CARINI, Giacinto
Nato a Palermo il 20 maggio 1821 da Giacinto e da Marianna Anania, in una famiglia di fedeli funzionari borbonici, aveva perso il padre, direttore delle Finanze in Sicilia, quando aveva appena undici anni, ereditando un cospicuo patrimonio che continuò poi ad amministrare con grande cura. Di spirito intraprendente e amante della libertà, preferì, in un secondo tempo, darsi al commercio, agevolato dal patrimonio paterno da lui incrementato; e pare abbia avuto anche molto successo, se riuscì a impiantare una vera e propria industria agraria con moderni macchinari a vapore per la mondatura del sommacco, che per primo avrebbe introdotto nell'isola. Ciò valse ad acquistargli anche popolarità.
Non risulta che abbia conseguito titoli accademici; dal complesso però della sua attività si può arguire che dovesse avere seguito i normali corsi superiori, quali appunto si addicevano a chi apparteneva al suo ceto. Formatosi spiritualmente alla epoca del maggiore risentimento antiborbonico per la dura repressione seguita ai moti separatisti del 1837, avvertì anche egli l'esigenza, per l'attività stessa che svolgeva, di riforme in senso liberale. Le sue maggiori amicizie furono pertanto quelle di uomini di tendenze liberali, come M. Stabile, M. Bertolami e, particolarmente, S. Vigo, dal quale soprattutto, essendo impiegato presso gli uffici del ministero per l'Interno a Napoli, ebbe consigli per le sue iniziative economiche e qualche volta anche favori.
Nel '48 fu tra gli insorti. Cominciate le polemiche circa le modalità da tenere per la convocazione del Parlamento, espresse anch'egli il suo parere, sostenendo in un opuscolo a stampa, secondo le idee già manifestate da M. Amari nel noto Catechismo siciliano, che venisse ripristinata, la costituzione del 1812 con quelle modificazioni che erano però indispensabilmente richieste dai nuovi tempi. Nominato colonnello di cavalleria dell'esercito rivoluzionario per il suo moderatismo ebbe l'incarico di intervenire in quei comuni in cui erano avvenuti tumulti, per reprimerli, occorrendo, anche con la forza.
Resta famosa la spedizione C. condotta con due squadroni di cavalleria, con pezzi da montagna e 600 uomini contro Burgio nell'Agrigentino, ai primi di aprile, dove la sollevazione popolare aveva dato luogo a qualche incidente. Affrontò in un vero e proprio combattimento i rivoltosi nel Piano di Santa Maria, dove eseguì anche fucilazioni, dopo un giudizio sommario di un improvvisato consiglio di guerra.Nell'ultima fase, declinante, della rivoluzione, protestò fortemente contro le calunnie rivolte contro il governo e i ministri, accusati di aver tradito la "causa siciliana" (cfr. L'Indipendenza e la Lega, Palermo 18 agosto 1848). Stroncata la rivoluzione, egli riparò a Parigi, dove riuscì a riprendere in nuova forma l'attività commerciale a lui congeniale. In conseguenza delle nuove esperienze e dei nuovi contatti con esuli anche di altre regioni, venne intanto modificando le sue idee politiche, con spiccata tendenza all'unitarismo di stampo mazziniano. Con altri protestò quindi contro l'imposta ritrattazione in Sicilia dell'atto di decadenza della monarchia borbonica del 13 apr. 1848, partecipò alla celebrazione, promossa da R. Pilo, dell'anniversario del 12 gennaio, e firmò una pubblica protesta contro il decreto del re di Napoli del 15 dic. 1849 con cui era stato imposto all'isola un debito pubblico di 20 milioni di ducati annullando con grave danno dei Siciliani il debito contratto nel '48 dal governo rivoluzionario.
Nel '54 aprì a Parigi un "Office de commission Franco-Italien", una specie di agenzia per la importazione e propaganda in Francia dei prodotti agricoli e industriali, e dal novembre dello stesso anno lo affiancò anche con un periodico settimanale, la Revue Franco-italienne, con il significativo sottotitolo Sciences - Industrie - Commerce - Litterature - Beaux-Arts - Théâtres, chiamando a collaborarvi scrittori francesi e italiani (v. collezione completa presso la Bibl. com. di Palermo).
Con tale "Office" e con tale periodico il C., oltre che un organo di informazione internazionale e interdisciplinare, creò un punto d'incontro per tutti gli esuli italiani, non senza intendimenti politici, richiamandoli continuamente a ciò che più poteva interessare l'Italia. Ebbe modo così di allacciare relazioni con numerosi patrioti, fra cui G. Ricciardi, P. Maestri, A. Vannucci, G. La Farina, come pure con numerosi liberali francesi, fra cui, in prima linea, il Michelet e V. Hugo. Riuscì in tal modo a creare anche un notevole corpo di collaboratori per la sua Revue.Meraviglia la perfetta organizzazione e la vasta rete d'informazioni di cui disponeva fin dai primi numeri, e la varietà stessa dei problemi di cui si occupò, dai ricordi storici all'esame critico di opere letterarie (vi si esamina, per esempio, la Divina Commedia nel giudizio della critica francese del '700 e dell'800, l'opera del Foscolo, ecc.) a questioni economiche e di scienza. Ebbe pure corrispondenti in Italia, e pubblicò perciò anche notizie di quanto avveniva nella penisola, e recensioni di libri.
