DRUENT, Giacinto Antonio Ottavio Provana signore di
Discendente di un ramo della famiglia Provana particolarmente illustre, quella dei signori di Leinì, nacque a Torino il 17 dic. 1652 da Carlo Amedeo e da Margherita Parpaglia della Bastia, ultima della sua linea ed erede inoltre dei Langosco, conti di Stroppiana.
Ai titoli paterni di consignore di Leynì, signore di Druent, conte di Altessano, il D. poté unire quindi quelli di conte di Stroppiana e della Bastia, signore di Villarboit, Susnengo, Monformoso, Cascine di San Marco e di parte di Borgaro Torinese.
Il nonno Carlo Francesco, cavaliere dell'Ordine della Ss. Annunziata, era stato gran ciambellano; anche il padre aveva ricoperto numerose cariche di corte: gentiluomo di camera, generale delle cacce, gran falconiere e primo scudiere del duca Carlo Emanuele II.
Il leale servizio e la fedeltà alla Corona dimostrati dall'avo e dal padre fruttarono al giovane D. la nomina, il 22 nov. 1674, a luogotenente colonnello del reggimento di Monferrato in luogo del conte di San Maurizio passato ad altro incarico. Precedentemente, dal 1671 al 1672, egli aveva prestato servizio nel reggimento reale di Piemonte sotto il comando del capitano Antonio Provana. Nel 1677 venne incaricato dalla reggente Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours di una missione riservata, a Verrua, di verifica dei lavori alle fortificazioni e di controllo dell'operato degli ufficiali della guarnigione.
Lo scopo di tale missione traspare dalle lettere che tra il luglio e l'agosto del 1677 interi corsero con la corte; il gradimento per il suo operato fu manifestato dalla duchessa, a seguito di patenti 18 sett. 1677, con un donativo di lire 1.550, soldi 12 e denari 11 e con il titolo e lo stipendio di colonnello di fanteria, accordato con patenti 10 dic. 1678.
Com'era consuetudine, il servizio nell'esercito rappresentò per il giovane D. una tappa obbligata che preludeva a successivi incarichi di corte. Il 5 nov. 1680 fu nominato, come già suo padre, primo scudiere e gentiluomo di camera del duca, carica che comportava una serie di incombenze collegate agli spostamenti del sovrano per i viaggi, la caccia, le cavalcate, i tornei. Il D. subentrava nella carica al conte di San Maurizio, il favorito della reggente, ormai caduto in disgrazia.
Gli intricati anni della reggenza rappresentarono per il Ducato un periodo di debolezza e di asservimento alla Francia. Esso fu caratterizzato da un avvicendarsi di ministri e di favoriti, da intrighi e manovre di cortigiani ai quali la reggente concedeva favori ed appannaggi allo scopo di puntellare il proprio instabile governo. Fu questo l'ambiente di corte in cui dovette destreggiarsi il D.; personaggio politicamente non di primo piano - egli orbitava nell'ambito di suo zio il marchese dì Pianezza - probabilmente suo malgrado fu coinvolto in una vicenda rimasta per molti tratti oscura. Maria Giovanna Battista avrebbe dovuto consegnare il trono al figlio nel 1680 al raggiungimento della sua maggiore età, ma l'ambizione a governare la spinse ad operare in ogni senso per escluderlo dal potere. Il tentativo più clamoroso fu il progetto di matrimonio con l'infanta del Portogallo che avrebbe obbligato il giovane duca a risiedere a Lisbona. Contro tale progetto, osteggiato strenuamente da Vittorio Amedeo II, si raccolse l'opposizione sia a corte sia nel paese. La reggente, ulteriormente indebolita da questa opposizione interna, fu costretta a continue concessioni in favore di Luigi XIV, il quale peraltro l'appoggiò finché costituì un valido sostegno per i suoi interessi.
