GIACINTO da Vetralla
Nacque a Vetralla, nel Viterbese, il 23 genn. 1601, figlio di Pietro Brugiotti, appartenente a una famiglia della nobiltà locale non ancora assunta al rango comitale. Nulla si sa della sua vita prima del 1625, anno in cui entrò tra i frati minori cappuccini con la volontà di farsi missionario.
Completati gli studi nel 1637 con il titolo di predicatore, per più di un decennio svolse le funzioni di guardiano in vari conventi della provincia romana dell'ordine. Destinato finalmente in Congo dalla congregazione di Propaganda Fide l'8 giugno 1648, insieme con altri 31 cappuccini andò in Spagna alla ricerca di un imbarco per l'Africa, ma per motivi oscuri rinunciò alla partenza.
Tornato a Roma, nel 1649 fu eletto definitore provinciale. Nonostante il precedente negativo, il 12 sett. 1650 Propaganda Fide lo destinò ancora in Congo, questa volta con la qualifica di viceprefetto della missione cappuccina, elevabile a prefetto nel caso in cui il predecessore Bonaventura d'Alessano fosse inviato altrove. Alla nomina aveva contribuito la sua Doctrina christiana ad profectum missionis totius Regni Congi… (Romae 1650). Si trattava della ristampa del catechismo per bambini dei gesuiti portoghesi M. Jorge e I. Martins, tradotto in congolese da M. Cardoso nel 1624. Nella prefazione G. spiegava di essersi limitato ad aggiungere la traduzione in italiano e latino per la comodità propria e dei missionari non lusitani che volessero imparare la lingua locale. Ma l'inserimento del suo nome nel titolo dell'opera gli diede una fama di plagiario e suscitò l'ostilità di molti confratelli, compreso Bonaventura d'Alessano.
Nel 1651 G. partì comunque per l'Africa, questa volta da Lisbona (dopo essere stato depredato da corsari inglesi durante il viaggio per mare dall'Italia al Portogallo), dove intervenne nella stipulazione del trattato di pace fra il re del Congo Garcia II Alfonso e quello del Portogallo Giovanni IV (che aveva ormai ripreso il controllo dei suoi possedimenti africani) e dove dovette lasciare tre confratelli napoletani, impediti a partire perché sudditi spagnoli.
L'azione missionaria si inseriva in un contesto di conflitti sul diritto di patronato, sulle nomine vescovili e sulla sovranità nei territori portoghesi d'Oltremare; la Spagna non riconosceva la secessione lusitana del 1640, il Regno del Congo aveva di fatto appoggiato la temporanea occupazione dell'Angola da parte degli Olandesi a danno del Portogallo, mentre la S. Sede cercava invano di approfittare della debolezza dei contendenti per dare al paese africano un vescovo indipendente da Lisbona.
Arrivato a Luanda il 16 marzo 1652, sfinito dal lungo viaggio per mare, G. ebbe difficoltà a far riconoscere il suo grado di prefetto al posto di Bonaventura d'Alessano, che nel frattempo era morto, dato che la nomina avrebbe dovuto essere valida solo in caso di trasferimento di Bonaventura, non di decesso. A causa del suo temperamento autoritario G. si urtò con alcuni confratelli. Appena in grado di muoversi, andò nell'interno del Congo, a San Salvador, capitale del Regno e sede della prefettura. Accolto con entusiasmo da re Garcia II - che doveva ai cappuccini la mitigazione delle condizioni della pace con il Portogallo e che sperava di essere da loro aiutato a ottenere dal papa l'ereditarietà della corona -, per un certo periodo G. poté far funzionare con successo la missione, opera ardua per la vastità dei luoghi, il clima insalubre, la miseria degli indigeni vittime dello schiavismo e lo scarso numero dei frati. Nel 1652 il G. diede l'abito religioso al prete mulatto M. Roboredo, primo cappuccino congolese, ed estese l'azione dei frati fino ai regni di Macoco e Matamba.
Ben presto Garcia II, dopo essersi alienato parte della nobiltà con la sua condotta tirannica, comprese che i frati non erano disposti ad assecondarlo. Allora si volse di nuovo verso il Portogallo denunciando i cappuccini come agenti della Spagna, sostenuto in ciò dal numericamente scarso clero secolare del Congo e dell'Angola e dal gesuita A. do Couto, ambasciatore portoghese a San Salvador. Un accordo che stabiliva il divieto per i missionari di amministrare i sacramenti entro il raggio di cinque leghe dai luoghi ove vi fosse un parroco o un cappellano (che usavano farsi pagare queste prestazioni) comportò per i cappuccini ripetute accuse di insubordinazione che, sebbene mai sostenute dai governatori portoghesi di Luanda, resero l'opera dei missionari sempre più difficile.
Il 30 maggio 1652 G. chiese a Propaganda Fide l'autorizzazione a trasferire la prefettura da San Salvador a Luanda, dove poi fissò la sua sede. Rispetto a San Salvador, dal punto di vista dell'incolumità personale Luanda era più sicura, ma sotto il totale controllo portoghese, reso esplicito nel 1658 dall'obbligo del giuramento di fedeltà al re del Portogallo imposto a tutti i missionari non portoghesi diretti nei suoi domini.