Mentre la pubblicazione del periodico coincideva con la svolta e gli indirizzi della nuova politica del Cavour, anche il C., se pure aveva avuto qualche propensione repubblicana, si convertiva, come altri esuli, in una prospettiva di più realistica possibilità di soluzione unitaria, alla monarchia. Dopo il convegno di Plombières, per il favore che venne acquistandosi anche dal governo napoleonico, modificò il titolo al periodico in Courrier Franco-italien, avendo cominciato a interessarsi indirettamente di politica in appoggio all'azione della Francia nei confronti dell'Italia. Ebbe infine esplicita autorizzazione dallo stesso Napoleone III a trattare di politica e a fare uscire il Courrier quotidianamente (vedi del giornale il numero del 14 apr. 1859; coll. completa presso la Bibl. Nat. di Parigi). Questo però cessava col foglio del 5 maggio, dove veniva riportato il proclama con cui Napoleone due giorni prima aveva annunziato al popolo francese la guerra contro l'Austria a fianco del Piemonte. Il C., piantando improvvisamente l'"Office" e il Courrier, corse ad arruolarsi nei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi. Partecipò quindi l'anno successivo all'impresa dei Mille e, dopo la battaglia di Calatafimi, fu da Garibaldi posto al comando di una delle due legioni in cui venne ordinato l'esercito per l'occupazione di Palermo. Ma il 30 maggio a porta Termini fu gravemente ferito da una pallottola al braccio sinistro, rimanendo immobilizzato per tutta la campagna di liberazione. Passato poi ai servizi sedentari, fu nominato da Garibaldi ispettore generale della cavalleria. Fu contro l'annessione incondizionata, e scrisse in proposito una lunga lettera al Cavour per mostrargli la necessità di un'amministrazione particolare per la Sicilia. Fece quindi parte del Consiglio straordinario di Stato chiamato a studiare e proporre gli "ordini" e le "istituzioni" maggiormente convenienti all'isola in conciliazione con gli interessi generali dell'Italia. Dopo l'annessione fu nel primo Consiglio di luogotenenza e comandante della guardia nazionale di Palermo.
Integrato il 10 apr. 1862 con il grado di generale nell'esercito nazionale, fu nella guerra per la liberazione del Veneto al comando della brigata Regina, distinguendosi per la sua sagacia nell'assedio di Borgoforte, sicché ne ebbe una medaglia al valore militare. Promosso nel 1871 luogotenente generale, comandò dal 1871 al 1877 la divisione di Perugia. Fu inoltre deputato al Parlamento quale rappresentante, di volta in volta, di Palermo, di Piacenza, di Sant'Arcangelo di Romagna e di Iesi nell'VIII, X, XI e XIII legislatura.
Trascorse gli ultimi anni in grande amarezza e malinconia, sia per essersi vista riaccendere in modo inguaribile la ferita riportata a Palermo al tempo dei Mille, sia perché scontento dell'andazzo politico e deluso per non avere visto realizzata l'unità nei modi da lui sperati, sia infine per essere stato anzitempo dal ministro della Guerra, L. Mezzacapo, che, con G. Pepe, aveva abbandonato l'esercito borbonico nel 1848, agli inizi del 1878 messo in disponibilità, vedendo così, a suo parere, misconosciuti i suoi meriti acquistati con quanto aveva sofferto per l'unificazione.
Ritenne anzi questo provvedimento un affronto diretto alla sua persona, e tanto più grave in quanto, comportando esso una forte riduzione dello stipendio, lo avrebbe messo anche in grandi difficoltà economiche, mentre, per le condizioni della sua salute, maggiormente avrebbe avuto bisogno di aiuto.
Del provvedimento nei suoi riguardi attribuì la responsabilità alla Sinistra salita al potere, e alla pleiade di "eroi borboni" "famosi guerrieri" che non avevano saputo neppure difendere il loro re, ora chiamati a prendere "i primi posti". E riteneva la sua rimozione dal servizio attivo una "vendetta" del Mezzacapo per il suo "doppio titolo di Siciliano e di Garibaldino". Ma ne vedeva l'origine nella sua amicizia, mal tollerata dal governo, con il cardinale Pecci, salito poi al pontificato con il nome di Leone XIII.
Morì a Roma il 16 genn. 1880.
Fonti e Bibl.: Palermo, Soc. sicil. p. la storia patria, SalaLodi, Carte Carini, carpetta n. 43; carpetta XCV, n. 27: La battaglia di Milazzo (lettere di A.Dumas al brigadiere G. C.);Palermo, Bibl. comun., Misc.CXXXVI-H 113, n. 1: Sulla convocaz. del Parlamento in Sicilia. Anno 1848. Poche parole di G. C.;Ibid., ms. 2Qq - C - 186, n. 24 (lettera a I. La Lumia del 15 gennaio 1879); Ibid., ms. 5Qq - D - 143, n. 1 (lettera del C. del 27 sett. 1877 a F. P. Perez); Cart. Cavour. La liberaz. del Mezzog., Bologna 1954-1962, I, pp. 244, 261; III, pp. 96 ss., 144 s.; IV, pp. 438-40; V, pp. 297 s.; F. Brancato, Lettere di I. La Lumia a G. C., in NuoviQuad. del Merid., IV(1966), pp. 185-213; T. Papandrea, S. Vigo. Vita e carteggio, Acireale 1906, pp. 141 ss., 150 s., 158-161; A. Sansone, La traslaz. della salma del gen. C. al Pantheon di S. Domenico, in Giorn. di Sicilia (Palermo), 4-5 febbr. 1912; R. Vuoli, Il gen. G.C., in Nuova Antol., 1º nov. 1929, pp. 87-98; 16 nov. 1929, pp. 214-26; F. Brancato, Motivi sentim. dell'idea autonomistica in I. La Lumia, in Labor, VII(1966), 3, pp. 25-35; N. Giordano, I tumulti popol. in Sicilia dopo la rivoluzione del 1848 e l'opera di G. C., in IlRisorgimento in Sicilia, n. s., III (1967), pp. 495-523.