingendo dal vero all'aria aperta, combatté le tendenze scenografiche dominanti allora nella pittura di paesaggio. Risalgono a quel periodo i primi tentativi di ricerca del tono e delle lontananze atmosferiche compiuti dal G. in graziose tavolette a olio (per es., Acqua di farra a Cava, 1824). Nel 1826 si recò con lo svizzero Giacomo Wolfensberger a Roma e vi dimorò sei mesi. Due anni più tardi si cominciarono a stampare le litografie del viaggio pittoresco nel Regno delle due Sicilie, da lui eseguite, e nel 1830 vide la luce la sua Raccolta di vedute di Napoli e dintorni. Protetto dall'ambasciatore di Russia, seguì l'imperatrice in un suo viaggio in Sicilia riportandone impressioni e disegni; nel 1849 il re Ferdinando II lo condusse seco nel regno a disegnar paesi. Non amò oltrepassare i confini del regno di Napoli e uscì dall'Italia soltanto nel 1869 per recarsi a Parigi. I suoi disegni, schizzi, quadretti, sparsi in tutta Europa, sono straordinariamente numerosi e solo a Napoli ne rimangono più di duemila, ricchi di note autografe e di date che permettono di seguirlo quasi giorno per giorno nella sua vita tutta dedita al lavoro. Ma si tratta per lo più di lavori di pratica, documenti descrittivi dotati di straordinaria evidenza illusionistica, fra i quali di tratto in tratto balena l'opera ricca d'ispirazione. Allora, superato ogni residuo di vedutismo decorativo settecentesco, il sentimento tonale e spaziale della natura prorompe in una gamma di toni vivi, freschi, sonori, mirabilmente espressivi dei valori luminosi dell'atmosfera.
V. tav. XLIX.
Bibl.: Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XIV, Lipsia 1921 (con bibl.); A. Colasanti, Catal. d. Galleria naz. d'arte mod. in Roma, Milano-Roma [1923], pp. 103-104; E. Somaré, Storia dei pittori ital. dell'800, Milano 1928, II, pagine 429-33; U. Ojetti, La pittura ital. dell'800, Milano-Roma 1929; S. Ortolani, G. G., Roma 1930; id., in Dedalo, XI (1930-31), pp. 427-525; M. Biancale, G. G., in Vita artistica, III (1932), pp. 38-48; S. Ortolani, Ancora di Pitloo e G. ibid., pp. 75 segg.; M. Biancale, Il Gigante e il Pitloo, ibid., p. 93 segg.