In questo clima maturò, sul finire del 1682, un complotto aristocratico atto ad abbattere la reggente e a portare al governo Vittorio Amedeo 11. Istigatore del complotto, al quale partecipò come già accennato il D., fu il marchese di Pianezza, influente primo consigliere della duchessa.
Quest'ultimo era venuto a conoscenza, ora che l'ipotesi delle nozze portoghesi era definitivamente sfumata, di un progetto di Luigi XIV di matrimonio tra sua nipote Anna d'Orléans e il duca di Savoia. Da astuto politico il Pianezza intravide in ciò il segnale di una prossima emancipazione di Vittorio Amedeo II e il dissolversi del potere della reggente e non esitò quindi a tradirne la fiducia avanzando al duca la proposta segreta di esautorarla. Come afferma il Symcox, il Pianezza mirava a mantenere sul futuro sovrano la stessa influenza che aveva esercitato sulla madre, Vittorio Amedeo II, determinato soprattutto ad evitare una qualsiasi tutela sostitutiva di quella materna, in un primo momento sembrò gradire la proposta, ma poi denunciò il complotto.
Con il Pianezza fu travolto anche il D. che in tutta la vicenda aveva avuto il ruolo di latore della proposta al sovrano. I congiurati furono arrestati il 28 dic. 1682 nel castello di Moncalieri e tradotti, in seguito, il D. nel castello di Nizza e il Pianezza nel castello di Montmélian. La prigionia del D. fu all'inizio dura ed egli tentò anche la fuga, ma in seguito fu mitigata dalle visite della moglie Anna Costanza Doria di Ciriè, come è testimoniato da una lettera del 9 ott. 1684.
Nell'ottobre del 1684, alcuni mesi dopo l'assunzione del potere da parte di Vittorio Amedeo II, il D. inviò a Torino una serie di lettere al sovrano e al primo segretario di Stato C. G. Carron di San Tommaso, nelle quali manifestava tutta la sua devozione al duca e confidava in un gesto generoso. Di certo la sua detenzione a Nizza non andò oltre il luglio del 1686 poiché in quel mese egli inviava presumibilmente al San Tommaso una lettera di fervidi ringraziamenti per l'appoggio da lui dato alla sua liberazione. A questo si rivolse nuovamente il 2 ottobre da Fossano, dove forse era stato confinato, supplicandolo di intercedere presso il duca per potersi stabilire in una delle terre di sua proprietà.
Fu ascoltato, non solo, ma reintegrato a corte con incarichi di maggior prestigio. D'altronde la denuncia del complotto e la sua successiva incarcerazione erano stati determinati da un preciso calcolo politico del duca, ormai superato dagli eventi.
Con patenti 14 dic. 1690 il D. fu nominato gran mastro della guardaroba, una delle principali cariche di corte, dopo quelle rivestite dai grandi della Corona, che comportava in determinati casi la partecipazione al Consiglio della Real Casa.
Nelle intricate vicende di quegli anni il D. non rivestì mai un ruolo politicamente rilevante, ma incarnò piuttosto la tipica figura del cortigiano, di elevati natali e di cospicua ricchezza, priva di spessore politico, solamente tesa, seppure con alterne vicende, a mantenersi a galla e a conservare i privilegi propri della sua classe.
La sua famiglia vantava fin dal 1354 l'investitura, seppur parziale, della giurisdizione di Druent, ma il patrimonio si era accresciuto grandemente nel corso dei secoli grazie anche a una serie di combinazioni matrimoniali economicamente molto redditizie.