Minacciato di espulsione nel 1656, G. fu presto impossibilitato a svolgere la sua missione, che pure conobbe qualche altro successo, come la conversione della regina del Matamba, Zinga, e il ristabilimento della pace tra questa e i Portoghesi. A causa delle precarie condizioni di salute, nello stesso 1656 G. chiese di essere rimpatriato; partì da Luanda nel maggio 1657, con un cappuccino e uno studente congolesi, e giunse a Roma nell'estate dell'anno successivo.
Il 26 nov. 1658 presentò a Propaganda Fide una dettagliata relazione sullo stato del Congo e della nuova prefettura di Matamba, denunciandone lo spopolamento a causa della tratta degli schiavi, il dispotismo del re, l'ignoranza in cui questi manteneva i sudditi, l'indegnità dei pochi sacerdoti, l'insufficienza numerica dei cappuccini e la cattiva condotta dei bianchi. Proponeva di unificare i due territori, nominare comunque un vescovo (la sede era vacante da quattordici anni per i contrasti sul patronato portoghese) e istituire un seminario locale per la formazione di un clero indigeno.
Sarebbe stato suo desiderio divulgare maggiormente quanto aveva appreso in Africa, ma morì improvvisamente a Roma il 26 ag. 1659.
Nel 1660 Propaganda Fide approvò l'erezione di un seminario indigeno in Congo, ma la vittoria portoghese di Ambuila, nel 1665, contro il re del Congo Antonio I Alfonso e il conseguente disfacimento del suo regno resero impossibile realizzare i suggerimenti di Giacinto. La congregazione pubblicò poi una sua opera, originale e pregevole, le Regulae quaedam pro difficillimi Congensium idiomate (Romae 1659), prima grammatica edita della lingua kikongo, considerata valida fino alla fine del secolo scorso, quando fu tradotta anche in inglese (a cura di H. Grattan Guinness, London 1882) e in portoghese (a cura di A.T. da Silva Leitão e Castro, Loanda 1886). Il G. ha lasciato anche due relazioni sugli usi e i costumi dei Congolesi, che servirono ad A. Cavazzi per le precise notazioni geografiche ed etnografiche: l'una, intitolata Infelicità felice o vero Mondo alla roversa (a significare la radicale diversità tra l'Europa civilizzata e cristiana e l'Africa barbara, sebbene ai Congolesi egli riconoscesse molta minor malizia dei bianchi), è andata perduta dopo essere stata parzialmente pubblicata da G. Simonetti (1907); l'altra, più breve, custodita nell'Archivio di Propaganda Fide, fu portata alla luce da V. Sugliani nel 1922. Lettere di G. sono inoltre citate nelle varie opere sulla storia della missione cappuccina del Congo.
Fonti e Bibl.: Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 7498, I, cc. 124-130; R. Streit - J. Dindinger, Bibliotheca missionum, XVI, Freiburg 1952, pp. 448, 466, 470-472, 484, 488, 844; G. Simonetti, G. e la sua missione al Congo (1651-1657), in Boll. della R. Società geografica italiana, s. 4, VIII (1907), pp. 305-322, 369-381; V. Sugliani, Padre G. Brugiotti e la sua missione al Congo, in Boll. della R. Società geografica italiana, s. 5, XI (1922), pp. 238-247; Teodoro da Torre del Greco, Bibliotheca capuccinorum provinciae Urbis, in L'Italia francescana, XIV (1939), pp. 276 s.; A. Mori, Il contributo degli italiani alla conoscenza dell'Angola, in Boll. della Società geografica italiana, s. 8, II (1949), pp. 87 s.; Lexicon Capuccinum, Romae 1951, coll. 779 s.; F. Bontinck, Répercussions du conflit entre le Saint-Siège et le "padroado" sur l'évangélisation de l'ancien Royaume du Congo au XVIIe siècle, in Archivum historiae pontificiae, IV (1966), pp. 207-209; L. Jadin, Le Congo et la secte des antoniens…, in Bulletin de l'Institut historique belge de Rome, XXXIII (1961), p. 422; Id., Le clergé séculier et les capucins du Congo et d'Angola aux XVIe et XVIIe siècles, ibid., XXXVI (1964), pp. 32-39, 44, 53, 55; Id., L'oeuvre missionaire en Afrique noire, in Sacrae Congregationis de Propaganda Fide memoria rerum, a cura di J. Metzler, I, 2, 1622-1700, Rom-Freiburg-Wien 1972, pp. 484, 486, 491, 499-501, 503 s.; Id., L'ancien Congo et l'Angola, 1639-1655…, in Bibliothèque de l'Institut historique belge de Roma, XX-XXII, Rome 1975, ad indicem; T. Filesi - I. De Villapadierna, La "Missio antiqua" dei cappuccini nel Congo (1645-1835), studio preliminare e guida delle fonti, Roma 1978, ad indicem; F. Bontinck, Le catéchisme kikongo de 1624, Bruxelles 1978, pp. 23-34; G. Saccardo, Congo e Angola con la storia dell'antica missione dei cappuccini, a cura di Emilio da Cavaso, Venezia 1983, ad indicem; A. Hilton, The Kingdom of Kongo, Oxford 1985, pp. 154, 182 s., 185-191; Mariano da Alatri - R. Alecci, G. missionario apostolico nel Congo, in L'Italia francescana, LXVI (1991), pp. 169-182; R. Gray, The intelligence of the capuchins: a comment, in Collectanea Franciscana, LXV (1995), pp. 669 s.; Dict. d'histoire et de géogr. ecclésiastiques, XXV, coll. 513-515.