ALBINI, Giacinto
Nacque in Napoli il 4 marzo 1821 da Gaetano, ostetrico e chirurgo proveniente da Montemurro (Potenza), e da Elisabetta Morgigno. In quella città conseguì nel 1843 la laurea in utroque iure, e dopo il 1845 apri una scuola di giurisprudenza e letteratura, avendo conseguito l'abilitazione all'insegnamento per tali discipline. Di tale periodo ci restano una raccolta di versi, Ore poetiche (Napoli 1845) e un Corso teorico-pratico di lingua latina (Napoli 1850). Nello stesso tempo, l'A. iniziò l'attività politica, affiliandosi giovanissimo alla carboneria; è invece da escludersi la sua iscrizione alla Giovine Italia, sostenuta da alcuni suoi biografi, ma contraddetta sia dai documenti relativi alla sua attività, sia dagli atteggiamenti che assunse dal 1848 al 1860. Distintosi sulle barricate di Napoli del 15 maggio 1848, fu successivamente tra i fondatori di una società segreta carbonico-militare, che, sulla scia della tradizione del 1820, si prefiggeva di operare specialmente nelle file dell'esercito, e di essa curò l'organizzazione in Basilicata, ove si era trasferito, stabilendosi nel paese paterno di Montemurro. Accusato nel 1850 di essere membro di un'inesistente setta dei "Pugnalatori",pretesa filiazione della società carbonico-militare, dopo un periodo di latitanza usufrui della sovrana indulgenza del 17 genn. 1852.
Dopo la conclusione del processo a carico degli affiliati lucani alla setta dell'Unità Italiana, fu al centro dell'attività cospiratrice in Basilicata, mantenendo legami tanto con i democratici quanto con i moderati. Assunto il nome di battaglia di "Maestri", ebbe rapporti con i liberali napoletani che facevano capo a G. Fanelli, senza però assumere la posizione che gli attribuiscono i suoi biografi, i quali ritengono che l'A. avrebbe avuto l'incarico di fare insorgere le popolazioni lucane in occasione dello sbarco di Carlo Pisacane a Sapri. In realtà nessuna concreta attività diretta a questo fine fu svolta dall'A. in Basilicata. Nel maggio del 1857, avuto sentore che in Montemurro si era tenuta una "seduta settaria", e sorti sospetti relativamente ai rapporti che intercorrevano tra Napoli e i liberali operanti in alcuni paesi lucani, l'intendente di Basilicata sollecitò una maggiore sorveglianza su tutti gli "attenclibili" della regione residenti a Napoli, consigliandone il rimpatrio. Tra i colpiti fu anche l'A., che venne arrestato e, scarcerato dopo il fallimento dello sbarco di Pisacane, nell'agosto del 1857 relegato in Montemurro in domicilio coatto.
Nel dicembre di quello stesso anno, accusato di aver promosso una manifestazione ostile al governo, cui si attribuiva indifferenza e disinteresse nei coftfronti delle popolazioni colpite dal terremoto che aveva devastato quel centro abitato, venne relegato a Corleto Perticara, ma, dopo qualche mese, ottenne di rientrare in Napoli. Pur continuando a manifestare le sue simpatie per il movimento mazziniano, cui per altro non aveva mai aderito, l'A. Cominciò ad accostarsi al Comitato dell'ordine, cui facevano capo i moderati meridionali, prima collaborando autorevolmente al Corriere di Napoli,l oro organo clandestino, e poi, nel 1859, aderendo definitivamente al Comitato stesso. Dopo aver compiuto nell'estate del 1860 una missione in Calabria, per organizzarvi l'insurrezione, l'A. diresse, come delegato del Comitato dell'ordine, la rivolta delle province lucane, divenendo, il 19 ag. 1860, prodittatore della Basilicata, insieme col garibaldino tarantino N. Mignogna, rappresentante del Comitato di azione. Durante la prodittatura, l'A. mise alla testa delle giunte insurrezionali uomini di sua fiducia, aderenti al Comitato dell'ordine, ed affidò il comando degli insorti lucani al colonnellò cavournano C. Boldoni, già difensore di Venezia con il generale G. Pepe. Il 10 settembre, dopo avere sciolto le giunte insurrezionali, l'A. assumeva, in forza di un decreto di Garibaldi del 6 settembre, la carica di governatore della Basilicata con poteri illimitati. Tale carica conservò fino alla metà dell'ottobre seguente, eliminando in questo breve periodo i funzionari e i magistrati borbonici. Eletto il 27 genn. 1861 deputato nei collegi di Lagonegro e di Melfi, dovette rinunciare al mandato parlamentare essendo stato nominato, fin dal novembre 1860, ufficiale di nipartimento della ex Presidenza del consiglio di Napoli e, successivamente, direttore della Stamperia reale. Nel febbraio 1861 fu tra i fondatori in Napoli del Comitato di provvedimento per Roma e Venezia e, successivamente, promotore di numerose società operaie di mutuo soccorso in Campania e in Basilicata. Nel 1868 venne nominato tesoriere generale della provincia di Benevento, e in quella città fu esponente massonico e consigliere comunale, dopo essere stato, nel 1867, vicesindaco di Napoli. Sindaco di Montemurro dal 1876 al 1878, il 6 novembre di tale anno assunse la carica di conservatore delle ipoteche di Potenza. Quivi morì l'11 marzo 1884.
Il figlio Decio (1865-1923), che fu presidente del Comitato romano della Società per la storia del Risorgimento, cercò di diniostrare, in una serie di brevi lavori sul Risorgimento lucano, il mazzinianesimo del padre: egli fu anche il fondatore di diverse riviste lucane. Ma la sua attività prevalente fu quella di medico chirurgo, con un particolare inteper i problemi dell' infanzia.
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