L'ingente patrimonio si può ricostruire sulla base dei numerosi consegnamenti avvenuti tra il 1716 e il 1724 e da tutta una serie di acquisti di tassi e di censi avvenuta tra il 1675 e il 1696. Secondo i consegnamenti egli vantava possedimenti in Druent, Leynì, Altessano Inferiore, Altessano Superiore, Pianezza, Rubianetta, nonché i feudi di Villarboit, Monformoso, Stroppiana, Borgaro Torinese e metà di Bastia ricevuti nel 1665 con l'eredità della famiglia Langosco che comprendeva anche il patrimonio della famiglia Parpaglia ormai estinta. L'estensione dei possedimenti non significava peraltro che il loro valore complessivo fosse ingente, poiché molti terreni erano boschi o brughiere, ma a questo cespite si aggiungeva l'alto reddito fornito dai diritti feudali e dai censi.
Secondo una valutazione del Woolf il reddito medio annuo per il periodo che va dal 1707 alla sua morte fu di circa 36.800 lire.
La grande disponibilità economica gli consentì anche di concedere prestiti al sovrano, come è testimoniato dalla patente 19 ott. 1690, dalla quale risulta che nel corso della guerra della Lega di Augusta il D. aveva impegnato la somma di lire 2.475 per il pagamento di disertori, informatori ed esploratori.
Nel 1692, confermato nel suo ruolo sociale grazie alle alte cariche raggiunte, diede mano alla costruzione di una fastosa dimora in Torino nella quale profuse una larga parte dei suo patrimonio.
Acquistò nuovi terreni adiacenti al palazzo che il padre aveva già iniziato ad edificare "sotto la Parochia di San Dalmazzo e sotto le coherenze del monastero delle povere orfanelle ...". 1 lavori, eseguiti per la maggior parte entro il 1694, subirono un rallentamento durante il periodo della guerra di successione spagnola e proseguirono poi fino al 1720.
Al grande architetto G. F. Baroncelli fu commissionato l'atrio e lo scalone; uno stuolo di pittori e scultori provvide all'abbellimento delle sale.
Aveva sposato Anna Costanza Doria dei marchesi di Cirié e del Maro (è del 1671 la sua richiesta al duca di consenso alle nozze), dalla quale ebbe un'unica figlia Elena Matilde nata nel 1674.
Nel 1695 Elena Matilde fu obbligata dal padre a sposare Gerolamo [IV] Gabriele Falletti dei signori di Barolo, suo lontano cugino. Alle nozze parteciparono il duca e la duchessa di Savoia e i più alti rappresentanti della corte; la sposa indossava una preziosa collana di perle prestatale da Anna d'Orléans. Il matrimonio, contrariamente ad ogni previsione, si rivelò felice e fu allietato dalla nascita di tre figli.
Trovandosi in seguito nell'impossibilità di versare la dote pattuita, a causa delle forti spese sostenute per la costruzione del palazzo e per i debiti di gioco, il D. obbligò la figlia a lasciare il marito e i figli e la costrinse a vivere nel palazzo di Torino. Il 24 febbr. 1701 la figlia si suicidò lanciandosi da una finestra del palazzo. La vicenda famigliare incise profondamente sul carattere stravagante e autoritario del Druent.
Nel 1710, obbligato a pagare al genero la parte rimanente della dote della figlia, il D. ruppe i rapporti con i Falletti e si ritirò nei suoi possedimenti di campagna. "Mônsu 'd Druent", come il D. veniva popolarmente chiamato, fu bizzarro anche in morte. Morì il 17 ag. 1727 a Torino nella sua villa detta il Casino. Volle essere sepolto nella chiesa di Madonna di Campagna, senza pompa, e, come ricorda il Claretta, vestito di panno bigio, la parrucca in capo, un mazzo di spine tra le mani, adagiato entro una sedia portatile avvolta in un drappo nero. Volle inoltre che ogni anno fosse distribuita a tanti poveri quanti erano stati gli anni della sua vita una elemosina in pane, minestra, vino e denari.
Il 18 ag. 1724, giacendo gravemente ammalato, aveva fatto testamento, deposto poi negli Archivi del Senato. Sua cura principale fu quella di estromettere da qualsiasi pretesa ereditaria suo genero Gerolamo Falletti; limitò anche i diritti A suoi tre nipoti Ottavio Giuseppe, Teodoro e Giacinto Antonio, suoi eredi particolari, nominando suoi eredi universali i padri della Congregazione della dottrina cristiana.
Alla sua morte un gran numero di pretendenti impugnò il testamento. Fra tutti il Patrimoniale regio sostenne che i beni feudali dovevano ritornare al Demanio poiché il D. non aveva eredi maschi diretti.
La controversia ereditaria andò avanti per molti anni a causa delle grosse difficoltà che richiedeva la liquidazione di un cosi ingente patrimonio.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Corte, Lettere di particolari, P, Provana di Druent Ottavio, mazzo 65; Ibid., Corte, Storia della Real Casa, Cat. III, Storie particolari, mazzo 20, n. 1: Mémoires de la régence de Marie Jeanne Baptiste duchesse mère de Savoie ...; Ibid., Camerale, Patenti Controllo Finanze, 1675, c. 73; 1677-2°, c. 134; 1680-2°, c. 133; 1680 in 1681, cc. 104 s.; 1681-1°, cc. 32 s.; 1688 in 1689, cc. 59-62; 1690 in 1691, cc. 10 s.; 1696-2°, cc. 41 ss.; 1696 in 1697, cc. 153 s.; 1697 in 1699, c. 106; Ibid., Camerale, art. 688 par. 1, reg. 1696-2°, c. 145; Camerale, art. 737 par. 1, reg. 319, c. 391; reg. 337, cc. 53, 74-91; reg. 341, c. 81; reg. 344, cc. 184, 201, 210, 220; Camerale, art. 696 par. 1, reg. 1700, c. 169; 1726 in 1727, c. 102; Ibid., Senato, Testamenti pubblicati, XXI, cc. 287-309; Ibid., Ministero della Guerra, Ufficio generale del soldo, Patenti ducali 1672-1674, c. 247; Ibid., Insinuazione di Torino, alle voci Druent e Provana; Arch. stor. della famiglia Barolo, Famiglie alleate. Provana, mazzo 3, nn. 31-36; mazzo 4, nn. 17, 21; mazzo 6, nn. 8-10; mazzo 10, n. 4; mazzo 11, nn. 9-12; mazzo 12, n. 23; mazzo 13, n. 16; mazzo 15, nn. 26 s.; mazzo 17, nn. 13-16; mazzo 19, nn. 19 s.; mazzo 20, nn. 11 ss.; Ibid., Archivio storico della famiglia Barolo, mazzo 177, n. 23; G. Casalis, Diz. geografico storico ... degli Stati di S. M. il re di Sardegna, Torino 1840, VI, p. 299; Sulle famiglie nobili della monarchia di Savoia, Torino 1841, I, p. 1277; L. Cibrario, Storia di Torino, Torino 1846, II, pp. 318 ss.; D. Carutti, Storia del regno di Vittorio Amedeo II, Torino 1856, pp. 57, 78; Id., Storia della diplomazia della corte di Savoia, Roma-Torino-Firenze 1879, III, pp. 114 ss.; A. Dufour, La famille des seigneurs de Barol, Torino 1884, pp. 25 ss.; G. Fenoglio, Il palazzo dei marchesi di Barolo, in Torino, Torino 1928, p. 28; C. Contessa, La congiura del marchese di Parella, in Boll. stor. bibl. subalpino, XXXVIII (1936), 1-2, p. 44; S. J. Woolf, Studi sulla nobiltà piemontese nell'epoca dell'assolutismo, in Mem. dell'Acc. delle scienze di Torino, classe di scienze morali, stor. e filo s., s. 4, 1963, n. 5, pp. 78 s., 188 s.; F. Cognasso, I Savoia, [Varese] 1971, p. 422; G. Symcox, Vittorio Amedeo II, Torino 1985, p. 113; P. Galli, Pal. Barolo, Torino 1986, pp. 1-7.